Re: Il rifiuto della comunità.

Inviato da  prealbe il 16/8/2007 19:04:41
Post lungo. Siete avvertiti.


Paxtibi
Citazione:
In realtà se vuoi fare un ragionamento rigoroso il significato delle parole deve rimanere univoco e immutabile, altrimenti fai letteratura, o poesia. Di parole ce n'è quante ne vuoi, impara ad usare quelle giuste.

Guarda, Pax, mi dispiace ma anche questa cosa che hai scritto non è troppo sensata. La comprensione del linguaggio è assolutamente interpretativa e il "significato univoco e immutabile delle parole" è una semplice assurdità. Basta consultare un dizionario, per verificarlo: per ogni vocabolo si trovano generalmente definizioni multiple, talvolta con accezioni anche estremamente diverse fra loro. In più il loro utilizzo può avvenire in contesti e modi diversissimi (metaforico, ironico, retorico, ecc., ecc.), influenzandone ulteriormente il senso.

Se fosse invece vero quello che dici tu, disporremmo già da molto tempo di perfetti traduttori automatici, cosa che non è (e forse mai sarà), trattandosi di una operazione non meccanica e non riconducibile a regole certe. Ti suggerisco di riconsiderare un po' meglio la tua affermazione (e poi, con discrezione, ritirarla... così anch'io posso snellire un po' 'sto post che mi é venuto lunghetto...).

Naturalmente quanto detto non significa minimamente che non si possa comunicare; significa che la comunicazione linguistica richiede necessariamente l'interpretazione intelligente di quanto si recepisce; e che, ribadisco, attenersi al livello letterale è generalmente (nella stragrande maggioranza dei casi, in realtà) una fesseria completa. Così come aspirare all'univocità dei significati. Eviterei volentieri di tornare su una questione così semplice ed evidente.

Citazione:
Volontà collettiva, con tutto il grano salis che vuoi, significa che tutta la comunità la condivide: può riguardare il raggiungimento del paradiso, se si tratta di una comunità religiosa. Inutile dire che in altre forme di comunità, a cui non si aderisce operando una scelta, come la città o il villaggio in cui si vive, tale unità di intenti non esiste, perché non esiste una meta comune di tutti gli abitanti: esistono invece, al suo interno, molti diversi scopi particolari, per raggiungere i quali gli individui che li condividono si riuniscono in gruppi di varia misura. Anche in questi casi, limitatamente ai componenti di questi gruppi, di queste comunità, si può parlare propriamente di volontà comune: perché preesistente come volontà individuale e solo in un secondo momento condivisa con altri.

Uffa! Qui continui a inciampare nel presupposto errato che la comunità sia semplicemente la somma dei propri componenti. Non è così. Neanche per idea. La questione é molto (ma molto molto) più complessa e articolata. La comunità è un'entità sovraindividuale con caratteristiche sue proprie, che si sostanziano certamente tramite i membri che la compongono (ma no?!?), ma non specchia esattamente le loro caratteristiche individuali. Esattamente come l'entità "famiglia". O "coppia". O "gruppo di amici". Ognuna di queste entità (che esistono! oh, se esistono!) esprime volontà collettive (giacché decide, agisce e consegue obiettivi) che manco per niente rispecchiano le singole volontà dei propri membri. Né la somma (né la sottrazione né la moltiplicazione né la divisione; evidentemente in questo caso l'aritmetica non ci può proprio aiutare) di tali volontà.

Citazione:
Addirittura, non è nemmeno necessario che i componenti di un gruppo creatosi per il raggiungimento di uno scopo condividano le stesse tradizioni o lo stesso linguaggio, basta leggere la formazione dell'Inter per rendersene conto. È invece proprio in virtù della scoperta in altri delle stesse nostre aspirazioni che si può formare una comunità capace di una volontà comune relativamente agli obiettivi condivisi.

Stai parlando di obiettivi del tutto circoscritti e limitati. La "comunità" di cui si tratta in questa discussione (che ho aperto io; lo saprò, quindi...) è la comunità in cui si vive la propria vita, non la bocciofila del quartiere. Me ne frega assai dell'Inter (o di qualunque altra squadra): é un altro esempio fuori luogo. Cerchiamo di cogliere la complessità del contesto, se no stiamo freschi.

Citazione:
Entità come l'Unione Europea, invece, della comunità hanno soltanto il nome, perché è ovvio che Helga la norvegese e Zorbàs il greco non hanno alcun interesse o scopo in comune (per dirla tutta, neanche tradizioni o linguaggio) per il semplice fatto di vivere all'interno di una determinata zona geografica: lo potrebbero avere se fossero per esempio entrambi cattolici, se si sposassero (crescere dei figli è uno scopo comune), se fossero ricercatori nello stesso campo, ma in quei casi l'appartenenza alla "comunità europea" non avrebbe più il minimo peso. Di fatto, più una comunità si allarga, più diminuisce la possibilità di avere interessi o obiettivi comuni, e più si annacqua l'identità di cui parlavi all'inizio (se allargassimo il concetto di comunità a tutto il mondo, l'unica identità comune possibile sarebbe mangiare, bere e andare di corpo, almeno su questo dovremmo essere d'accordo).

Come dicevo, la comunità, per esserlo, deve possedere alcune caratteristiche specifiche; non basta certamente che qualcuno dica "Comunità!" perché una folla di individui diventi tale. Quindi si, su questo siamo stranamente d'accordo.

Citazione:
Per quanto riguarda quelle che con sufficienza e scarsa lungimiranza chiami scartine e bordate fuori luogo, forse ti è sfuggito che sono proprio gli stati totalitari – compresi gli USA degli straussiani neocon – a promuovere l'idea della nazione come comunità resa coesa da una meta ideale verso cui rivolgere la comune volontà del popolo: il mondo perfetto del comunismo, la razza superiore, l'esportazione della democrazia (coming soon: salvare Gaia). Ovviamente nessuno di questi miraggi è mai stato il frutto di una volontà comune, l'unica volontà comune è sempre quella di gruppi relativamente limitati di persone e gli unici scopi sono i loro, particolarissimi. Ed è qui che entra in gioco il dissenso: non contrapposto ad una fantomatica volontà condivisa da tutti, ma alla volontà di alcuni imposta con l'arte della propaganda e l'uso della forza.

Ah, ridanghete! Ho proposto a modello gli stati totalitari? Ho per caso scritto "W Bush"? Ho parlato di razze superiori? Pax, fai il bravo, rispondi a me, a Prealbe; non farmi carico di nefandezze che non mi competono e che non hanno niente a che vedere col mio discorso. Mi ripeto: stai citando aberrazioni. Un coltello non implica necessariamente Jack lo Squartatore, ok? E comunque il buon Jack si sarebbe inventato qualcosa anche in assenza di coltelli. Evitami ulteriori boutade del genere, grazie.

Citazione:
Quindi, di nuovo, non c'è nulla di sbagliato nel negare "che la volontà del gruppo possa prevalere sui voleri del singolo, per il semplice motivo che questa volontà non esiste". Non esiste nel momento stesso in cui uno o più membri della comunità non la condividono, se alla comunità in questione non si è entrati a far parte sulla base di una scelta cosciente ed individuale di un obiettivo ma per semplice coincidenza geografica o per imposizione burocratica. In tal caso, possiamo condividere esperienze, gusti, linguaggio, ma nessuna di queste cose potranno mai essere l'oggetto di una volontà comune: non le dobbiamo raggiungere, le abbiamo già!

E come no! Ecco che arriva la "scelta cosciente ed individuale". Finalmente! Era ora!

Da una parte abbiamo una comunità - che significa tante persone - la quale, giusto o sbagliato, ha trovato il suo equilibrio funzionale che comprende, giusti o sbagliati, tradizioni, usanze, codici etici, leggi, obblighi reciproci e quant'altro (i quali, per la maggior parte, si fondano su una interiorizzazione profonda di modelli di comportamento condivisi praticamente, piuttosto che su elucubrazioni attorno alle teorie morali).

Dall'altra abbiamo Messer l'Individuo che, non avendo sottoscritto alcun contratto dall'Illustrissimo Signor Notaro in presenza dei Messeri Testimoni (obbligatori per legge in numero di tre), ma essendosi limitato a nascere e crescere in quella comunità, ad un certo punto, tediato dall'esistenza di obblighi e limitazioni per lui incomprensibili, decide di fare come meglio gli pare, strafregandosene di tutto quel mare di fesserie su cui gli altri hanno semplicemente plasmato la loro esistenza: ché, è un problema suo? No, certamente no.

La comunità - cioè altri molti individui - é un attimo in dubbio tra due possibili reazioni:

1) Scusarsi collettivamente col Messere per avergli procurato involontariamente tanto fastidio con la propria esistenza e sciogliersi prontamente come comunità per non importunarlo ulteriormente.

2) Prenderlo a calci nel culo - in senso più o meno figurato - fino a che non la pianti di creare problemi al funzionamento della comunità - cioè alla vita di altri molti individui - con le sue individuali ed egocentriche pretese.

Quale delle due (giusta o sbagliata) sarà più sensata, nell'ottica della comunità, cioè degli altri molti, molti individui che non sono il Messere Recalcitrante ma con lui convivono? Io lo so, ma non lo dico.

Citazione:
Nel caso invece di un gruppo o comunità riunitasi sulla base di un ideale o di uno scopo condiviso, chi questo ideale o scopo non lo condividesse più - per esempio, perché ha perso la fede in dio, oppure non gli interessa più il progetto a cui stava lavorando - automaticamente ne rimarrebbe escluso, e non si vede perché non dovrebbe essere così dal momento che è egli stesso a tirarsene fuori, a cambiare la sua decisione iniziale. Ed in questo senso si può dire che abbia "rifiutato la comunità", ma non vedo cosa ci sarebbe di male.

Ladies & Gentlemen, Mesdames & Messieurs, Signore e Signori, silenzio, prego! È arrivato, last but not least, il momento clou della nostra bella serata; the Magic Moment. Ecco a Voi: La Fondazione della Comunità!!! Un bell'applauso, prego. State seduti ai Vostri posti. Non invadete la pista.

Vogliamo togliere un altro fantasma dal dibattito? Si? Ok.

Le comunità, che non sono né squadre di calcio né società commerciali, non si fondano "sulla base di un ideale o di uno scopo condiviso": generalmente non va affatto così; le comunità, come tante altre cose della vita, "accadono" (anzi, generalmente "sono già accadute" quando arriviamo noi), e gli individui in esse coinvolti si trovano semplicemente a farci i conti (in realtà, molto di più), cercando di farli quadrare il più costruttivamente possibile, in base a metodi di calcolo che ancora una volta hanno ben poco a che vedere con l'aritmetica.

E si impongono anche altre considerazioni:

1) Quand'anche quattro (o otto o sedici o financo trentadue) citrulli tizi si mettessero in testa di "fondare una comunità sulla base di un ideale o di uno scopo condiviso", è fin troppo facile supporre che delle implicazioni effettive, reali di quel passo sulle loro vite ne saprebbero cogliere in quel momento poco più (o poco meno) di una parte infinitesima (con tanti saluti alla vagheggiata "scelta cosciente ed individuale" ). E probabilmente si sbaglierebbero anche su quello.

2) Passato un tempo X (una generazione, o anche meno) la plasticità della comunità si riduce alquanto e non è in grado, pena la sua dissoluzione, di sopportare "la fantasia al potere", per così dire; ipotizzare che ogni suo membro possa cambiare idea con la frequenza desiderata, rimettendo in discussione da capo le norme comunemente accettate al suo interno (su cui, ricordo, i diversi membri strutturano "soltanto" le proprie esistenze) è, semplicemente, un'idea suicida. Il che non vuol dire che il cambiamento non possa avvenire, visto che le comunità si modificano dall'alba dei tempi; l'idea idiota è che la comunità nel suo complesso non possa difendersi dalle alzate d'ingegno di questo o quell'altro suo membro che ne mettano estemporaneamente in difficoltà il buon funzionamento (complicando cioè la vita a molti altri membri).

3) Il ripensamento dei membri: che problema c'è? Praticamente nessuno. Quando un membro si fosse stancato, prende su, carica la propria casa sul portabagagli, e via! Verso nuove avventure!
Oppure, visto che la casa pesa e la sua auto ha gli ammortizzatori un po' scarichi e il clima del posto gli piace, decide di rimanere e comincia a fare un po' il "bastian contrario"; oltre quale limite di "bastian contrario" la comunità - cui crea difficoltà - può cominciare a prendere provvedimenti? Ah, già, non può, perché non ha più un "pensiero comune" ma solo un "pensiero comune meno uno"; quindi è tutto il resto della comunità che carica la casa sul portabagagli e si trasferisce. Che ci vuole?

E così via, e così via...


Prealbe

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