Re: Il rifiuto della comunità.

Inviato da  Paxtibi il 16/8/2007 9:00:46
Chissà come se la sbroglierà Prealbe nel caso volesse cimentarsi nell'impresa !

Il bello di Prealbe è che si porta sempre appresso una spalla: una volta Nerone, quell'altra Arturo, talvolta entrambi.

Sembra il Giro d'Italia, con i gregari che tirano la volata!

PS: piano con le "bombe", pensate alla salute!
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Gli è che nei ragionamenti su realtà complesse bisognerebbe superare il livello del significato letterale delle espressioni; purtroppo non è adeguato alla bisogna.

In realtà se vuoi fare un ragionamento rigoroso il significato delle parole deve rimanere univoco e immutabile, altrimenti fai letteratura, o poesia. Di parole ce n'è quante ne vuoi, impara ad usare quelle giuste.

Se ci fosse bisogno di specificarlo, la comunità non deve essere costituita da cloni identici per essere tale. Né dire che la comunità abbia una sua identità (alla quale si riconducono pensiero comune, coscienza di gruppo e volontà collettiva - mi raccomando sempre il grano salis) significa dire che ogni suo membro (tra i quali, sempre se ci fosse bisogno di specificarlo, ci sono persone in ogni fase dell’arco vitale, psicologico, intellettuale e quant’altro) coincida alla perfezione con tale identità.

Volontà collettiva, con tutto il grano salis che vuoi, significa che tutta la comunità la condivide: può riguardare il raggiungimento del paradiso, se si tratta di una comunità religiosa. Inutile dire che in altre forme di comunità, a cui non si aderisce operando una scelta, come la città o il villaggio in cui si vive, tale unità di intenti non esiste, perché non esiste una meta comune di tutti gli abitanti: esistono invece, al suo interno, molti diversi scopi particolari, per raggiungere i quali gli individui che li condividono si riuniscono in gruppi di varia misura. Anche in questi casi, limitatamente ai componenti di questi gruppi, di queste comunità, si può parlare propriamente di volontà comune: perché preesistente come volontà individuale e solo in un secondo momento condivisa con altri.

Addirittura, non è nemmeno necessario che i componenti di un gruppo creatosi per il raggiungimento di uno scopo condividano le stesse tradizioni o lo stesso linguaggio, basta leggere la formazione dell'Inter per rendersene conto. È invece proprio in virtù della scoperta in altri delle stesse nostre aspirazioni che si può formare una comunità capace di una volontà comune relativamente agli obiettivi condivisi.

Entità come l'Unione Europea, invece, della comunità hanno soltanto il nome, perché è ovvio che Helga la norvegese e Zorbàs il greco non hanno alcun interesse o scopo in comune (per dirla tutta, neanche tradizioni o linguaggio) per il semplice fatto di vivere all'interno di una determinata zona geografica: lo potrebbero avere se fossero per esempio entrambi cattolici, se si sposassero (crescere dei figli è uno scopo comune), se fossero ricercatori nello stesso campo, ma in quei casi l'appartenenza alla "comunità europea" non avrebbe più il minimo peso. Di fatto, più una comunità si allarga, più diminuisce la possibilità di avere interessi o obiettivi comuni, e più si annacqua l'identità di cui parlavi all'inizio (se allargassimo il concetto di comunità a tutto il mondo, l'unica identità comune possibile sarebbe mangiare, bere e andare di corpo, almeno su questo dovremmo essere d'accordo).

Per quanto riguarda quelle che con sufficienza e scarsa lungimiranza chiami scartine e bordate fuori luogo, forse ti è sfuggito che sono proprio gli stati totalitari – compresi gli USA degli straussiani neocon – a promuovere l'idea della nazione come comunità resa coesa da una meta ideale verso cui rivolgere la comune volontà del popolo: il mondo perfetto del comunismo, la razza superiore, l'esportazione della democrazia (coming soon: salvare Gaia). Ovviamente nessuno di questi miraggi è mai stato il frutto di una volontà comune, l'unica volontà comune è sempre quella di gruppi relativamente limitati di persone e gli unici scopi sono i loro, particolarissimi. Ed è qui che entra in gioco il dissenso: non contrapposto ad una fantomatica volontà condivisa da tutti, ma alla volontà di alcuni imposta con l'arte della propaganda e l'uso della forza.

Quindi, di nuovo, non c'è nulla di sbagliato nel negare "che la volontà del gruppo possa prevalere sui voleri del singolo, per il semplice motivo che questa volontà non esiste”. Non esiste nel momento stesso in cui uno o più membri della comunità non la condividono, se alla comunità in questione non si è entrati a far parte sulla base di una scelta cosciente ed individuale di un obiettivo ma per semplice coincidenza geografica o per imposizione burocratica. In tal caso, possiamo condividere esperienze, gusti, linguaggio, ma nessuna di queste cose potrà mai essere l'oggetto di una volontà comune: non le dobbiamo raggiungere, le abbiamo già!

Nel caso invece di un gruppo o comunità riunitasi sulla base di un ideale o di uno scopo condiviso, chi questo ideale o scopo non lo condividesse più – per esempio, perché ha perso la fede in dio, oppure non gli interessa più il progetto a cui stava lavorando – automaticamente ne rimarrebbe escluso, e non si vede perché non dovrebbe essere così dal momento che è egli stesso a tirarsene fuori, a cambiare la sua decisione iniziale. Ed in questo senso si può dire che abbia "rifiutato la comunità", ma non vedo cosa ci sarebbe di male.

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