Citazione:
Problema: tu ti riferisci alla comunità come fosse un persona in carne ed ossa. Errato, mille volte errato. La comunità è un insieme di individui appartenenti alla razza umana: non sono né formiche né api e quindi non hanno alcun "pensiero comune", o coscienza di gruppo o volontà collettiva. Che l'uomo sia sociale e tenda a vivere in gruppi, è evidente. Ciò tuttavia non autorizza a pensare o teorizzare che la volontà del gruppo prevalga sui voleri del singolo, per il semplice motivo che questa volontà non esiste. Usciremmo quindi dalla socialità per passare all'arbitrio di qualcuno - pochi o molti che siano - che impone a qualcun altro cosa fare.
E questo è male. Quindi qualsiasi teoria che comporti l'arbitrio e l'annullamento della libertà del singolo in favore di un feticcio inesistente è male di per sé, a prescindere dagli intenti più o meno buoni.
La citazione che precede mi ha fatto istintivamente
ingrifare. Sono stato immediatamente certo che
è radicalmente sbagliata. Una di quelle formulazioni
apparentemente intelligenti e ineccepibili, ma in realtà
idiote di segno opposto a ciò che sembrano (la tesi, sia ben chiaro; sulla persona che l'ha espressa - che infatti appositamente non cito - non eccepisco nulla di nulla).
Ho quindi passato la pratica al settore analitico (emisfero cerebrale sinistro
) per la confutazione ragionata.
Il concetto chiave del discorso è quello di "comunità": che accidenti è questa benedetta "comunità"? Davvero non ha né "coscienza di gruppo" né "volontà collettiva"? E' davvero sensato sostenere che nel suo ambito i singoli individui rimangano le uniche entità realmente esistenti?
Andiamo con ordine.
La "comunità" come entità
a sé stante effettivamente non esiste. Come
non esiste la "famiglia". Come
non esiste la "coppia". Come
non esiste il "gruppo di amici". Come
non esiste nessun raggruppamento di individui a qualunque livello...
di per sé stesso (cioè a prescindere dai propri membri… che scoperta, eh?
).
Un ossequioso e dovuto inchino al compianto Monsieur de La Palisse, che non avrebbe saputo dire di meglio, e proseguiamo. Ma se tutte le suddette entità
non esistono viene da domandarsi come mai viceversa ognuno di noi ci faccia seriamente i conti nell'ambito della propria vita:
siamo tutti deficienti? Non credo proprio. Io, tra speculazione intellettuale, pur di persone particolarmente acute, e collaudata pratica di vita, tendo a fare un po' più di affidamento su quest'ultima.
Dunque se finora all'uomo
è piaciuto di considerare entità concrete tali astrazioni un motivo per lui valido -
e molto visti i relativi oneri - ci deve essere. Qual'è?
Partiamo dal dizionario, il quale imparzialmente ci dice:
co |mu |ni| tà
s.f.inv.
AD
1 gruppo di persone
unite da vincoli linguistici, organizzativi o da interessi comuni in modo da formare un organismo, una collettività:
operare nell'interesse della c. , la c. nazionale, cittadina, etnica; c. linguistica: i cui membri parlano la stessa lingua
2 estens., insieme di persone
che fanno vita in comune o obbediscono alle stesse regole, spec. riferito a religiosi:
vivere, stare in c., c. religiosa| struttura finalizzata al recupero e all'assistenza di tossicodipendenti, disadattati, malati mentali attraverso la vita e le attività in comune; il luogo in cui opera tale istituzione:
c. terapeutica3 gruppo di persone
che fanno parte della stessa confessione religiosa:
c. ebraica, cattolica , anglicana| estens., parrocchia; insieme dei fedeli di una parrocchia:
i bisognosi della c., preghiamo per la c.4 organizzazione a livello nazionale o internazionale
unita da particolari accordi o trattati economici e politici:
C. Economica Europea 5 comune; insieme degli abitanti del comune
6 BU comunanza:
c. d'interessi Insomma, il tratto distintivo di una comunità è, a quanto pare, l'esistenza tra i suoi membri di elementi
significativi in comune e, sulla base di questi, di vincoli reciproci. Nonché, questo lo aggiungo io, di
interferenza continua tra di essi, trattandosi di un contesto di interazione.
In mancanza di queste caratteristiche specifiche, ci si trova invece semplicemente in presenza di una:
fól |la, fòl |la
s.f.
FO
1 grande quantità di persone riunite in un luogo:
strade piene di f., una f. di bagnanti sulla spiaggia, mescolarsi alla f., farsi strada tra la f.| spreg., volgo, popolino:
demagogia buona per le folle, ottenere l'apprezzamento della f. 2 estens., iperb., gruppo numeroso di persone:
essere circondato da una f. di amici, di ammiratori, di adulatori3 fig., concitata moltitudine di pensieri, sentimenti e sim.:
essere assalito da una f. di ricordi4 OB ammasso di cose che esercita una pressione in un luogo; tale pressione
5 TS scient., insieme di elementi di varia natura:
f. di particelle cioè
una mera somma di individui aventi in comune solo la presenza contemporanea in un dato spazio. Senza vincoli reciproci, a parte la contiguità fisica.
Proviamo ad approfondire un po' gli elementi che differenziano le due entità, visto che a quanto pare una distinzione esiste. Quand'è che una "folla" diventa una "comunità"? In cosa si sostanzia il
substrato comune di cui sopra?
Esso sarà, naturalmente, di ordine sia pratico sia,
soprattutto - dato che il contesto è umano -
emotivo (1),
e tale da consentire ai propri membri lo specchiamento reciproco, di riconoscere cioè sé stessi negli altri; in caso contrario l'individuo si troverebbe circondato da entità che, facendo riferimento a sistemi di significato ignoti, sarebbero per lui semplicemente incomprensibili e con cui un'interazione articolata sarebbe quindi impossibile. Più o meno come se qualcuno di noi si trovasse proiettato di colpo in un villaggio indigeno del Kalimantan meridionale: che si racconterebbe con i locali? O qualcuno
davvero pensa che la comune "appartenenza alla razza umana"
sarebbe
di per sé sufficiente per una relazione completa e appagante?
(2) Ciò detto, se una comunità,
per essere tale, deve possedere
un sistema di interpretazione della realtà condiviso tra i propri membri, l'idea che invece non abbia "
alcun "pensiero comune", o coscienza di gruppo o volontà collettiva" sembra ancora un’osservazione così intelligente o ne emerge per caso il carattere di considerazione un po', diciamo
, affrettata?
Facciamo un piccolo passo ancora (E poi basta. Coraggio.
).
Un'interazione approfondita e significativa discende dunque dall'identificazione con la controparte e, in ambito umano, implica il coinvolgimento vicendevole delle parti, che su tale base si legano tra loro con un'intensità ad esso corrispondente.
Ma tutto ciò comporta reciprocamente interferenza, vincoli, aspettative, obblighi, diritti e doveri. Viceversa, quanto più si pone l'accento sulla distinzione
(3) tra sé stessi e la propria comunità,
cioè gli altri suoi membri, tanto più si diluisce l'intensità - e quindi la profondità - del rapporto, con tutte le conseguenze del caso. Chi sostiene la prevalenza della "
libertà del singolo" rispetto alla comunità e definisce quest'ultima come "
feticcio", sta solo dichiarando la propria profonda incapacità di pensare un rapporto di identificazione forte con l'altro da sé.
Perfettamente in linea, peraltro, con lo spirito che accompagna e caratterizza questi nostri tempi meravigliosi; niente di strano. Mi piacerebbe però non vedere ammantare di purezza idealistica qualcosa che è, con maggiore verosimiglianza, semplice asocialità.
Prealbe
1 - Lo so, lo so: è una cosa
davvero fastidiosissima quest'irrazionalità che rispunta sempre fuori quando si parla dell'uomo; ma che ci possiamo fare? Magari il prossimo modello lo progettano meglio e tanti problemi di cui oggi ci tocca faticosamente dibattere saranno finalmente superati. Speriamo in bene.
Nel frattempo, dobbiamo purtroppo farci i conti.
2 - Sarà per questo che quando sento qualcuno dichiararsi "cittadino del mondo" tendo a declassare l'intelocutore di qualche dozzina di punti...
3 - E
"distinzione", se c'è bisogno di dirlo, si contrappone a
"identificazione".
Messaggio orinale: https://old.luogocomune.net/site/newbb/viewtopic.php?forum=6&topic_id=3723&post_id=97567