Re: Il rifiuto della comunità.

Inviato da  Paxtibi il 27/11/2007 1:40:59
e qualcuno, dopo lo scambio di post che ha fatto seguito a quello di Fini, intendesse di nuovo rispondere con considerazioni psico-social-economico-esistenziali sull’autore - che, per inciso, non so neanche chi sia

Guarda Prealbe, sgombriamo subito il campo da un equivoco: io chi è Fini lo so, e ne ho anche una buona opinione, lo considero anzi uno dei pochi intellettuali degni di nota in questi tempi oscuri. Semplicemente, ho criticato quel particolare articolo perché a mio parere ha generalizzato e banalizzato un tema su cui si sarebbe potuto dire meglio e di più. Per il resto, magari fossero tutti così, i Fini. Purtroppo ci sono invece un sacco di mezzi.

L'articolo di Risè (che al contrario non conoscevo) lo trovo molto interessante, acuto nel cogliere la contraddizione di Salvati che dopo una vita passata a predicare il collettivismo internazionalista vorrebbe ritrovare l'individuo. E non lo troverà mai se prima non impara a distinguere tra diritti positivi e diritti negativi. I primi non dovrebbero esistere se non liberamente accettati nella forma ricavata dalla consuetudine, i secondi sono invece nascono con l'uomo. Insomma, l'individualismo di Salvati è solo collettivismo mascherato.

Per fare un esempio, una società potrebbe anche deplorare l'omosessualità, ma non dovrebbe in nessun caso ricorrere alla coercizione per liberarsene. Ma la sinistra così come la destra hanno usato lo stato proprio come strumento di ingegneria sociale inondando la società di diritti positivi, spesso in contrasto tra loro. È sul humus di questi diritti che sono cresciuti i totalitarismi, compreso quello in cui stiamo vivendo. Salvati non lo capisce perché è statalista e di sinistra, e quindi convinto che il totalitarismo nasca dal nazionalismo mentre è proprio nel culto dello stato che esso fonda le sue radici. I concetti di stato e di nazione sono distinti e non necessariamente sovrapponibili. Tant'è vero che Hitler parlava di razza, Stalin di ideologia, ed entrambi di rivoluzione: niente a che vedere con la consuetudine di una società di individui che abitano lo stesso territorio e condividono le stesse tradizioni (non erano forse tedeschi, gli ebrei?).

In definitiva, posso dire di condividere le conclusioni di Risè. Quello che non riesco però a capire è se lui questa differenza tra diritto positivo e negativo la concepisce o meno, ed è importante, perché l'oppressione di chi, per motivi suoi, non condividesse il sentire degli altri membri della società, oltre ad essere un crimine contro la persona è anche un ottimo combustibile per gli incendiari di cui sopra. Una società che non fosse in grado di tollerare la diversità di usi e costumi e utilizzasse la coercizione per eliminarla – in altre parole, la società che facesse prevalere i diritti positivi sui diritti negativi – è già una società totalitaria in nuce. Non è più una nazione, ma uno stato.

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