Re: Il rifiuto della comunità.

Inviato da  prealbe il 27/11/2007 0:29:51
Adesso posto un altro articolo. Breve premessa: se qualcuno, dopo lo scambio di post che ha fatto seguito a quello di Fini, intendesse di nuovo rispondere con considerazioni psico-social-economico-esistenziali sull’autore - che, per inciso, non so neanche chi sia - anziché su ciò che c’é scritto nell’articolo, può automaticamente ritenersi - con rispetto parlando e amichevolmente - mandato a cagare dal sottoscritto senza passare dal via.


Prealbe


Citazione:
L’individuo e la relazione con una comunità d’appartenenza
di Claudio Risé

A sinistra si discute con preoccupazione della consunzione delle categorie politiche postilluministe: l’idea stessa di destra e sinistra e, soprattutto, lo sbriciolamento degli Stati nazionali. Per inciso, non sarebbe male se anche la Casa delle Libertà desse più spazio a questi temi, tra una barzelletta e uno scorcio di autoreggente. Michele Salvati, che è uomo di sinistra intelligente e informato, in un ampio articolo sul Corriere della Sera ha segnalato lacune e superficialità di diversi libri sul tema, in particolare Destra e sinistra, di Marco Revelli.
Se ho ben capito, il ragionamento di Salvati è questo. È vero che le categorie di destra e sinistra tradizionalmente intese faticano a capire il mondo di oggi, e in particolare la globalizzazione. Il fatto è - argomenta con ragione Salvati - che «la destra e sinistra liberali, e in fondo anche socialiste, hanno sempre faticato ad affrontare problemi che trascendono l’individuo, che sono radicati in un “noi” che precede l’affermazione dei diritti individuali. Un noi nazione, comunità religiosa, etnica, culturale».
Ciò di cui Salvati qui parla, col fastidio caratteristico del pensiero postilluminista, è anche quella che la scienza della politica chiama “nazione organica”, contrapponendola appunto agli Stati nazionali, costituiti essenzialmente da dispositivi giuridici e burocratici.
Spesso, lamenta Salvati, «le ragioni del noi prevalgono sulle rivendicazioni dell’io. È in nome di qualche noi che si sono mobilitate le masse e fatte guerre e rivoluzioni». Contro questi pericolosi “noi” Salvati propone che la parola passi a una «destra e sinistra individualistiche», attuali «eredi di quelle formatesi nell’esperienza postilluminista europea».
Si metta dunque francamente al centro l’individuo, sbarazzandosi dei pericolosi “noi” («etnici, religiosi, nazionali, comunitari, più raramente di classe», secondo Salvati), che tendono a coinvolgerlo e fagocitarlo.
Il fatto è, però, che senza appartenenze che lo trascendano l’individuo non è un io. È solo un potenziale componente di masse in cui cerca l’identità di cui si sente privo. Identità che invece nel corso della storia l’individuo ha sempre trovato in appartenenze dotate di senso, in “noi”, come la comunità religiosa, locale, la nazione organica (non lo “Stato nazionale”), la cultura condivisa attraverso una tradizione.
I totalitarismi del Novecento hanno sostituito questi “noi”, che permettevano all’individuo di dire “tu”, e quindi di sentirsi “io”, con masse unite dall’ideologia e identificate negli Stati nazionali. Sono le ideologie totalitarie, intellettuali, degli Stati, con le quali si è cercato di espiantare l’individuo dal proprio contesto umano e religioso, che hanno portato alle guerre e alle rivoluzioni armate, non le appartenenze trascendenti in cui ogni io affonda, da subito, le sue radici e le sue possibilità di sviluppo.
Se la globalizzazione mettesse al proprio centro, come sembra proporre Salvati, l’individuo, negando l’importanza delle appartenenze affettive e simboliche che gli conferiscono identità, diventerebbe l’organizzatrice di un totalitarismo globale ancora peggiore di quelli, nazionali, che hanno insanguinato il Novecento.

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