Re: Darwin e l

Inviato da  mangog il 21/2/2007 8:21:18
intervista con PIERLUIGI LUISI di LUCA TANCREDI BARONE


NELLA GARA a captare i primi vagiti della vita sul nostro pianeta si possono percorrere strade diverse. Una di queste è quella di tentare di costruire cellule viventi artificiali con il numero minimo di componenti per essere definite “vive”: la cosiddetta “cellula minimale”.
Il chimico Pierluigi Luisi, professore di biofisica all’università di Roma Tre, professore emerito al Politecnico di Zurigo, e che nel tempo libero ama scrivere racconti, è fra chi nel suo laboratorio si sta cimentando con questa sfida.
“Le cellule più semplici viventi sul nostro pianeta”, spiega Luisi, “hanno da circa 500 a qualche migliaio di geni. Possono quindi sintetizzare migliaia di proteine e dunque catalizzare migliaia di reazioni chimiche. Insomma hanno una complessità spaventosa”.

Possibile che la vita sia iniziata in maniera così complicata?

Infatti: l’idea è che le prime cellule viventi non potevano avere tutti questi geni e dovevano essere una forma di vita cellulare molto più semplice.

Come si può fare per scoprire se questo è possibile?

Quello che noi tentiamo di fare è di introdurre all’interno di un guscio lipidico (i cosiddetti liposomi) un certo numero di geni in modo da produrre le prime reazioni cellulari. Ad esempio, la sintesi di qualche proteina, quelle fondamentali per consentire alla cellula di costruire proteine dal suo stesso interno. E diversi gruppi nel mondo che lavorano su questo ritengono che per riuscirci bastino circa 200-250 geni, i più coraggiosi arrivano addirittura fino a 50.

Come si nutrono queste protocellule?

Per ora le nostre cellule non sanno prodursi cibo da sole, e in fondo questo ricalca una situazione verosimile agli albori della vita, quando le cellule erano probabilmente eterotrofe (cioè si nutrivano di sostanze già pronte). Il materiale genetico viene inserito artificialmente. Ma soprattutto non sanno ancora “copiarsi”, cioè riprodursi.

Insomma non sono “vive”.

Per me “viva” significa che è capace di metabolismo (e questa è l’unica cosa che per ora le nostre cellule sanno fare), di autoreplicarsi e di evolversi. No, dunque. Ancora non sono vive.

Le vostre cellule sono basate sul Dna. Ma qualcuno pensa che le prime cellule possano essere state basate sull’Rna.

Recentemente ho dimostrato che una celletta con solo due molecole di Rna (ribozimi) potrebbe essere viva, in quanto l’Rna ha il vantaggio di essere catalitico senza bisogno di passare dalle proteine. Se esistessero, bisognerebbe riuscire a costruirle senza utilizzare enzimi o materiale genetico, e nessuno lo sa fare in modo prebiotico. Oltretutto oggi nel mondo non esistono cellule fatte così. Per ora sappiamo costruire in modo prebiotico solo le basi, ma non gli acidi nucleici, che comunque poi dovrebbero essere polimerizzati per dare origine all’Rna, e infine dovrebbero essere capaci di autoreplicarsi. Una strada ancora più lunga di quella che affrontiamo noi con le cellule a Dna.

Craig Venter, il capo del progetto Genoma, sta facendo una ricerca molto simile alla vostra nel Mar dei Sargassi.

Lui ha utilizzato un approccio diverso, originale ma un po’ “violento”. Ha preso il genoma di un microrganismo inattivando un gene alla volta. Alla fine ha dimostrato che, seppure zoppicante, il microrganismo (un parassita) poteva sopravvivere con circa 250 geni. L’approccio quindi è diametralmente opposto al nostro. Oltretutto, poiché i geni disattivati permangono nel Dna, seppure “spenti”, non è chiaro se possano comunque giocare un ruolo.

Oltre a questa ricerca, il vostro gruppo porta avanti un altro progetto legato alla nascita della vita.

In modo indiretto. Partiamo dal presupposto che la nostra vita è basata su un grande numero di proteine, dell’ordine di migliaia di miliardi. Ma il punto è che il numero teoricamente costruibile di proteine è spaventosamente più grande. Per dare un’idea, si pensi che il rapporto fra il numero teorico di proteine possibili e quelle che utilizza la vita è maggiore di quello fra lo spazio occupato dall’universo e quello occupato da un atomo di idrogeno. Qualcosa come un uno diviso per un uno seguito da molte decine di zeri.

La domanda sorge spontanea: perché proprio quelle e non le altre?

Appunto. E non abbiamo una risposta. Alcuni sono deterministi: sono quelle perché altrimenti noi non saremmo qui; un principio che qualcuno chiama antropico e io chiamo criptocreazionista. Poi c’è un’altra scuola, cui appartengono fra gli altri Gould e Monod: questa scelta è contingente, una serie casuale di fattori, che poi ha permesso la formazione e l’evoluzione della vita. Noi tentiamo di dimostrare proprio questo.

In che modo?

Costruiamo le proteine mai nate, per così dire: le neverborn. Ne possiamo fare qualche miliardo, di 50 aminoacidi di lunghezza, e nessuna di queste esiste sulla Terra. La domanda è: queste proteine hanno proprietà simili alle nostre? Hanno un folding (la capacità di piegarsi), una conformazione stabile? Sono capaci di agire come enzimi? Legano metalli o nucleotidi?

E cosa avete osservato?

Il risultato è che sono simili a quelle “vitali”. In sostanza, le proteine esistenti non hanno nulla di speciale né termodinamicamente, né dal punto di vista enzimatico. Insomma, le proteine usate dalla vita sono davvero contingenti.

Ma le neverborn potrebbero essere in qualche modo “utili” alla vita?

Questo lo vedremo. Potrebbero per esempio avere un potere terapeutico, ma non è ancora detto che la vita possa usufruirne efficacemente.

Che senso si potrebbe dare alla parola contingente?

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