Re: Charlie Hebdo

Inviato da  ivan il 3/2/2015 6:03:43
Da Carmilla on line
link jesuishumain

Citazione:


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Ma c’è un ma: è stato colpito un giornale, sono stati massacrati (non solo, ma anche) dei giornalisti.
Questo crea un precedente: nella logica dell’escalation militare (dell’innalzamento del livello di scontro, si sarebbe detto in altri anni), motivata dal bisogno di clamore mediatico – per dirla con cinico realismo: nella logica di vendere meglio un prodotto al-Qaeda rispetto a quello dei rivali del Daesh (=Isis), in una logica di rilancio continuo – non si torna indietro. D’ora in poi, giornalisti e scrittori sono un target anche in Occidente: la logica di eliminazione fisica di giornalisti e scrittori come strumento per l’eliminazione materiale della libertà di espressione è stata esportata dal Medio Oriente all’Europa. D’ora in poi, un giornalista o uno scrittore “scomodo”1 può essere intimidito, imbavagliato, o eliminato costruendogli il profilo di target ideale e facendo filtrare il suo nome.
Questo è il punto: la libertà d’espressione – non quella formale, scritta nei principi astratti: quella concreta, che consiste in produzioni d’informazione, inchieste, prese di parola e quant’altro vi viene in mente. Quella libertà d’espressione stretta nelle maglie di un conflitto nel quale non ci sono solo due attori, uno buono e uno cattivo, ma una pluralità di attori, tutti – seppur in diversi gradi – cattivi.
E le condizioni materiali di tutela e, soprattutto, auto-tutela di questa libertà.
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2. Le rêve aux loups (Allarmi, son fascisti!)
Passage Sainte-Anne Popincourt

Uscendo da rue Nicolas Appert ci si sente osservati da sguardi malvagi: lupi purpurei con occhi di bragia sui muri separati dal passage. Sono graffiti stampati dall’autore di un romanzetto probabilmente pessimo, di sicuro rancoroso (Le rêve aux loups): pubblicità, insomma, destinata ad essere sommersa da ben altri clamori mediatici. Restano questi lupi feroci che ti guardano mentre mediti sul fatto che questi jahdisti sono dei fascisti, senza se e senza ma. E che questa strage costringerà a riformulare, ad ampliare il concetto di fascismo.
reve_aux_loups copiaLo si potrebbe argomentare in molti modi, scelgo di farlo con una voce che viene da piazza Tahir2: Alaa el-Aswani, romanziere di fama, ma anche attivista politico contro (nello stesso tempo) la dittatura di Mubarak e il fondamentalismo salafita della Fratellanza Musulmana. El-Aswani ha partecipato sia all’accampata di piazza Tahir – narrando le morti degli accampati al suo fianco per mano dei cecchini – sia alla rivolta contro la dittatura fondamentalista instaurata da Morsi3. In un articolo dell’ottobre 2011, L’Egitto di fronte al fascismo4, el-Aswani, dopo aver spiegato ai lettori egiziani l’origine del termine “fascismo”, cala nella realtà egiziana questo concetto politico:

«Purtroppo il concetto di fascismo si adatta a numerosi partigiani dell’islam che credono di esserne i soli rappresentanti; che considerano come nemici tutti quelli che non sono d’accordo con le loro opinioni, e che sono pronti a imporre le proprie idee con la forza. La loro storia è piena di crimini e aggressioni contro chiese e mausolei, di incendio e saccheggio di negozi e magazzini copti [minoranza religiosa discriminata e perseguitata dai fondamentalisti islamici in Egitto]».

Citando la persecuzione dello scrittore Nagib Mahfuz, accusato dai fondamentalisti di essere «responsabile della decadenza morale degli egiziani con i suoi romanzi pornografici», el-Aswani avverte: questo «fascismo religioso che sfrutta i sentimenti religiosi degli egiziani per arrivare al potere […] non è un prodotto originario dell’Egitto», ma dei fiumi di denaro provenienti dal petrolio saudita di cui dispongono i gruppi salafiti wahhabiti. E – argomenta in altri articoli – dell’indottrinamento degli emigrati che sono andati a cercare lavoro nell’Arabia saudita wahhabita, e del potere mediatico dei predicatori televisivi (i cui programmi si moltiplicano perché veicolano, con i loro indici di ascolto, maggiori introiti pubblicitari per le emittenti televisive). A scanso di equivoci, el-Aswani è un musulmano credente, imparentato con figure importanti del clero musulmano egiziano: ma rifiuta il fanatismo che riduce «la religione ai galabieh e agli hidjab»5.
Il riferimento al denaro saudita coglie un aspetto importante: il contesto geo-politico mediorientale, segnato dalla geometria variabile delle politiche imperiali statunitensi e delle mosse e contromosse delle altre potenze locali. Politiche che creano e sostengono il fondamentalismo, ma delle quali i fondamentalisti a loro volta si servono con astuzia e pragmatismo (proprio come le dinamiche di reciproca infiltrazione e strumentalizzazione fra servizi cosiddetti “deviati” e gruppi eversivi neofascisti fra piazza Fontana e la stazione di Bologna): il che non impedisce al romanziere di riconoscere una soggettività politica agli jihadisti (piuttosto che crederli semplici burattini), di comprenderne la pericolosità dei comportamenti politici, e di riconoscerli come nemici da combattere.
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