Autismo. Uno sguardo diverso

Inviato da  Gaia il 12/2/2006 7:24:27
GAIA aveva mandato questa lettera, senza sapere bene a che parte del sito destinarla. Ho quindi pensato di aprire questo spazio apposito, pubblicando per lei questa sua lettera. (Benvenuta Gaia). M.M.

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Io sono nuova e ancora non ho capito bene come funziona la situazione, ma quel poco che ho capito mi dà diritto di pensare che questo sito accolga un po’ le perplessità… e le indignazioni di ciascuno. Allora vi offro la mia indignazione quotidiana e se non rientra nel tema, pazienza, ho detto la mia.

Leggo testualmente dal “Dizionario enciclopedico di scienze mediche” di Taber, alla voce Autismo: “Condizione psicopatologica caratterizzata da introversione mentale con l’attenzione concentrata sul proprio Io (sic: maiuscola!). E’ uno stato mentale caratterizzato dalla chiusura in se stessi con perdita di contatto con la realtà. Sindrome che compare nell’infanzia con sintomi di autoaccentramento, inaccessibilità, solitudine, incapacità a stabilire relazioni, giochi ripetitivi che scatenano (attenti ai termini!) reazioni di rabbia se vengono interrotti…”.

Queste parole cadono come macigni sulla parte più tenera della mia esperienza, perché i miei compagni d’infanzia erano tutti bambini autistici. Me li sono trovata vicino alla culla e fino alla scuola secondaria sono stati loro i miei compagni di gioco: “… inaccessibilità, solitudine, incapacità di stabilire relazioni…?”.

Mio padre, dopo la specializzazione in neuropsichiatria era uno di quei pazzi che non fanno notizia, però decise assieme a mia madre (psicomotricista) di mettere su casa proprio in quel “mondo inaccessibile” di cui il Taber parla. Noi figli, venendo al mondo dopo, non avemmo modo di prendere parte alla discussione in maniera democratica, ma non abbiamo mai avuto modo di pentircene.

Tre ragazzi, di cui io l’unica riuscita di sesso femminile, cresciuti in un ambiente semplice e solare, aperto, dove alla base c’era una regola fondamentale: ognuno esprime la ricchezza del dono che si porta dentro e ognuno trova la capacità di leggere nell’altro quel dono anche in funzione propria. Abbiamo sviluppato quelle capacità che i bambini “normali” spesso tardano a comprendere: accettazione, rispetto dei ritmi dell’altro, affettuosità dolce e volta al bene dell’altro e non al nostro. Ancora oggi per mostrare la mia comprensione, io sono portata ad accarezzare; per dare il mio perdono o per riceverlo, io ho bisogno di un bacio; per dire che sto bene con una persona gli cammino affianco… senza tante parole. Questo lo debbo a loro, a quelli che il Taber definisce come caratterizzati da “introversione mentale con l’attenzione concentrata sul proprio Io”. Per me rimangono le persone più generose e sensibili della terra.

Ovvio, vissuta nell’isola felice, non ho sviluppato tutte quelle difese che invece i bambini “normali” fanno presto a mettere su: mai saputo cosa fosse invidia, gelosia, antagonismo… ero, eravamo tutti, indifesi contro tutto ciò che il mondo ci preparava. Anche ora. Tanto che a trovare questa “scientifica” definizione, ancora mi bolle il sangue.
Perchè ho pensato a mio padre e a mia madre e al loro sogno, e ho sentito rabbia per loro.

Ma poi neanche tanta: ne avranno sentite tante, così come ne ho sentite io… ma continuano a crederci.

PS. Scusatemi lo sfogo. Era tanto per dire che “luoghi comuni” ce ne stanno in tutte le salse.

Gaia.

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