Re: I paradossi: alta filosofia, o falso problema?

Inviato da  lamefarmer il 1/9/2007 22:22:13
Forse ho una chiave di lettura non "accademica" che potrà risultare interessante.

Divido in due la questione di MM.
La prima parte riguarda la validià del paradosso come mezzo di lettura della realtà.
Russel crea il paradosso come semplice tratagemma matematico per controbattere la logica dei riduzionisti (Gottlob Frege), perché é un matematico prima d'essere filosofo. Ma a prescindere da ciò egli finì poi per difendere quelle stesse logiche con altri matematici (vedi B.Russell su Wikipedia)
Quindi credo sia corretta in questo senso la posizione di MM: Russell ha volutamente costruito paradossi irreali, di cui non ha senso perdere tempo a discutere nella realtà.

Diversa é la faccenda (per esempio) dell'attribuzione di significato dei termini (lemmi e locuzioni) usati per comunicare. Se dico anima, parlo di un concetto (astratto), di un principio vitale (anima=respiro) o di un concreto fuori dall'esperienza sensoriale? Peggio se cerco di attribuire significato ad amore o ad altri lemmi effimeri, come Dio o Mente.
Assieme a queste confusioni la comunicazione si impregna anche di stati emotivi e di realtà taciute, per sintesi, convenienza o anche solo calcolo.
Senza contare poi la lettura nella realta in cui si cala la comunicazione: "All'anima de li mortacci, Amore mi passi quel coltello, per Dio?!"
é una comunicazione che contiene tutte le parole precedentemente esaminate, senza avere nessuno dei loro contenuti.
Ma non é un paradosso usare significati per comunicare senza quei significati?

La seconda é la mia posizione personale, che sta su altri pianeti.
Il mio punto di vista parte dal considerare che la realtà é SOLO paradossale.
Non può essere altrimenti, dato che fonda i suoi presupposti su un paradosso, cioé che ognuno di noi sia capace di osservare se stesso.

Seguitemi con pazienza perché il ragionamento altera gli schemi tradizionali del pensiero, quindi é difficile da comprendere.
Tutta la conoscenza attuale si basa sulla condizione di monostato di un qualunque corpo nel tempo zero (nell'instante).
Se parto da questo principio posso dire che il passaggio dallo stato A a quello B di C, é o meno possibile (vero o falso), cioé posso ridurre sottoforma di proposizioni la realtà conosciuta.
Per ciò che concerne l'esperienza comune , questo si traduce con il fatto che non posso dire che mio figlio è il padre di mio fratello, perché la proposizione e possibile dimostrarla empiricamente falsa nella esperienza comune.

Tuttavia ogni paradosso (per la definzione che mi guida) é reale, ed ogni realtà é un paradosso.

Infatti se distendiamo l'apparente paradosso precedente sul piano temporale, per esempio, si può continuare a dire che sarà sempre così? Forse si poteva affermare nel 1800, prima della rivoluzione genetica. Mettiamo che un giorno i figli si facciano in provetta, e possano crescere in modo accellerato in laboratorio, fino a raggiungere l'età matura sessualmente, in forma clonata. Fantascenza? Si, ma di un futuro realistico. Se poi questo clone facesse un altro figlio con mia moglie (magari sempre in vitro) il nuovo venuto corrisponderebbe al paradosso.

Non voglio dire però con questo che sono d'accordo con la clonazione, ma che la realtà esperienziale é chiusa solo da dogmi, da preconcetti, non da se stessa. Questo però la logica (classica) non lo può accettare.

Tuttavia c'é un errore (a mio giudizio) di fondo, che non considera che un corpo (o per dirla come preferisco un target) non é mai solo "uno stato", ma é sempre il risultato di un interazione di infiniti stati (praticamente tutti) e che la risultante non é mai lo stato per definizione, ma lo stato osservato
Quindi non uno casuale, ma in un certo senso quello su cui abbiamo focalizzato l'attenzione nell'istante zero.

Con questo non voglio dire che focalizzando l'attenzione correttamente tireremo fuori conigli dal cilindro, svolazzeremo per aria come superman e al nostro passaggio cresceranno tulipani dove mettiamo i piedi.
Quella che da molti altri é stada definita "allucinazione collettiva", o "sogno di un altro" e che siamo abitutati a identidicare come realtà tramite i sensi, ha delle regole, deve averne per poter soppravvivere a se stessa (altrimenti non sarebbe realtà ma semplice accozzaglia confusa di eventi a casaccio).
Più facilmente chi esce dalle sue regole, perderà la capacità di rimanere in contatto con quanti vi partecipano: più o meno come chi esce da una stanza dove si svolge una festa.

Tuttavia, non é possibile ritenere che una realtà di stati riconoscibili e distinti, coerente a se stessa, permanga ugualmente coerente se poggia la sua verità (esistenza) su una realtà indistinta, iperdensa e caotica, esattamente come non é possibile che un aereo permanga in volo in eterno: senza poter determinare come, é comunque sicuro che prima o poi verrà giù.

Quindi, le conseguenze estreme di questa posizione (personalissima) mi portano naturalmente a non soprendermi se vedo un corpo svanire nel nulla (magari rimango affascinato, per via del fatto che non è uno spettacolo comune ai miei sensi) come non mi da pensiero il fatto che questa realtà avrà una fine (cioé non lo ritengo una eventualità catastrofica ma solo un epilogo logico).


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