Bene, prealbe. Io ritengo che il potere abbia SEMPRE provocato disastri. Quando così non è stato (rarissimamente) il relativo periodo di “tregua” gli è servito a rafforzarlo.
L'impero Gupta è stato uno dei maggiori imperi politici e militari dell'antica India. Fu governato dalla dinastia Gupta tra il 240 e il 550 d.C. e occupò la maggior parte dell'India settentrionale, degli attuali Pakistan orientale e Bangladesh.
Sotto questo impero si ebbe un periodo di pace e prosperità che favorì lo sviluppo culturale: viene considerata l'"età dell'oro" della cultura indiana dal punto di vista artistico, letterario e scientifico (in modo analogo alle dinastie Han e Tang in Cina e alla cultura greco-romana per la civiltà occidentale).
[Rinaldo d'Este] Per cercare di sollevare le condizioni del popolo minuto, che la crisi economica aveva letteralmente ridotto alla fame, controllò strettamente il mercato del grano, arrestando anche alcuni nobili che ne facevano aggiotaggio, ed il prezzo diminuì sensibilmente. Continuarono gli acquartieramenti alemanni, ma impose, per il loro mantenimento, imposte ai feudatari, alle quali si assoggettò lui medesimo, e migliorarono così le condizioni di vita dei contadini.
Nel 1414, alla morte di re Ladislao, il regno passò alla sorella Giovanna II, ma un anno dopo, la città di Nardò fu assaltata da Luigi Sanseverino, che governò con giustizia e benevolenza. Sotto il suo governo, rifiorirono le palestre per la ginnastica e l'esercizio delle armi, ma soprattutto le Scuole Neretine, in cui studiarono gli intellettuali più rappresentativi dell'epoca, affidate a dotti maestri di grammatica, teologia, filosofia "scientifica" aristotelica. Il Galateo decantò l'importanza di tali scuole.
Ruggero il Normanno entrò in città nel settembre del 1140, tra le più festose accoglienze non solo del popolo, ma dei nobili, dei cavalieri e del clero che gli andarono incontro fuori la porta di Capua e lo scortarono fino all'Episcopio. I napoletani sono facili agli entusiasmi e può ben essere che i normanni avessero scaldata la loro fantasia e il loro sentimento. Quegli uomini del Nord, che, in periodo pienamente storico, seppero crearsi una leggenda epica, con avventure e imprese quasi incredibili, si conquistarono l'animo di questa gente del Sud, amante delle audacie sensazionali. Tanto più che Ruggero, il giorno seguente il suo ingresso in Napoli, volle rendersi conto dello stato della città, attraversandone le strade a cavallo e, convocato il popolo nel castello del Salvatore, parlò affabilmente, discutendo con esso della libertà e degli interessi dei cittadini e promettendo buone cose a tutti per il futuro.
In seguito Ruggero, pur avendo visitato Salerno, Capua, Gaeta ed Aversa, non tornò più a Napoli. Ma non venne meno alle promesse e governò con giustizia e saggezza, senza far sentire alla città il peso del suo dominio; ne fece duca il figlio Anfuso; e, morto costui (1144), insignì dello stesso titolo l'altro figlio Guglielmo, principe di Tarante e di Capua.
Ultima a cadere sotto la dominazione barbarica fu l'Italia: con la sua occupazione Odoacre poneva inconsapevolmente fine alla storia dell'impero di Occidente (476)
Questo rozzo uomo d'arme, che ebbe la ventura di legare il suo nome ad un avvenimento di tanta importanza, resse il potere per alcuni anni con equilibrio e mitezza d'animo, mostrandosi, sebbene ariano, tollerante con i cattolici e rispettoso delle consuetudini e delle leggi locali.
Gaio Giulio Cesare Ottaviano Augusto (in latino Gaius Iulius Caesar Octavianus Augustus; nelle epigrafi: C•IVLIVS•C•F•III•V•CAESAR•OCTAVIANVS [2]; Roma, 23 settembre 63 a.C. – Nola, 19 agosto 14) meglio conosciuto come Ottaviano o Augusto, fu il primo imperatore romano.
Il Senato gli conferì il titolo di Augustus il 16 gennaio 27 a.C.,[3] e il suo nome ufficiale fu da quel momento Imperator Caesar Divi filius Augustus (nelle epigrafi IMPERATOR•CAESAR•DIVI•FILIVS•AVGVSTVS [4]). Nel 23 a.C. gli fu riconosciuta la tribunicia potestas e l'Imperium proconsulare a vita,[5] mentre nel 12 a.C. divenne Pontefice Massimo.
Restò sul trono sino alla morte, e il suo principato fu il più lungo della Roma imperiale (44 anni dal 30 a.C.[6], 37 anni dal 23 a.C.).[7]
L'età di Augusto rappresentò un momento di svolta nella storia di Roma e il definitivo passaggio dal periodo repubblicano al principato. La rivoluzione dal vecchio al nuovo sistema politico contrassegnò anche la sfera economica, militare, amministrativa, giuridica e culturale.
Augusto, negli oltre quarant’anni di regno, introdusse riforme d'importanza cruciale per i successivi tre secoli:
• riformò il cursus honorum di tutte le principali magistrature romane, ricostruendo la nuova classe politica e aristocratica, e formando una nuova classe dinastica;
• riordinò il nuovo sistema amministrativo provinciale anche grazie alla creazione di numerose colonie e municipi che favorirono la romanizzazione dell’intero bacino del Mediterraneo;
• riorganizzò le forze armate di terra (con l’introduzione di milizie specializzate per la difesa e la sicurezza dell’Urbe, come le coorti urbane, i vigiles e la guardia pretoriana) e di mare (con la formazione di nuove flotte in Italia e nelle provincie);
• riformò il sistema di difese dei confini imperiali, acquartierando in modo permanente legioni ed auxilia in fortezze e forti lungo l’intero limes;
• fece di Roma una città monumentale con la costruzione di numerosi nuovi edifici, avvalendosi di un collaboratore come Marco Vipsanio Agrippa;
• favorì la rinascita economica ed il commercio grazie alla pacificazione dell’intera area mediterranea, alla costruzione di porti, strade, ponti e ad un piano di conquiste territoriali senza precedenti,[8] che portarono all’erario romano immense ed insperate risorse (basti pensare al tesoro tolemaico o al grano egiziano, alle miniere d’oro dei Cantabri o quelle d’argento dell’Illirico);
• promosse una politica sociale più equa verso le classi meno abbienti, con continuative elargizioni di grano e la costruzione di nuove opere di pubblica utilità (come terme, acquedotti e fori);
• diede nuovo impulso alla cultura, grazie anche all'aiuto di Mecenate.
In seguito al Congresso di Vienna, Maria Luigia fu proclamata sovrana e duchessa dei Ducati di Parma, Piacenza e Guastalla e se ne appropriò il 20 aprile 1816, accompagnata dal suo amante, il generale austriaco Neipperg. Da questo intenso legame sarebbero nati due figli, Albertina e Guglielmo, che Maria Luigia non poté riconoscere legalmente ma che avrebbero allietato gli anni della sua maturità, dopo il profondo dolore causato dalla morte per tisi del suo primogenito.
Durante la sua permanenza a Parma la sovranità austriaca seppe conquistare l'amore e la fiducia dei suoi sudditi governando per un lungo periodo in pace e prosperità, Parma progredì sotto ogni punto di vista e divenne più bella.
Fece costruire ponti, dighe, ospedali e orfanotrofi; fece ampliare anche l'Università: ben presto il popolo la soprannominò con simpatia "la buona duchessa".
Neipperg morì nel 1829 e nel 1834 la duchessa si risposò con il conte Charles-René di Bombelles.
Maria Luigia si comportò egregiamente anche di fronte all'epidemia di peste del 1836: visitò personalmente gli ospedali, aiutò le famiglie dei copiti con soldi e viveri.
Negli ultimi tempi della dominazione bizantina la debolezza del potere centrale aveva consentito all'aristocrazia terriera di rafforzarsi, ma il forte regime accentrato degli ottomani riuscì a eliminare quasi completamente le abitudini feudali, sopprimendo le forniture obbligatorie di lavoro e di beni, cui subentrò una semplice imposta, mentre sulla rigorosa applicazione della legge vigilavano funzionari alle dirette dipendenze del sultano. Scarsa fu quindi l'adesione dei contadini cristiani alla lotta antiottomana condotta dai loro signori e fino al XVII secolo i Balcani non conobbero serie ribellioni contadine. Gli ottomani cercarono comunque di legare a sé tutte le classi sociali: i contadini mediante la possibilità di accedere al potere per mezzo del sistema di reclutamento militare, i latifondisti tramite l'inserimento delle terre nel sistema del tîmâr. Durante il XVI secolo i Balcani vissero un periodo eccezionale di pace e prosperità, caratterizzato dalla messa a coltura di nuove terre, dall'incremento demografico che condusse al raddoppio della popolazione (un milione di famiglie verso il 1535) e dallo sviluppo dei centri urbani.
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