Re: Anarchia

Inviato da  carloooooo il 17/2/2008 21:03:47
Ciao Flo,

non considero il “sistema” come una entità a sé stante, come penso di aver chiarito nel mio post precedente parlando di pervasività. Dici bene quando affermi che lo considero quasi

Citazione:
un’architettura nella quale è impossibile intervenire senza astrarsene completamente.


ma sostengo questo proprio perché il “sistema” NON è un'entità a sé stante ma, appunto, pervasiva.

Di più, ritengo che sia proprio la posizione che vede nello Stato l'origine dei mali e nella sua eliminazione la via per estirparli che noto una semplificazione “filosofica” della questione, un dividere ciò che è intrinsecamente unito, ossia prendere separatamente aspetti del meccanismo del potere, inteso in senso ampio, che invece sono intrecciati e di cui lo Stato costituisce solo un epifenomeno.

Mi piace citare la tua firma, perché la condivido: il potere è OGNI potere. Ma bisogna trarre tutte le conseguenze di questa affermazione.

L'istituzione statale è una configurazione storicamente determinata di potere esercitato da un gruppo dominante, e sia la sua nascita che la sua evoluzione seguono l'evolversi dei rapporti gerarchici a livello sociale (dando a questo termine un significato ampio, inclusivo della sfera economica, che ne costituisce la componente fondamentale almeno da quando è diventata, per dirla con Polanyi, disembedded, ossia da quattro-conque secoli a questa parte).

Per fare un esempio, Foucault in Sorvegliare e punire mostra come la grande riforma del diritto penale teorizzata e poi gradualmente attuata nell'epoca dei lumi sia niente altro che la risposta di una precisa esigenza di un gruppo sociale emergente, quello della borghesia. Foucault riprende in sostanza la ricostruzione storica di Marx riguardo alle enclosures inglesi, considerate dal filosofo tedesco la fonte primitiva dell'accumulazione orgininaria capitalistica, e mostra come la modifica dei rapporti di produzione e l'emergere della borghesia abbiano modificato anche l'ideologia filosofica e politica che sottende il diritto penale. E, aggiungo io, abbiano contribuito alla definizione dello Stato moderno.

Se fino al Settecento infatti gli illegalismi nei confronti della proprietà da parte degli strati inferiori erano ampiamente tollerati (“diritto di pascolo dopo la prima fienagione, raccolta di legna, ecc.”), con l'avvento dello sfruttamente intensivo della proprietà terriera e della concentrazione produttiva (porti, laboratori industriali di grandi dimensioni, depositi) da parte della borghesia, la proprietà privata si spoglia delle consuetudini feudali e il suo possessore ne diviene il signore assoluto. Il diritto penale si adegua di conseguenza e si riconfigura nella nuova forma tutt'ora accettata dell'assoluta inviolabilità della proprietà.

Ho citato questo esempio per mostrare come l'evoluzione dello Stato segua la dinamica dei rapporti di potere in campo sociale, in questo caso della raggiunta supremazia delle ragioni della emergente borghesia mercantile e industriale su quelle (pre-statuali) del feudalesimo latifondista.

Lo Stato non è dunque una entità a sé stante, ma la viva espressione di un dominio di gruppi (“classe” non mi sembra un termine adeguato alla situazione odierna) che utilizzano la coercizione fisica del Leviathan per mantenere il proprio status, ma che – in quanto determinati a preservare la loro egemonia – non esiterebbero a riproporla in tutti i modi nel caso lo Stato per un motivo qualsiasi scomparisse.

Affermare che il potere non si identifica con lo Stato e men che meno ne è conseguenza, bensì causa, significa in primo luogo destituire dell'aura di sacralità e di onnipotenza di cui lo Stato viene ammantato proprio dai suoi detrattori. Il vero motore della subordinazione e della coercizione va cercato molto più a monte, a meno di non scambiare causa ed effetto. Per questo non capisco quando affermi che l'anarchia

Citazione:
non preclude certo la possibilità di svolgere una qualsivoglia attività, se essa non prevede sfruttamento e creazione di potere.


La creazione e lo sfruttamente del potere, preesistenti all'istituzione statale, vanno ricercati in ambito sociale, e non esiste nessun motivo cogente per sostenere che non dovrebbero sussistere in sua assenza. Il vero obiettivo di una pratica realmente libertaria sarebbe secondo me quello di tentare di capire che cosa inneschi il meccanismo del potere che sembra contraddistinguere la storia umana fin dall'alba dei tempi, e non di operare contro una delle sue cristallizzazioni (la più visibile) nella vana speranza che, mandata una volta questa in frantumi, non se ne riproponga un'altra.

Riguardo al tema della proprietà privata in senso stretto, di Proudhon non so praticamente nulla, ma il ragionamento della citazione che hai riportato mi sembra alquanto debole:

Citazione:
"Il suo ideale è fondato prima "sull’eguaglianza delle condizioni, cioè dei mezzi, non sull’eguaglianza del benessere, la quale a parità di mezzi dev’essere opera del lavoratore", e poi - sorpresa, sorpresa - sul "possesso individuale", unica "condizione della vita sociale", e infine, sulla "libera associazione, la libertà, che si limita a mantenere l’eguaglianza nei mezzi di produzione e l’equivalenza negli scambi", fondamenti della "sola forma di società possibile".


La critica è molto semplice: come è possibile “mantenere l'eguaglianza nei mezzi di produzione” nel momento in cui, dato che non deve vigere alcuna “uguaglianza del benessere”, il lavoratore ha tutto il diritto di accumulare e reinvestire?

Carlo

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