Re: Anarchia

Inviato da  carloooooo il 8/11/2006 0:38:22
Non sono un economista, né ci tengo a diventarlo. Non sono quindi in grado di fare considerazioni di quel tipo. Pensare, però, mi piace. Purtroppo, anche se l'interesse è grande, mi manca il tempo materiale per approfondire l'affascinante teoria dell'anarco-capitalismo. Mi sono dovuto fermare perciò all'articolo di Guglielmo Piombini postato in precedenza che riassume, spero senza distorcerla, l'essenza di questa teoria.

Innanzi tutto, l'anarco-capitalismo “si pone, ad un tempo, come negatore assoluto dello Stato e come strenuo sostenitore della proprietà privata e del libero mercato.” Ciò è strettamente collegato con l'assunto che “per gli anarchici-liberisti, gli uomini nascono con dei diritti assoluti sulla propria persona, sui frutti del proprio lavoro e su tutto ciò che si ottiene, senza violenza e senza frode, per contratto e dono. Nessun altro uomo o gruppo di uomini, quand’anche rappresentassero la maggioranza, può permettersi di violare questi diritti naturali.”

Il problema è che, sotto sotto, si assurgano a valori assoluti la proprietà privata e l'inviolabilità dei contratti. Cosa vuoi che sia, mi si risponderà. Effettivemente, qui il problema non è pratico, ma teorico: è possibile (forse probabile) che “praticamente” si trovino 6 miliardi di persone d'accordo su questi principi, ma ciò non toglie che questi ultimi siano stati posti a priori come veri e buoni e giusti. Il che suona abbastanza strano per una teoria che rifiuta tutto ciò che non è scelto ma imposto (“Nessuno, infine, avrebbe il diritto di costringere chicchessia a fare o pensare qualcosa”). Però questo, ripeto, è solo un problema teorico, oserei dire teoretico. Da filosofi perdigiorno, insomma.

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Problemi pratici potrebbero invece risultare da questa affermazione:

“Invece che da una struttura burocratica monopolistica e coercitiva, tutte le funzioni oggi esercitate dallo Stato, comprese l’istruzione, la cura dei malati, la costruzione di strade, la battitura delle monete, l’assistenza ai poveri, e perfino le funzioni poliziesche e giudiziarie, possono essere svolte in maniera infinitamente più morale ed efficiente da agenzie private in concorrenza tra loro, mediante contratti volontari stipulati con gli utenti e i consumatori, fatti osservare da tribunali privati di arbitrato in un libero mercato.”

In primo luogo, non si capisce cosa significhi, per una azienda, agire in maniera morale (soprattutto se non esiste una morale, ma tante quante sono le persone su questo pianeta). Ma forse è solo una espressione infelice del Piombini, e sicuramente la teoria in sé non ne viene intaccata.

Inoltre, ed è a mio parere la domanda cardine che mi viene da rivolgere a chi sostiene questa posizione, cosa sono questi “tribunali privati di arbitrato” a cui spetta giudicare dei contrati volontari (che abbiamo capito essere intangibili)? Come funzionano questi tribunali? Ma soprattutto: chi esegue le loro sentenze?

Ovviamente, “l'agenzia privata”.

Già m'immagino. Possiedo una piccola impresa e un mio cliente si dimostra a tutti gli effetti insolvente. Mi rivolgo al mio tribunale di fiducia, che, essendo io suo cliente fisso ormai da anni, ovviamente mi da ragione (perché l'anarco-capitalismo non prevede nessun comportamento virtuoso da parte degli uomini, ma solo ed esclusivamente “egoistico e razionale”, finalizzato al profitto. Ma su questo torno dopo.). Per cui, santenza alla mano, vado dalla mia agenzia-di-ordine-pubblico di fiducia e dico: “andiamo da questo tizio, mi deve dei soldi, lo dice il mio giudice”. Peccato però che il giudice di fiducia del mio cliente, che non è scemo, non sia d'accordo e abbia sentenziato che in verità aveva tutto il diritto di non pagarmi per questo quello e quell'altro motivo, dei quali qui non ci interessa discutere. Quindi, o me ne torno a casa mogio mogio (e senza dinero), oppure inizio una piccola guerra tra la mia agenzia-di-ordine-pubblico e la sua. Sempre che questa non mi lasci da solo a farmi impallinare perché non considera proficuo guerreggiare.

E poi, ma non era che “nessuno avrebbe il diritto di costringere chicchessia a fare o pensare qualcosa”? Quindi se uno non mi paga non posso costringerlo a farlo, se il valore della libertà è assoluto e quindi maggiore del dovere di rispettare i patti. Infatti “ciò che noi difendiamo è il diritto inalienabile e fondamentale di ciascuno alla protezione da ogni forma di aggressione esterna, provenga essa da individui privati o dallo Stato.” (Ruthbord)

Inalienabile, assoluto.

Un piccolo appunto su Ruthbord:

“In una società libertaria niente vieterebbe la droga, il gioco d’azzardo, la pornografia, la prostituzione, le deviazioni sessuali, tutte attività che non costituiscono delle aggressioni violente nei confronti degli altri.”

Beh, per attuare questo non è necssario istituire l'anarco-capitalismo libertario. In Olanda fanno anche di meglio. E in Olanda, di leggi, ce ne stanno un casino.

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Il breve saggio procede poi con la critica all'anarchismo collettivistico, che secondo l'autore non è riuscito mai a superare un grosso scoglio: “in assenza di proprietà privata, dove dunque tutto appartiene a tutti, in che modo si decide sui criteri di amministrazione e distribuzione delle risorse comuni, se si rifiuta la regolamentazione di una qualche autorità pubblica?”

Le strade che l'anarchismo tradizionale propone sono due. La prima, è l'attribuzione di un “potere di regolamentazione delle risorse ad una qualche autorità pubblica. Tuttavia, se queste decisioni non sono prese all’unanimità, occorrerà decidere a maggioranza, ed ecco ricomparire il Leviatano statale.” Via perciò impraticabile. La seconda possibilità è la supposizione di un uomo naturaliter buono, ossia dell'homo homini deus, che gli anarco-capitalisti orgogliosamente rifiutano, asserendo che sta proprio qui il punto di forza del loro progetto, il quale infatti “per funzionare non pretende alcuna modifica della natura umana, non vuole creare l’uomo nuovo, com’è nella logica del gulag”.

La vera natura dell'uomo, dalla quale non si intende prescindere, è quella derivata dal “paradigma scientifico, e non romantico, dell'homo oeconomicus”. E qui, forse, si sfora nella cazzata. Già nel momento in cui qualcuno mi parla di “paradigma scientifico” applicato alla natura dell'uomo smetto di ascoltarlo. Ma, anche volendo andare oltre, si deve concludere che questo tipo di anarchismo presuppone -e assolutizza- non solo i principi di proprietà e del pacta sunt servanda ma anche una vera e propria visione antropologica dell'uomo sulla quale si può discutere per delle ore.

Anche ammettendola però ci sarebbe da chiedersi se l'attore economico (leggi: l'insieme di uomini e aziende operanti su tutto il pianeta) abbia sempre una visione perfettamente trasparente della situazione economica, del mercato. Perciò la seguente affermazione mi pare un poco ingenua:

“Nel libero mercato la ricchezza può essere acquisita in un solo modo: servendo nel miglior modo possibile e a minor costo i bisogni della gente. Coloro che soddisfano i bisogni di un numero maggiore di persone ricevono più voti-denaro-di coloro che soddisfano il bisogno di un minor numero di persone. I capitalisti perdono immediatamente il loro denaro se lo investono in quelle attività che non soddisfano le esigenze del pubblico.”

La frase mi sembra ingenua perché “le esigenze del pubblico” prima si creano, e poi si soddisfano. Marketing. E non ditemi che senza stato non ci sarebbe neanche il marketing. Ci sarebbe invece da chiedersi a quali forme di induzione all'acquisto potrebbe giungere un marketing privo di regolamentazione.

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Quanto mai simpatica è invece la proposta di dividere tutto l'esistente in proprietà private per evitare, ad esempio, l'inquinamento: “si è mai vista una fabrica scaricare impunemente i propri rifiuti in un giardino o un terreno privato altrui?”, dice il nostro Piombini. Gli spazi di tutti sono invece “inquinati proprio perchè, essendo di tutti, nessuno ha interesse a sforzarsi per mantenerli puliti e in ordine.”

Sarei d'accordissimo con questo ragionamento se, ad esempio, la falda acquifera sotto la fabbrica non fosse la stessa da cui attinge il mio pozzo, o l'aria inquinata se la respirassero solo i proprietari di suddetta azienda (infatti l'attento lettore non ritiene che l'aver preso a titolo di esempio “il terreno privato altrui” e non “l'aria” sia stata una scelta casuale).

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Tornando al pericolo delle assolutizzazioni in agguato, si tenta di salvaguardare la teoria dalle probabili critiche affermando:

“Nella società ideale anarchico-capitalista, si badi bene, il rispetto del principio di base della concorrenza sul mercato non implica nessuna imposizione e nessuna scelta a priori sul tipo di società (capitalistica, socialista, mutualistica, autogestionaria, comunista, religiosa...) da edificare: l’importante è creare una struttura di fondo in cui chiunque, sia capitalista, socialista, sostenitore del sistema mutualistico, autogestito, comunista, o religioso abbia la possibilità di sviluppare il suo modello in concorrenza con quello degli altri, senza costringere però nessuno a vivere in un tipo di società non desiderato. E la base di tutto ciò non può che essere il principio della libertà contrattuale e della proprietà privata”

L'ohibò sovviene naturalmente nel momento in cui mi si dice che non si impone nessun valore a nessuno, ma che puoi istituire la tua società comunista in cui non vige la proprietà privata solo all'interno della tua proprietà privata. Che è un valore assoluto.

Boh?!

Carlo

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