Re: La Frode Scientifica del Secolo

Inviato da  Nyko il 25/12/2012 20:01:19
Non si abbandona mai una teoria semplicemente perché troppo fitta di enigmi impossibili da risolvere: i cambiamenti avvengono solo nel momento in cui si riconosce l'esistenza di una teoria alternativa in grado di funzionare meglio.
Per mutare le convinzioni vigenti in materia di Hiv/Aids, occorre offrire un quadro di riferimento completo per spiegare che cos'è l'Aids, che cos'è l'Hiv e per quale ragione si è affermata per tanto tempo un'interpretazione errata.

A partire dal 1985, sono state effettuate decine di milioni di test dell'Hiv, in grande maggioranza su persone che non si ritenevano a rischio di infezione, come donatori di sangue, militari, partorienti e molte altre categorie.
In qualunque occasione e luogo degli Stati Uniti siano stati effettuati questi test, sono emersi casi di sieropositività all'Hiv.
Non molti: solo pochi individui ogni mille o diecimila, una percentuale simile. Però ovunque.
Se davvero l'Hiv, come sostengono gli esperti, si fosse sviluppato originariamente a San Francisco, New York e Los Angeles non prima degli anni '70, allora non sarebbe possibile ritrovarlo diffuso su un territorio tanto vasto già nel 1985.
Semplicemente, non c'era il tempo necessario perché un virus, che si diffonde per via sessuale, potesse allargarsi a partire dagli ambienti gay di poche metropoli sino al punto da contagiare persino delle reclute dell'esercito non ancora ventenni, sia maschi che femmine, provenienti da ogni angolo della Nazione.

Tra i ragazzi che avevano fatto richiesta volontaria di arruolamento tra il 1985 e il 1989, i casi di positività al test erano equamente ripartiti su entrambi i sessi. E, tuttavia, il 95% delle vittime dell'Aids, all'epoca, era rappresentato da maschi [1].

Di norma, la percentuale di individui positivi al virus dell'Hiv registrata fra i donatori di sangue e le reclute militari, negli ospedali e nelle cliniche, non è tanto sbilanciata: circa due uomini per ogni donna, dunque un 65%, non certo un 95%.
Tra gli adolescenti, inoltre, il numero di casi femminili di sieropositività, supera spesso quello registrato tra i coetanei maschi.

E i neonati come contraggono l'infezione? Dalla madre, naturalmente.
Ma perché i neonati maschi registrano un tasso di infezione superiore del 25% a quello delle femmine?
Si ritiene che quella da Hiv sia un'infezione permanente. In caso di contagio, non c'è modo di liberarsene. Secondo questo principio, dunque, la diffusione dell'Hiv non può diminuire in una popolazione, ma solo aumentare. Eppure i dati mostrano una sua effettiva diminuzione nel corso degli anni '80, in tutti gli Stati ed in tutti i gruppi esaminati: donatori di sangue, soldati in servizio attivo, reclute, studenti dei programmi di formazione statali, individui che si erano sottoposti al test in cliniche di ogni tipo.

Di solito, tra chi fa uso di sostanze stupefacenti, si registra una più elevata percentuale di positività al test dell'Hiv. Ma, tra chi ha smesso di drogarsi, l'incidenza è minore e tende a diminuire con il passare del tempo, purché i soggetti non ricomincino a fare uso di stupefacenti. Come sono potuti guarire?

I neonati risultano positivi al test dell'Hiv con una frequenza tra le quattro e le dieci volte maggiore rispetto ai bambini di età compresa tra un anno e l'adolescenza. Come fanno questi neonati a guarire?

Perché i tossicodipendenti che si scambiano le siringhe mostrano livelli di infezione inferiori a quelli di chi usa aghi sterili, come è emerso da un confronto dei dati raccolti presso le stesse cliniche e in due paesi diversi?
E perché chi fuma il crack mostra un livello di infezione più elevato rispetto a chi si inietta cocaina?
E perché chi si inietta cocaina mostra un livello di infezione più elevato rispetto a chi si inietta eroina, che, a propria volta, rischia maggiormente rispetto a chi si inietta anfetamine? Forse perché l'anfetamina sterilizza gli aghi?

Nel giugno del 2005, un comunicato stampa dei "Centri per il Controllo e la Prevenzione delle Malattie" annuncia che il numero di americani infettati dall'Hiv ha superato "per la prima volta" il milione di unità.
Vent'anni prima, nel 1986, la stima oscilla tra il milione e il milione e mezzo di casi; stima poi ridimensionata nel corso dei mesi successivi alla forbice 945.000-1.410.000. Si tratta di cifre piuttosto precise, perciò i Centri dovevano esserne piuttosto sicuri.
Nel 1990, si valuta che circa un milione di americani dovesse essere stato contagiato ma che, all'inizio del 1986, gli individui infetti fossero solo 750.000.
Nel 1993, la blasonata rivista "Science" stima oltre un milione di casi in tutti gli Stati Uniti.
Nel 2005, dodici anni più tardi, siamo di nuovo a quota un milione... "per la prima volta"?!

Da qualsiasi punto di vista la si voglia considerare, non si tratta di un'epidemia in via di espansione. II numero delle persone infette non è cambiato in modo significativo. Ma non sono cambiati neppure i toni isterici e i tentativi di seminare la paura: la propaganda continua a insistere che chiunque è a rischio e che il sesso non è sicuro.
Considerare quella da Hiv un'infezione sessualmente trasmissibile non ha senso da alcun punto di vista.
Perché mai i pazienti ricoverati per tubercolosi dovrebbero mostrare un'incidenza dell'Hiv pari a quella dei pazienti ricoverati per malattie veneree?
E perché tra i pazienti degli ospedali psichiatrici si registrano livelli di infezione ancora maggiori?
Com'è possibile che la diffusione dell'Hiv sul territorio statunitense mostri esattamente le stesse caratteristiche dopo un lasso di tempo di vent'anni?
E perché la sua distribuzione non è omogenea, evidenziando una prevalenza di casi lungo la costa atlantica e nel Sud rispetto al Centro-Nord? E questa distribuzione è stata riscontrata in tutti i gruppi presi in esame: reclute dell'esercito, studenti dei programmi di formazione statali, partorienti e persone che si erano sottoposte al test in cliniche di ogni genere! Che cosa c'è di tanto pericoloso nelle pratiche sessuali diffuse nel Sud-Est e lungo la costa atlantica?
Perché gli asiatici contraggono meno facilmente l'infezione rispetto ai bianchi che, a loro volta, si ammalano meno facilmente dei latino-americani, che, tuttavia, si ammalano comunque meno degli afro-americani? E questa caratteristica si ripresenta in tutti i gruppi esaminati - militari, marinai, Marines, donatori di sangue, neo-mamme ecc. - sempre nello stesso modo! Quale tipo di virus discrimina le sue vittime su base razziale?

La ragione non sta nel fatto che le minoranze etniche sono state discriminate tanto a lungo da aver sviluppato naturalmente una tendenza a contrarre più facilmente le malattie sessuali. I nativi americani, forse l'etnia più discriminata di tutte, vantano infatti un livello di infezione minore rispetto a quello registrato fra la popolazione latino-americana, e decisamente inferiore rispetto a quello degli afro-americani.
E perché i latino-americani della costa occidentale contano percentuali di infezione paragonabili a quelle della popolazione anglo-americana, mentre sulla costa orientale sono sieropositivi quasi quanto gli afro-americani [2]?

Vi chiedo solo di considerare i dati. Dati presenti in articoli apparsi su riviste rispettabili, scritti, riveduti e corretti da gruppi di esperti, e nelle relazioni ufficiali dei "Centri per il Controllo e la Prevenzione delle Malattie" e del "Dipartimento della Difesa", tutti liberamente consultabili e facilmente reperibili online su
"Hiv feat. Aids - La Frode Scientifica del Secolo".
Note e fonti:
[1] Tutte le seguenti affermazioni sono pienamente confermate dalle fonti originali presenti nella letteratura medico-scientifica istituzionale. Queste fonti sono citate in "The origin, persistence and failings of Hiv/Aids theory", di Henry H. Bauer, Me Farland, Jefferson NC, 2007
[2] Molte di queste fonti sono citate anche nel libro di cui alla nota precedente

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