Re: Euro o Lira: Riassunto discussione

Inviato da  perspicace il 16/4/2014 15:23:16
Citazione:

Merio ha scritto:
Qualcosa di certo c'è...

Dovremo pagare una certa somma di danaro...[...], ma quale cifra sarebbe adatta ?


Citazione:
da toussaint il 15/4/2014 16:15:21

perspicace,[...] poi di quale inflazione e di quale Q.E. europeo parli?
ma in che mondo vivi?


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Per Merio la cifra reale va fra i 5 miliardi e i 7 miliardi di €uro.


Per Toussaint il Q.E. Europeo lo ha annunciato Draghi e ci sara fra 6 mesi per un valore di 1000 miliardi di € , mentre per l'Inflazione se avessi letto cosa prevede il testo del Fiscal Compact invece di parlare a sproposito sapresti che la chiave di volta per stabilire quanto dovremo pagare.

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Fiscal Compact: quello spauracchio misconosciuto è davvero uno spauracchio?

Da quando, con provvedimento rapidamente approvato dal Parlamento nel luglio 2012, è entrato in vigore il “Trattato sulla stabilità, coordinamento e governance nell’unione economica e monetaria”, lo spettro della povertà e del disastro ha cominciato ad essere agitato da più o meno improvvisati catastrofisti di professione. A questa già folta schiera di menagramo si sono via via aggiunti altri solerti protagonisti, forse affascinati dalla prospettiva di una facile presa delle coscienze di un messaggio tanto dirompente quanto falso.

Il 19 luglio 2012 il quotidiano Libero titolava: “pagheremo 45 miliardi di euro all’anno per 20 anni”. Silvio Berlusconi, il cui governo aveva promosso e portato in parlamento il pareggio di bilancio in costituzione, con una tipica manovra di contraddizione e disconoscimento delle proprie azioni, ha attaccato a più riprese il trattato. Mario Monti, non un omonimo ma proprio il presidente del consiglio dell’austerity, il 17 giugno 2013 dichiarava “Non avrei aderito al six pact, con l’impegno di rientro nel fiscal compact”. Grillo in prossimità delle elezioni europee promette di stracciare una carta che costerà agli italiani 50 miliardi all’anno di sacrifici. Politici di ambo gli schieramenti hanno ripetutamente cavalcato l’onda emotiva della paura confermando l’avvento di un periodo di lacrime e sangue in salsa greca per via della riduzione del debito voluta dai despoti di Bruxelles.

Sorge spontanea una domanda: se il Fiscal Compact non è voluto da nessuno, chi lo ha votato?

Poiché è un trattato ad adesione tenderemmo ad escludere che si sia votato da solo o che una mano invisibile, magari quella di un ipnotizzatore, abbia guidato i 368 deputati e i 216 senatori che il 19 e 12 luglio 2012 votarono a favore dell’odiato provvedimento. Sfuggirono all’ipnosi solo i parlamentari della Lega e dell’IDV più qualche pidiellino isolato come Martino e Crosetto e il democratico Vita.

Nasce invece il sospetto che, al solito, i politicanti italiani facciano una cosa e ne raccontino un’altra, perché pochi sono gli osservatori che hanno voglia, tempo e stimoli per controllare e ancor meno i cittadini che pensano che la coerenza fra pensiero e azione sia un valore.

Sia come sia il Fiscal Compact c’è e bisogna rispettarlo, ma davvero costerà agli italiani alcune decine di miliardi all’anno? Ad una prima analisi superficiale si direbbe di si dato che prevede una procedura di rientro del rapporto fra debito pubblico e prodotto interno lordo inferiore al 60%. A questo punto, prima di avventurarci nel difficile meccanismo che calcola l’entità del rientro del debito, occorre ricordare come si è arrivati all’unione europea e all’euro.

Maastrict prevedeva che i Paesi aderenti si impegnavano a rispettare 4 parametri:

Rapporto debito pubblico/pil non superiore al 60%
Rapporto deficit/pil non superiore al 3%
Tasso d’inflazione non superiore dell’1,5% rispetto a quello dei Paesi più virtuosi
Tassi d’interesse a lungo termine non superiori del 2% rispetto a quello dei 3 Paesi più virtuosi
Nel 1998, anno in cui l’Euro cominciò ad essere usato sui mercati finanziari il quadro che si presentava era il seguente:

grafico uno

Come si vede nel grafico l’Italia aveva il secondo debito pubblico più alto e rispettava solo il parametro dell’inflazione.

Nel 2011 la situazione si presentava invece in questo modo:

grafico due



Grecia a parte, il nostro Paese ha avuto la performance peggiore in termini assoluti mentre l’aumento percentuale maggiore è stato quello dell’Irlanda.

Il Documento di Economia e Finanza appena elaborato dal ministero delle finanze prevede che a fine 2014 il debito pubblico italiano sarà al 134,9%.

Dunque, acquisito per buono questo dato e considerato che il debito pubblico ammonta a circa 2.106 miliardi e il prodotto nazionale lordo 1.560 miliardi, il debito che dovremmo avere per rispettare il trattato dovrebbe essere pari a 936 miliardi, ovvero 1.170 miliardi in meno. Se i conti fossero giusti ci sarebbe la necessità di operare una correzione di 58,6 miliardi all’anno per 20 anni.

Così ragionano Grillo, la Lega, e tutti quelli che ora contestano Euro e trattati.

Perché dunque non si diffonde il panico e il governo non vara questa tanto attesa manovra lacrime e sangue? Perché per fortuna le cose non stanno così e il Fiscal compact dice tutt’altro, se solo lo si volesse leggere.

Prima di tutto ci dice che il parametro è un rapporto, ovvero un’operazione in cui c’è un numeratore e un denominatore, quindi il risultato (il famoso 60%) dipende dal primo, dal secondo o da entrambi. Quando cresce il denominatore (e come vedremo fra poco questo è destinato sempre a crescere) diminuisce il rapporto. Quindi un governo che volesse rientrare nei parametri del trattato potrebbe agire anche solo sulla crescita del prodotto nazionale lordo, a stock di debito costante, per ridurre anno per anno il rapporto debito/pil. Ma, dicevamo, paradossalmente debito e pil potrebbero anche restare costanti in termini reali per vedere ridursi il rapporto perché il pil è valutato in termini nominali, quindi al lordo dell’inflazione. Reuters (http://graphics.thomsonreuters.com/14/03/ITINFLDBT.html) ha messo a disposizione una simpatica applicazione che consente, agendo su diversi parametri, di calcolare entro quanti anni il debito/pil rientrerebbe nel parametro del 60%. Anche in caso di prolungata stagnazione, a tassi d’interesse e surplus commerciale costante, basterebbe un’inflazione del 2,5% annuo per tornare sotto il 60% in 16 anni.

Ma non finisce qui. Infatti ai fini del calcolo bisogna considerare anche l’output gap, ossia la differenza fra pil e pil potenziale. Dunque nella valutazione della correzione sul debito/pil va considerato anche il trend, positivo in caso di crescita economica, in funzione del ciclo economico. Uscendo da un ciclo economico negativo basterà che si verifichi una riduzione del debito nei due anni successivi perché la regola venga rispettata. Anche nel peggiore degli scenari possibili l’eventuale correzione sui conti da operare entro il 2017 non sarebbe superiore ai 5 miliardi. Certo non pochi in valore assoluto (ricordiamo quanta fatica è costata trovare le risorse per eliminare l’IMU sulla prima casa) ma lontanissimi dai 50/58 miliardi fantasticati dai no-euro.

Una delle precondizioni per la partecipazione all’unione monetaria (parametro 4) ha anch’essa una sua funzione. L’euro è in questo momento l’unico elemento che consente all’Italia di avere tassi d’interesse sul lungo termine sostenibili. Da quando abbiamo adottato la valuta europea il risparmio in termini di minori interessi sul debito è stato non inferiore a 500 miliardi, nonostante non siamo stati in grado di ridurre il rapporto debito/pil, anzi l’abbiamo aumentato di 17 punti.

Le lezioni che si possono trarre da questa vicenda sono che:

- La volubilità dei politici italiani è pari alla facilità con cui si riservano i privilegi propri di una casta

- L’Unione Europea è lontana dall’essere un mondo perfetto ma è molto meno brutta di come viene dipinta

- L’euro resta la migliore opzione possibile per risparmiare spesa per interessi

- C’è una diffusa e sospetta ignoranza fra coloro che riversano tutte le colpe della crisi economica sull’Europa

- Occorrono misure concrete e credibili per rimettere in moto la crescita economica e le scorciatoie monetarie (ad esempio le svalutazioni competitive) non sono più possibili.


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