Re: scusate la presunzione ma questa è la mia teoria

Inviato da  a_mensa il 28/11/2009 23:40:15
L’aumento dei prezzi.
La sensazione che il denaro perda valore la si ricava quando le merci che acquisto abitualmente le devo pagare di più.
Gli enti di rilevazione tendono a generare un indice generale dei prezzi, rilevando il prezzo di una certa quantità di beni e servizi valutati di “largo consumo” e facendone una media ponderata.
Verrà fuori un numero che però ha il grave difetto di non tenere conto delle classi di spesa.
Così un aumento del pane potrà essere compensato da un calo del costo del biglietto aereo, senza riguardo al fatto che coloro che hanno il problema della quarta settimana non prendono mai l’aereo, ma in compenso mangiano tanto pane.
E come al solito quindi, quando si parla di medie, inevitabilmente si commettono errori anche grossolani, ma dato che non sono qui a scrivere un trattato sul come raggiungere l’equità sociale, tale indicatore mi va benissimo.
Piuttosto ho l’attenzione sulle motivazioni che portano al fenomeno dell’aumento dei prezzi.
Coloro che stabiliscono i prezzi dei beni e dei servizi, hanno due criteri guida:
a ) riversare sul prezzo i costi
b) massimizzare i guadagni
vi sono poi dei beni, ma soprattutto dei servizi, il cui prezzo non viene stabilito dal mercato ma deriva da considerazioni politiche, e che normalmente vanno “finanziati” in quanto il ricavo non copre i costi.
Tali costi aggiuntivi ricadono quindi sulla fiscalità generale, ma lo si fa perché considerati “essenziali” ovvero legati alla persona in quanto tale, e quindi al suo diritto all’esistenza.
Non sono questi, comunque, quelli di cui mi occuperò qui, anche se possono avere una parte essenziale nella percezione generale dell’aumento dei prezzi. Resta il fatto che tali prezzi siano stabiliti per decisione politica, con tutte le conseguenze del caso, ma che il mercato c’entri poco o punto su di essi.
Invece è più interessante analizzare la formazione dei prezzi “liberi” ovvero soggetti solo al mercato.
È ovvio che il prezzo di vendita di tali beni debba coprire i costi ( se si eccettuano casi di lancio di nuovi prodotti o comunque di incentivazioni ), almeno nel lungo periodo.
Se ciò non accade semplicemente la merce non viene più fornita perché sul mercato non operano le buone fatine, ma operatori che vogliono guadagnarsi da vivere.
Beni di largo consumo hanno poi, come caratteristica, una gamma di prodotti simili ma di qualità e prezzo diversi . Oltre offrire una scelta più parcellizzata, ovvero più rispondente alle necessità dei vari acquirenti, tale caratteristica permette di valutare più efficacemente le tendenze degli acquirenti.
Se i beni di maggior successo saranno quelli verso la gamma alta, vorrà dire che su quel prodotto non vi è troppa cura del prezzo quanto invece dell’originalità, o della qualità, mentre se il mercato tende a premiare quelli a basso costo, l’indicazione precisa sarà che per tale prodotto il mercato cerca prodotti meno costosi, e comunque non è disposto a sacrifici in funzione di esso.
Ma l’importante è distinguere se gli aumenti di prezzo sono concentrati su alcuni beni (azioni, immobili, automobili, ecc..) oppure se investono appunto i beni di largo consumo.
Perché sono proprio questi che determinano, nella quasi totalità dei casi, l’innesco delle spirali aumento dei prezzi / aumento dei costi.
Vorrei far notare qui, però un particolare che a volte sfugge e avvalora come verità delle grosse menzogne.
Mentre in un servizio diretto (parcella di avvocato, lezione di inglese, ecc..) il lavoro del prestatore d’opera costituisce la quasi totalità del prezzo, in molti altri casi il lavoro di chi produce il bene è un’infima percentuale del prezzo finale.
Se le zucchine al supermercato costano 2 € al kg, al produttore vengono pagate 10-15 cent. al kg.
Poi vengono trasportate, immagazzinate, selezionate, ecc… e quando arrivano al supermercato hanno passato 6/10 mani.
E ognuno di quei passaggi ha costituito un incremento del valore delle zucchine.
Ora siamo all’assurdo che il produttore deve produrne e venderne più di 10 kg per avere di che comprarne 1 kg.
È da notare inoltre, che tutti coloro che manipolano quelle zucchine, sono liberi di imporre i loro prezzi ( non come un dipendente che deve contrattare con il datore di lavoro la sua paga ), e, mentre il verduraio corre il rischio di avere merce invenduta e deteriorata da buttare, gli intermediari in genere manco hanno tale problema.
Penso che una organizzazione capace di decuplicare il valore di una merce, senza aggiungere nulla ad essa, sia destinata a soccombere, prima o poi, perché troppe persone, troppe organizzazioni poggiano sull’unico produttore della vera ricchezza, al quale, peraltro arrivano solo le briciole del valore di quanto produce.
Per questa ragione, infine, il costo di chi produce il bene, influisce ben poco sul prezzo finale, mentre, purtroppo, tutti gli intermediari sono praticamente liberi di “aggiornare” i loro incrementi di valore.
Il paradosso è che infine, se il prezzo finale del prodotto raggiunge un livello tale, per cui il mercato comincia a rifiutarlo diminuendo gli acquisti, a rimetterci saranno per piccola parte tutti gli intermediari (per cosa riguarda le quantità in loro mano) ma soprattutto il produttore, che è quello che necessita di maggior tempo di “programmazione” (dalla semina al raccolto), pur essendo quello che alla fine incassa di meno.
Ma l’importante è notare come tutti coloro che possono aggiornare il valore delle loro prestazioni, ai primi sintomi di aumenti dei prezzi, lo facciano immediatamente, ed anzi, a volte in misura maggiore, scontando già un ulteriore futuro aumento, mentre coloro che offrono lavoro dipendente, siano vincolati nell’aggiornamento dei salari, da contratti, scadenze, ecc… tutte cose che pur frenando la dinamica delle spirali prezzi/costi ne riversano le conseguenze sulle fasce più deboli, ovvero coloro che producono i beni.
Come ho già accennato, coloro che sono liberi di aggiornare i prezzi a loro insindacabile giudizio, hanno un unico limite, e questo limite è la capacità del mercato (inteso come l’insieme dei compratori ) di rifiutare il bene stesso, creando dell’invenduto.
Ecco allora che questo fatto, ed unicamente lui, è in grado di calmierare gli appetiti di coloro che liberamente possono agire sui prezzi, modificando a loro vantaggio il valore della loro prestazione.
Ecco quindi che torniamo al concetto di valore.
Ogni attore, nella formazione del prezzo finale di vendita di un bene o servizio, esprime nell’aumento di valore della merce al suo passaggio, il valore della sua prestazione, ovvero il valore del lavoro che svolge.
Così l’ora del coltivatore, avrà un valore che si riflette sul prezzo alla fonte della zucchina, il valore di quella del trasportatore si rifletterà sull’aumento dopo quel passaggio, e via dicendo.
In teoria, un passaggio che si dimostrasse particolarmente lucroso, potrebbe scatenare la nascita di entità concorrenti atte a svolgere la stessa funzione, ma purtroppo non sempre è così grazie a leggi, regolamenti, e a volte anche la malavita organizzata, che in certe funzioni si sostituisce allo stato stesso.
Resta il fatto che comunque si tenderà a stabilizzare i prezzi su valori in cui il prodotto quantità x prezzo, sia il massimo possibile, ripartendo poi a cascata guadagni e oneri su tutta la catena che interviene per rendere quel bene disponibile all’utente finale.
Ma cosa c’entra tutto ciò con la creazione di denaro ?
Ipotizziamo che in un certo paese circolino solo 5 monete.
È ovvio che l’acquisto di ogni tipo di merce verrà “serializzato”, ovvero quando io incasso , immediatamente dopo posso spendere, e così per ogni abitante del paese, a meno di non reintrodurre il baratto (e quindi scambiarsi merce senza bisogno del denaro, oppure facendo gli scambi a credito, da saldare quando sarà disponibile almeno una moneta.
Pertanto da questo caso limite, si comprende cosa significhi quantità di denaro insufficiente ( per chi è abbastanza vecchio, basta che ripensi all’epoca in cui la zecca fu spostata, e quindi per circa 1 anno non coniò monete. Si giunse quasi subito ad una carenza di monete da 50, 100, 200, 500 lire che rese difficoltoso fare le operazioni più semplici come comprare il giornale o prendere il tram o l’autobus.
Intervennero immediatamente le banche stampando i famosi miniassegni, che erano, pur nella dimensione ridotta, degli assegni circolari ), ma anche che, il primo sintomo di tale fenomeno è un aumento di velocità di circolazione del denaro.
Oltre però una certa soglia, soglia alla quale gli scambi possono avvenire tutti contro denaro, per cui per ogni utente è garantita una riserva di valore in denaro sufficiente a coprire tutte le sue necessità di spesa, dicevo ,oltre tale soglia, più denaro a disposizione aumenta solo altre forme di riserva di valore, che possono essere una riserva in conto corrente, oppure investimenti abbastanza “liquidi” (ovvero vendibili ad un valore poco variabile e con grande facilità, vedi titoli di stato, obbligazioni, ecc…).
Interviene a quel punto solo più un fattore molto personale e indiretto, ovvero la “sensazione di ricchezza”
alimentata a volte anche dai beni sotto espansione da bolla (vedi immobili, azioni, ecc..) che purtroppo danno questa sensazione senza che tale ricchezza sia propriamente disponibile, quindi molto falsa, oppure dall’accumulo di “riserve di valore” sotto forma di denaro, di conti correnti, ma anche di beni come francobolli, opere d’arte, ecc…
in conclusione, la strada attraverso cui un aumento di massa monetaria, causerà aumento di prezzi generalizzato, e quindi perdita di valore del denaro stesso, non sempre è diretta ma nemmeno scontata.
Certo che se l’aumento di massa monetaria si riversa in una maggiore disponibilità dello stato che paga più stipendi o prestazioni, tale collegamento apparirà praticamente immediato e consequenziale, ma se tale aumento si ferma alle banche, che al limite lo indirizzano su specifici settori, allora si avrà la creazione di una bolla, in cui si vedrà lievitare il prezzo di tali beni, pur causando minime conseguenze sulla generalità degli altri.
Notare che se una bolla si forma in modo sufficientemente lento da consentire che il prezzo di tali beni venga assimilato dal resto del mercato, questa sarà nuovamente una condizione per innescare spirali di aumenti di prezzi/ costi. Quindi una bolla che gonfi rapidamente è destinata a scoppiare, mentre (dato che comunque ogni tipologia di beni fa parte del mercato), aumenti lenti, anche solo di pochi beni, possono innescare tali spirali anche se in misura molto contenuta.
Un attore capace di innescare violentemente tale spirale è lo stato, quando la differenza tra entrate e spese assuma valori significativi. Dato che tutta la liquidità assorbita dallo stato, essendo ormai perennemente in deficit, viene immediatamente riportata sul mercato, essa partecipa attivamente a tale innesco.
Ultima considerazione in merito.
Vi sono persone il cui lavoro, per molte cause che non sto a trattare ora, da loro una disponibilità talmente bassa che continuamente devono rinunciare a fare spese che farebbero se invece ne avessero la possibilità.
Tali persone, se ricevessero un aumento delle entrate, esse si riverserebbero immediatamente sui consumi, creando anche tensioni sui prezzi per eccessiva domanda.
Al contrario, se una parte di ricchezza viene intercettata da persone sufficientemente ricche, che già possono permettersi praticamente tutto ciò che desiderano, allora aumenti di ricchezza per loro si risolverebbe unicamente in un aumento dei loro risparmi, ma tali aumenti non arriverebbero nemmeno a sfiorare i mercati.
Pertanto , in tali casi, il controllo della massa monetaria è praticamente inefficace, mentre efficace sarebbe una azione di redistribuzione della ricchezza da parte dello stato mediante la leva fiscale, che togliesse della riserva di valore a chi non la utilizza, per consegnarla a chi invece saprebbe molto bene come utilizzarla.


ps. in questo mio ho omesso la condizione di aumento o calo dei prezzi in conseguenza diretta del livello di domanda, che tratterò in seguito.

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