Re: Disastro o cospirazione? Discussione sulla crisi economica in corso

Inviato da  ilberneri il 16/3/2009 9:50:36
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L'ANALISI
L'allarme della Cina
sui titoli Usa
dal nostro corrispondente FEDERICO RAMPINI

PECHINO - "Abbiamo prestato capitali enormi agli Stati Uniti, sinceramente siamo preoccupati". Con questa uscita esplosiva ieri il premier cinese Wen Jiabao ha insinuato il sospetto sulla solvibilità di lungo termine del Tesoro americano e sui rischi connessi all'esplosione del deficit pubblico Usa. I mercati hanno reagito immediatamente, i Treasury Bonds hanno perso quota di fronte all'eventualità di una "sfiducia" da parte del più grande creditore sovrano degli Stati Uniti.

Allo stesso tempo però Wen ha rassicurato Washington sul fatto che il governo di Pechino è pronto a varare una seconda manovra di spesa pubblica, "anche immediatamente se necessario", per rilanciare la crescita. Mentre il portavoce della Casa Bianca, Robert Gibbs, si è affrettato a dire: "Gli investimenti negli Stati Uniti sono i più sicuri al mondo".

Non vi sono quasi precedenti di un leader straniero che osi mettere in dubbio la credibilità del debito pubblico americano. Bisogna risalire agli attacchi di Charles De Gaulle alla fine degli anni '60 contro l'aggancio dollaro-oro, in piena guerra del Vietnam. Oggi il contesto è profondamente cambiato: la massima parte del debito pubblico Usa collocato all'estero finisce nei forzieri delle banche centrali asiatiche, prima fra tutte quella cinese. Nel corso del 2008 i volumi di Bot americani sottoscritti dalla banca centrale di Pechino sono aumentati del 46%, a quota 700 miliardi di dollari. La stragrande maggioranza delle riserve ufficiali cinesi (2.000 miliardi di dollari) sono piazzate in Treasury Bonds e lo stesso vale per i portafogli degli istituti di credito pubblici e dei fondi sovrani che fanno sempre capo alla Repubblica Popolare.

L'Amministrazione Obama sarà costretta a nuove maxi-emissioni di titoli pubblici nel 2009 (fino a 2.000 miliardi di dollari aggiuntivi) per finanziare i salvataggi bancari e le manovre di spesa pubblica. Di qui l'allarme lanciato ieri dal capo del governo cinese nella conferenza stampa che ha chiuso la sessione legislativa del Congresso del Popolo. "Il presidente Obama - he detto Wen - ha varato misure per fronteggiare la crisi, che guardiamo con molte aspettative. Ma l'America deve tutelare la propria credibilità, deve onorare le sue promesse, deve garantire la sicurezza degli investimenti cinesi".
La clamorosa uscita di Wen rientra nelle manovre tattiche che preludono al vertice G-20 del 2 aprile a Londra. Di certo il premier cinese non ha voluto preannunciare un abbandono della politica cinese di investimenti nei titoli del Tesoro Usa. Non c'è nessun segnale che la banca centrale di Pechino stia diversificando il suo portafoglio, nel quale l'euro e lo yen e l'oro continuano a occupare uno spazio del tutto marginale. Smettere di finanziare il debito pubblico americano avrebbe per i cinesi una conseguenza catastrofica: il tracollo del dollaro, quindi una rovinosa caduta di competitività del made in China già sofferente per il calo della domanda mondiale. Dal 2005 la moneta cinese si è rivalutata del 26% sul paniere delle principali valute, e Pechino non ha interesse ad accelerare un apprezzamento che danneggia i suoi esportatori.

Ma la preoccupazione per l'escalation del debito americano è reale. Da una parte Wen Jiabao deve rispondere a una constituency nazionale - l'ala "populista" del Partito comunista - che vorrebbe destinare a investimenti interni le risorse ingenti accumulate con gli attivi del commercio estero. Soprattutto, i leader cinesi temono che Washington stia costruendo le premesse per un'uscita dalla crisi basata sulla vecchia ricetta "inflazione più svalutazione". E' una strategia che ha illustri precedenti storici: la via maestra per alleggerire il debito è stampar moneta e creare inflazione. Pechino ha osservato con allarme la mossa spregiudicata della Banca centrale svizzera che ha innescato una svalutazione del franco: un piccolo precedente che può segnare l'inizio di una catena di svalutazioni competitive. Uno scenario che naturalmente preoccupa il creditore di ultima istanza, la Cina. In vista del G-20 i leader di Pechino mettono sul tavolo le loro priorità. Sono disposti a creare contro l'Europa un fronte Asia-America (che include il Giappone), favorevole a ulteriori iniezioni di investimenti pubblici anti-recessione. In cambio però vogliono da Washington delle garanzie: niente protezionismi stile Buy American, e no alle svalutazioni competitive.

(14 marzo 2009)

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