Re: Disastro o cospirazione? Discussione sulla crisi economica in corso

Inviato da  ursog il 25/2/2009 13:09:40
Repubblica — 19 gennaio 2009 pagina 1 sezione: AFFARI FINANZA
Non c' è solo la stima del Prodotto interno lordo, nell' abisso che separa da qualche mese Giulio Tremonti da Mario Draghi. In fondo al pozzo nero di questa destabilizzante battaglia che il Tesoro ha ingaggiato con la Banca d' Italia c' è anche un altra grana, non meno importante. La cessione delle quote di Palazzo Koch, che le banche italiane possiedono nel loro portafoglio. E' questione antica, e particolarmente delicata. In ballo c' è un fiume di denaro: tra i 20 e i 25 miliardi di euro, che le banche italiane potrebbero incassare come capital gains, vendendo le loro partecipazioni. Ma in ballo c' è anche un oceano di potere: chi è o chi deve diventare «padrone» di Palazzo Koch? La legge bancaria del ' 36 stabilì che la «partecipazione maggioritaria del capitale» di Bankitalia dovesse essere «assicurata» agli enti pubblici. Con la privatizzazione delle fondazioni bancarie questo requisito, di fatto, è venuto a mancare. Oggi IntesaSan Paolo e Unicredit, da sole, detengono il 66 per cento del capitale di Via Nazionale. Se aggiungiamo Montepaschi, Carige e Generali, siamo quasi al 100 per cento. Dopo i crack Cirio e Parmalat, fu proprio Tremonti a inserire nella legge sulla tutela del risparmio (la 262 del dicembre 2005) una norma che disciplinava le modalità di trasferimento «entro tre anni» delle quote possedute da «soggetti diversi dallo Stato». Cioè, appunto, dalle banche private. Quindi entro il 31 dicembre scorso (trascorsi i tre anni dalla legge 262) il capitale della Banca d' Italia avrebbe dovuto tornare in mano pubblica. La scadenza è passata invano, pare in virtù di una deroga interpretativa. In realtà non c' è accordo su quanto valgano le partecipazioni in Via Nazionale: ogni banca le ha in portafoglio a valori diversi. Non c' è accordo su chi le debba rilevare: direttamente il Tesoro? Magari la solita Cassa Depositi e Prestiti? Nessuno lo sa, nessuno lo ha capito. Due cose sono chiare: la prima è che l' assetto attuale (privatistico) è anomalo rispetto alla disciplina europea, e configura un obiettivo conflitto di interessi tra controllore e controllatecontrollanti. La seconda è che l' assetto potenziale (pubblicistico) rischia di essere ancora più inquietante. In un Paese come il nostro, dove regna l' incesto tra politica ed economia, ce la vedete la Banca d' Italia di Draghi che ha come azionistaproprietario il Tesoro di Tremonti? Per riprendere una vecchia metafora cara al ministro, non sarebbe come mettere Dracula alla presidenza dell' Avis? m.giannini@repubblica.it - MASSIMO GIANNINI
http://ricerca.repubblica.it/repubblica/ar...bankitalia.html


QUANTO VALE LA BANCA D'ITALIA?
Da "IL SOLE 24 ORE" di sabato 27 dicembre 2008

IL CREDITO CHE CAMBIA Quanto vale la Banca d`Italia? di Guido Tabellini Entro pochi giorni dovrà essere emanato il regolamento che ridefinisce l`assetto proprietario della Banca d`Italia.

La questione è delicata, perché si intreccia con l`esigenza di ricapitalizzare le banche italiane: Ma i due problemi sono distinti e vanno affrontati con strumenti diversi.

Cominciamo dalla Banca d`Italia.

Come è noto, oggi essa è posseduta dalle banche. La legge del 28 dicembre 2005 (entrata in vigore il 12 gennaio successivo) prevede che entro tre anni la proprietà debba essere trasferita allo Stato o ad altri enti pubblici secondo modalità da definire. Ma quanto vale la partecipazione al capitale della Banca centrale? Nessuno sa rispondere, tant`è vero che ogni banca dà una valutazione diversa delle quote che possiede.

Se ci si basa sul patrimonio della Banca d`Italia, la valutazione complessiva è intorno ai 2o miliardi di euro. Ma il patrimonio della Banca centrale è frutto del signoraggio passato e appartiene a tutti icittadini, nonpuò certo essere riconosciuto alle banche azioniste.

Estrapolando al futuro gli utili recentemente incassati dagli azionisti privati e attualizzandoli con un tasso di sconto al 5%, si arriva ad una valutazione di circa un miliardo.

Ma anche questa è una valutazione arbitraria, perché la distribuzione degli utili riflette la prassi passata e non criteri economicicondivisibili.

Il secondo problema sono le banche. Come sta accadendo in tutto il mondo, anche le nostre banche devono ricostituire il capitale.

Alcune di esse hanno già cominciato a reperire risorse e hanno annunciato che non distribuiranno dividendi (se non sotto forma di azioni). Ma resta ancora molto da fare: la Commissione europea stima che occorrano ancora 15-20 miliardi. Dove trovare le risorse? La risposta del Governo è che, per soddisfare i vincoli patrimoniali, le banche possono emettere obbligazioni subordinate, sottoscritte dallo Stato e convertibili in azioni ordinarie su richiesta dell`emittente. Ma è una risposta poco gradita agli azionisti delle banche, che dovrebbero pagare un tassodi interesse elevato oppure diluire il loro capitale azionario al momento della conversione.

Dal loro punto di vista,,sarebbe molto meglio affrontare insieme le due questioni. Se lo Stato riconoscesse una valutazione generosa per le partecipazioni in Banca d`Italia, anche il problema della ricapitalizzazionesarebbe ridimensionato.

Dal punto di vista dell`interesse genevale, tuttavia, le due questioni vanno tenute distinte. L`esigenza di ricapitalizzare le banche è fuori discussione. Ma lo strumento delle obbligazioni convertibili è adeguato, sebbene restino da definire alcuni importanti dettagli attuativi.

Sarebbe invece profondamente sbagliato fare regali agli azionisti delle banche, a spese del contribuente. Il sistema bancario italiano è solido e tutto sommato poco esposto alla crisi finanziaria. Lo Stato italiano invece deve fare i conti con un enorme debito pubblico. Inoltre, le banche hanno già ricevuto aiuti dallo Stato sotto forma di garanzie sui loro debiti.

Molte altre imprese italiane sono in difficoltà, e dovranno fronteggiare la crisi senza aiuti statali. Non c`è ragione di favorire gli azionisti delle banche rispet- to a quelli di altre imprese. Tanto più che il regalo arriverebbe a chi ha più partecipazioni in Banca d`Italia, e non alle banche meno capitalizzate.

Quanto all`assetto proprietario della Banca centrale, è possibile ridefinirlo senza trasferire alcuna quota. Come già suggerito con Pietro Garibaldi (I1 Sole 24 Ore, 5 ottobre 2005), basta fare un aumento di capitale della Banca d`Italia interamente sottoscritto dallo Stato o da un ente pubblico. Le quote possedute dagli azionisti privati sarebbero diluite e la proprietà sarebbe di, fatto trasferita allo Stato. Poiché il capitale sociale ha un valore irrisorio (i56mila euro), l`onere per il bilancio pubblico sarebbe trascurabile.

Naturalmente, il riassetto proprietario deve avvenire senza compromettere l`indipendenza della Banca centrale dal potere politico. Ma l`indipendenza non va confusa con la proprietà. L`indipendenza è tutelata dallo Statuto, dalle procedure decisionali, e anche dal mantenere sufficiente autonomia finanziaria per poter svolgere le proprie funzioni senza condizionamenti politici. Tutto ciò è perfettamente compatibile` con la pro- prietà pubblica della Banca centrale.

La questione dell`assetto proprietario di Banca d`Italia è rimasta aperta troppo a lungo. Prima la si chiude, meglio è. Anche per evitare che la banche, magari illudendosi che possano arrivare regali insperati o valutazioni fantasiose delle loro partecipazioni, rimandino al futuro una ricapitalizzazione che invece va fatta ora., Guido Tabellini
http://rassegna.governo.it/testo.asp?d=34092923

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