Re: OLOCAUSTO PALESTINESE

Inviato da  perspicace il 10/8/2014 16:58:46
I civili Palestinesi vengono uccisi per il petrolio e il Gas? Molti pensano di Si.

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Cos’hanno in comune le guerre in Ucraina, Gaza, Iraq, Siria e Libia?

di Alfredo Jalife-Rahme

Per il geopolitico messicano Alfredo Jalife-Rahme, la simultaneità degli eventi ne illumina il senso: dopo aver annunciato la creazione di una alternativa al Fondo Monetario Internazionale e alla Banca Mondiale, così come al dollaro, la Russia affronta contemporaneamente l’accusa di aver distrutto il volo delle Malaysian Airlines, l’attacco a Gaza d’Israele sostenuto dall’intelligence militare di Stati Uniti e Regno Unito, il caos in Libia e l’offensiva dell’emirato islamico nel Levante. Inoltre, su ciascuno di tali teatri operativi, i combattimenti ruotano intorno al controllo degli idrocarburi, il cui mercato utilizza esclusivamente dollari.

Calendari, diagrammi e schede informative sono i più utili nell’analisi geopolitica. Così, due giorni prima della misteriosa esplosione in aria del volo delle Malaysia Airlines, altro evento poco chiaro occorso ai suoi recenti voli, si chiuse il sesto vertice dei BRICS con alcuni Paesi di UNASUR, tra cui Colombia e Perù [1].

Il giorno prima del lancio del missile mortale Obama aumentava la pressione sulla Russia e le sue due risorse più connesse, banche e risorse energetiche. "Casualmente" il giorno in cui il misterioso missile è stato sparato in Ucraina, "Netanyahu, che dirige uno Stato dotato di armi nucleari, ordinava al suo esercito d’invadere la Striscia di Gaza" come è stato giustamente sottolineato da Fidel Castro nella sua denuncia del governo golpista ucraino, accusato di aver commessoo una "nuova forma di provocazione" agli ordini degli Stati Uniti [2].

Cosa potrebbe dunque saperne il vecchio guastafeste delle Indie Occidentali?

Mentre il misterioso missile riduceva in briciole il volo delle Malaysia Airlines, Israele, Stato razzista e segregazionista, invadeva la Striscia di Gaza in violazione delle risoluzioni delle Nazioni Unite, "inimicandosi l’opinione pubblica internazionale" secondo l’ex-presidente Bill Clinton [3].

Contemporaneamente, in "coincidenza" (Castro dixit) con gli obiettivi geopolitici riguardanti Ucraina e Striscia di Gaza, scontri confessionali e per il controllo delle risorse energetiche crescevano nei tre Paesi arabi ritenuti "falliti" dagli strateghi statunitensi, Libia, Siria e Iraq, per non parlare delle guerre in Yemen e Somalia.

In Libia, Paese balcanizzato e distrutto dall’intervento "umanitario" di Gran Bretagna e Francia con la supervisione ipocrita degli Stati Uniti, le milizie ribelli delle brigate Zintan hanno sbarrato, solo due giorni prima del lancio del misterioso missile in Ucraina, tutti gli accessi a Tripoli dall’aeroporto internazionale, mentre gli scontri si moltiplicavano tra clan rivali a Bengasi, laddove le armi arrivano ai jihadisti in Siria e Iraq e dove l’ambasciatore degli Stati Uniti fu assassinato per motivi oscuri.

Oltre il flusso di armi tra Libia, Siria e Iraq nella regione di al-Qaida/al-Nusra e del nuovo califfato dell’emirato islamico (SII) [4], è essenziale per le multinazionali del petrolio, del gas e dell’acqua statunitensi, inglesi e francesi controllare le materie prime (gas e acqua) della Libia, dove Russia e Cina si sono fatti ingenuamente ingannare [5].

Sull’appropriazione del petrolio iracheno della coppia Regno Unito-Stati Uniti che ha sconfitto l’Iraq, Paese balcanizzato e distrutto, "nella guerra dei 30 anni", sarebbe fatalmente fastidioso riprendere tale evidenza.

Durante la mia recente visita a Damasco, dove sono stato intervistato da Thierry Meyssan, presidente del Réseau Voltaire, mi ha detto che l’improvviso voltafaccia "occidentale (qualsiasi cosa significhi)" contro Bashar al-Assad è dovuto in gran parte, oltre ai giacimenti di gas sulle coste del Mediterraneo, alla pletora di giacimenti di petrolio all’interno della Siria, ora controllati dal "nuovo califfato del XXI secolo (Daash)".

Il nesso petrolio e gas riemerge a Gaza cinque anni dopo l’operazione "Piombo Fuso", la cui operazione “protezione dei confini2 (sic) ne riprende la strategia senza che un’indagine abbia stabilito definitivamente il responsabile dell’orribile assassinio di tre giovani israeliani, come intuito con preveggenza da Tamir Pardo, il capo "visionario" del Mossad [6], e pretesto per l’ennesima invasione israeliana della Striscia di Gaza che ha ucciso numerosi bambini.

Per il geografo Manlio Dinucci del Manifesto [7], la pletora di giacimenti di gas che abbonda nella zona marittima di Gaza è una delle ragioni dell’intransigenza israeliana.

Come la pletora di depositi di gas di scisto che abbonda nella Repubblica autonoma di Donetsk, che cerca di separarsi dall’Ucraina o federarsi, è la fonte della feroce guerra psicologica tra filo-UE e filo-russi nel rigettare sull’avversario la responsabilità dell’esplosione del velivolo delle Malaysia Airlines. Non potrebbe trattarsi di un’operazione del governo ucraino per accusare di "terrorismo" i separatisti, utilizzando "registrazioni" che potrebbero benissimo essere stati manomessi, e quindi distruggerli?

Sono passati due mesi da quando Russia Today (RT), sempre più seguita in America Latina per contrastare la disinformazione mediatica israelo-anglo-sassone, venendo perciò calunniato pubblicamente dal segretario di Stato John Kerry, sottolineava l’importanza dello shale gas nella regione di Donetsk (l’Ucraina orientale che cerca l’indipendenza) e "gli interessi delle compagnie petrolifere occidentali dietro le violenze" [8].

Infatti, la parte orientale dell’Ucraina, ora travolta dalla guerra civile, concentra "una miriade di giacimenti di carbone e gas di scisto nel bacino del Dnepr-Donets." Nel febbraio 2013, l’inglese Shell Oil firmò con il governo ucraino (il precedente, deposto da un colpo di Stato neo-nazista sostenuto dall’UE) un accordo per condividere i profitti per 50 anni dell’esplorazione ed estrazione di gas di scisto nella regione di Donetsk [9].

Secondo la rete RT, "i profitti che Kiev non vuole perdere" sono tali che il governo ucraino ha avviato una "campagna militare (sproporzionata) contro il proprio popolo".

L’anno scorso, la Chevron ha firmato un accordo analogo (con lo stesso governo) per un valore di 10 miliardi di dollari.

Hunter Biden, figlio del vicepresidente degli Stati Uniti, è stato nominato al Consiglio di amministrazione Burisma, il maggiore produttore di gas privato (Supersic) in Ucraina [10], "dando una nuova prospettiva allo sfruttamento dello shale gas ucraino" nella misura in cui "la licenziataria copre il bacino del Dnepr-Donets". John Kerry non rimane con le mani in mano sulla divisione degli utili e Devon Archer, suo ex-compagno di stanza e affittuario del genero, entra in Burisma ad aprile, in questa controversa società.

La "licenza" per l’alienazione catastale per sfruttare lo shale gas ucraino può servire da "licenza di uccidere" innocenti?

La fratturazione idraulica cerca di spezzare l’Ucraina? Questa è la costante nella tragica storia dello sfruttamento degli idrocarburi dei petrolieri "occidentali", nel XX secolo.

E’ chiaro che gli idrocarburi sono il denominatore comune delle guerre in Ucraina, Iraq, Siria e Libia.



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La guerra del gas dietro l’inferno. Hamas trattava con Gazprom

C’è il gas dietro la guerra tra Israele e Palestina. I giacimenti Leviathan e Tamar che potrebbero dare allo Stato ebraico cento anni di energia a basso costo. Nascondono tre miliardi e mezzo di metri cubi di metano ma si trovano nelle acque territoriali della che dalla Striscia di Gaza si allungano al confine con il Libano. Già Beirut ha avanzato pretese e Gaza potrebbe fare lo stesso. Ci sono poi i giacimenti Marine 1 e Marine 2, trentasei chilometri al largo della Striscia. A 603 metri di profondità custodiscono un piccolo tesoro, conteso da quattordici anni. Il 2 giugno scorso il governo di unità nazionale, con Autorità nazionale palestinese e Hamas d’amore e d’accordo, stava per affidarne lo sfruttamento alla russa Gazprom. Dieci giorni dopo, a Hebron, sono stati rapiti (e poi uccisi) gli studenti ebrei Eyal Yifrah, Gilad Shaar e Naftali Fraenkel. Ed è scoppiato l’inferno. Provvidenziale, secondo molti, nel bloccare la trattativa con Gazprom e allontanare la prospettiva che la palestina possa metter piede nell’Eldorado del Mediterraneo: il Leviatano, il giacimento-mostro che fa gola a tutti. Ma andiamo con ordine.
È il 1999 quando l’Autorità palestinese firma un accordo per lo sfruttamento dei campi sottomarini Marine 1 e Marine 2 con British Gas Group e la partner greca Consolidated Contractors International Company di proprietà dei libanesi Sabbagh e Koury. Gli introiti andranno per il 60% alla società inglese, per il 30% a Ccc e per il restante 10% al Fondo d’investimento dell’Anp. La licenza è valida 25 anni e copre l’intera area al largo di Gaza. Al confine spuntano le piattaforme offshore israeliane di Mari-B. A dimostrazione che, geologicamente, sono proprio i fondali di fronte alla Striscia quelli più ricchi di idrocarburi. Con la morte del leader dell’Olp Yasser Arafat, il crollo elettorale dell’Autorità nazionale palestine e l’arrivo di Hamas al governo tutto si ferma. Gli inglesi vogliono usare il gas della Striscia per rifornire Israele, che ha un bisogno matto di metano e risorse scarsissime. Ma nel 2001 il premier Ariel Sharon prima contesta la sovranità della Palestina sui giacimenti offshore, poi afferma deciso: «Non accetteremo mai di acquistare il gas dalla Palestina». E fa capire che quelle riserve appartengono, secondo lui, a Israele. Due anni dopo blocca il tentativo di British Gas di alimentare lo Stato ebraico con il metano di Gaza. La società inglese si arrabbia e inizia trattare con l’Egitto: vuole un terminal dove scaricare il gas estratto. L’intervento a gamba tesa del primo ministro britannico Tony Blair fa saltare l’accordo. Nel 2007 il governo approva la proposta del vicepremier Ehud Olmert per “l’acquisto di gas dall’Autorità palestinese” per quattro miliardi di dollari. C’è chi però non vuole che i proventi vadano ai palestinesi. Così Israele dribbla Hamas e Anp e tratta direttamente con British Gas, per far annullare il vecchio contratto di Arafat e portare il metano verso il porto israeliano di Ashkelon. La trattativa si arena. La Palestina reclama la propria fetta di proventi. Tel Aviv non vuole far avere soldi ad Hamas perché potrebbe acquistare razzi da lanciare contro le colonie ebraiche. Qualcuno propone di saldare il conto con la fornitura di beni e servizi. Niente da fare. British Group, esasperata, chiude gli uffici in Israele. Tel Aviv si rifà sotto. Ancora nulla. E il 27 dicembre 2008 l’operazione Piombo Fuso scatena il caos a Gaza. Ufficialmente per scardinare il governo di Hamas che minaccia la sicurezza di Israele. Nella realtà il movimento islamico non vuole cedere la sovranità sui giacimenti. Poi tutto cambia. Nel 2009 viene scoperto il campo gasifero di Tamar nel 2010 salta fuori il Leviatano che abbraccia i campi di estrazione precedenti e si allunga fino al Mari B Field, al confine tra Gaza e Israele e collegato con un oleodotto ad Ashdod, dove ora volano le bombe. Risorse per 1,68 miliardi di barili. Quando, lo scorso gennaio il leader palestinese Abu Mazen incontra a Mosca il presidente russo Vladimir Putin scatta l’allarme. Il 2 giugno scorso gli 007 informano che il governo di unità nazionale guidato da Hamas sta per concedere diritti di sfruttamento alla Gazprom per Marine 1 e Marine 2. È troppo per Israele che considera «suo» quel gas offshore. Di lì al Levithan il passo è breve. Il resto è cronaca.

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