Re: Il furto della memoria

Inviato da  Notturno il 27/1/2011 15:46:55
La Politica Fiscale unitaria

Nelle Due Sicilie, la tassazione complessiva raddoppiò in soli sei anni dall'annessione (da 14 lire pro-capite del 1859, alle 28 del 1866) (18)

Tav.5 - Le imposizioni fiscali al Sud subito dopo la conquista piemontese (19)

Imposta personale

Tassa sulle successioni

Tassa sulle donazioni, mutui e doti; sull'emancipazione ed adozione

Tassa sulle pensioni

Tassa sanitaria

Tassa sulle fabbriche

Tassa sull'industria

Tassa sulle società industriali

Tassa per pesi e misure

Diritto d'insinuazione

Diritto di esportazione sulla paglia, fieno, ed avena

Sul consumo delle carni, pelli, acquavite e birra

Tassa sulle mani morte

Tassa per la caccia

Tassa sulle vetture

Accorpando i dati complessivi sulle imposte, dividendoli per categorie di entrate, notiamo che nel periodo 1861-1873 le imposte dirette davano la metà delle entrate fiscali delle indirette, che com'è noto colpiscono i consumi e quindi gravano proporzionalmente di più sui redditi più bassi. Ma non è tutto, le imposte dirette erano proporzionali e non progressive rispetto al reddito individuale per cui i cittadini con poche sostanze e le classi agiate pagavano la stessa aliquota fissa di tasse. La politica fiscale perseguita dallo Stato unitario fu, poi, un caso di vero e proprio drenaggio di capitali dal Sud verso il Nord, infatti, la pressione fiscale in agricoltura crebbe nel regno d'Italia in maniera sperequata, così, mentre nelle Due Sicilie si pagano 40 milioni d'imposta fondiaria, nel 1866 se ne pagheranno 70, contro i 52 del Nord. La differenza è anche più evidente se si considerano le aliquote per ettaro: nelle province di Napoli e Caserta si pagavano 9,6 lire per ettaro, contro la media nazionale di 3,33. Lo stesso avveniva per le tasse sugli affari che incidevano per 7,04 lire pro-capite in Campania, contro 6,70 in Piemonte e 6,87 in Lombardia (20). In seguito, quando si pose il problema di perequare l'imposta nelle province (Lombardia, Napoletano) che pagavano di più [l'imposta non era sul reddito, ma si stabiliva, secondo certi parametri, su base regionale], il risultato fu che le tasse diminuirono in Lombardia ed aumentarono nel Napoletano (21). Si calcola che l'ingiustizia fiscale sia costata al Sud 100 milioni/anno e che quest'ultimo abbia ricevuto dall'erario nei primi 40 anni dell'Unità meno di quanto sborsasse; anche dopo le cose non cambiarono, così, nel primo decennio del secolo ventesimo, una provincia depressa come quella di Potenza pagava più tasse d'Udine e la provincia di Salerno, ormai lontana dalla floridezza dell'epoca borbonica essendo state chiuse cartiere e manifatture, pagava più tasse della ricca Como (22). Non è tutto: il 18 febbraio 1861 fu abrogato il Concordato in vigore tra le Due Sicilie e lo Stato della Chiesa. I beni ecclesiastici furono espropriati e venduti, fruttando allo Stato unitario oltre 600 milioni (23). Gli acquirenti furono i borghesi liberali che se ne impossessano a prezzi irrisori, i capitali del Sud furono così rastrellati e resi disponibili per l'imprenditoria del nord, mentre al Sud si ebbe un incremento dei latifondi , sottraendo ai contadini gli "Usi Civici". Indicative sono le cifre delle espropriazioni per il mancato pagamento di tasse (da una per ogni 27mila abitanti nel Piemonte e Lombardia, si passa ad una a 900 per Puglia e Lucania e una a 114 in Calabria) (24).

La Spesa Pubblica

La spesa pubblica appare prevalentemente concentrata al Nord tanto che "Lo Stato spendeva mediamente 50 lire per ogni cittadino del Nord e 15 per quello del Sud" (25). La ripartizione della spesa tra i singoli ministeri (26) mostra altre sorprese: a quello della Guerra (così si chiamava il Ministero della Difesa) andava il 19.52 % del totale mentre ai Lavori Pubblici solo il 9.62%. Vi era poi una grossa sperequazione nella distribuzione della spesa tra Nord e Sud; per le opere idrauliche in agricoltura, ad esempio, che era la principale attività economica italiana, troviamo questi dati:

Tav.6 - Distribuzione della spesa per le opere idrauliche per l'agricoltura in Lire (1860-1898) (27)

Lombardia: 92.165.574

Veneto: 174.066.407

Emilia: 130.980.520

Sicilia: 1.333.296

Campania: 465.533

Dalle cifre si evince l'enorme disparità di finanziamenti tra il Nord e il Sud. L'unica spesa di un certo rilievo per il Meridione fu l'acquedotto pugliese (peraltro realizzato dopo il 1902); la media pro-capite per queste spese fu di lire 0,39 nel Mezzogiorno (0,37 in Sicilia) contro la media nazionale di lire 19,71 (28). I prestiti di favore per costruire gli edifici scolastici raggiunsero nel Sud la punta massima in Puglia di lire 5.777 per ogni 100.000 abitanti (Campania l.641, Calabria 80); nel Nord le punte sono lire 13.345 in Piemonte e 15.625 in Lombardia (29); al Nord le scuole tecniche sono distribuite in ragione di una ogni 141 mila abitanti, al Centro una ogni 161 mila abitanti, al Sud una ogni 400 mila abitanti,analoga la situazione delle Università (30). Gli appalti vennero concessi quasi esclusivamente alle ditte del Centro-Nord e cosi pure le società dei Monopoli.



Trasporti

Anche per i trasporti il Sud è svantaggiato: mandare una merce via mare da Genova a Napoli costa 0,85 lire/quintale; in senso inverso costa 1,50 (31). Le spese per spiagge, fari e fanali ammontano per il Nord a 278 mila lire/ km. di costa, a 83 mila al Centro, a 43 mila per il Sud e 31 mila in Sicilia; nella stessa epoca il Parlamento respinge i progetti di leggi speciali per i porti del Sud ed approva quelli per il Centro-Nord. Un gran parlare si è fatto sulle spese ferroviarie che lo Stato unitario ha fatto al Sud: l. 863 milioni per la parte continentale, 479 milioni per la Sicilia (32). Il tutto va però commisurato al totale di 4.076 milioni di lire spese nello stesso periodo per l'Italia intera: il Sud ebbe meno di un terzo dello stanziamento complessivo (33). In tal modo il Nord ottenne, a scapito del Sud, il progressivo miglioramento dei collegamenti ai mercati. Il 15 Ottobre del 1860 fu promulgato dal governo prodittatoriale di Garibaldi il decreto di concessione per la costruzione di strade ferrate in favore della Società Adami e Lemmi di Livorno (quest'ultimo futuro potentissimo Gran Maestro della Massoneria Italiana) assicurando per contratto un utile netto del 7%; le precedenti convenzioni con ditte meridionali furono annullate anche se i lavori erano a buon punto tanto che tutte le gallerie e i ponti erano già stati costruiti; per ordine del governo prodittatoriale i lavori furono sospesi e a nulla valsero le rimostranze del titolare della concessione, il pugliese Emmanuele Melisurgo, che insisteva perché il divieto fosse revocato e gli fosse permesso di far lavorare i suoi operai (34).



Spese amministrative

Si deve al Nitti se la leggenda del "burocratismo" meridionale sia stata smantellata, poiché egli ha provato, con un'analisi condotta con puntiglio teutonico, come gli uffici dello Stato fossero prevalentemente concentrati al Nord (scuole, magistratura, esercito, polizia, uffici amministrativi ecc.) e tutti i codici e l'intera struttura statale erano piemontesi. Eppure ci si continua a riferire dispregiativamente alla burocrazia borbonica come in un'estasi d'ignoranza quasi intenzionale.


L'attacco dello Stato all'industria meridionale

Si sostiene che fu la concorrenza dei prodotti del Nord ed esteri a mettere in ginocchio l'industria meridionale dopo l'Unità, tesi tuttavia poco credibile poiché l'industria settentrionale copriva a stento il fabbisogno del suo mercato. Perché allora l'industria meridionale scomparve, malgrado fosse globalmente considerata ad un livello superiore a quella del Nord? La concorrenza estera c'era sia al Nord sia al Sud, eppure il primo sopravvisse e si sviluppò, mentre il Sud perse terreno anche nei settori in cui, al momento dell'Unità, era alla pari o ad un livello più avanzato. La spiegazione va dunque ricercata in quel preciso disegno politico dei "vincitori", che prevedeva uno sviluppo accelerato del Nord, finanziato proprio dalle risorse rastrellate al Sud. Tale progetto fu costantemente perseguito, tanto che il triangolo Torino-Milano-Genova (più vicino ai mercati europei) divenne ben presto il polo industriale italiano. Gli strumenti di questa politica furono: la fiscalità, il rastrellamento di capitali e del risparmio, la strozzatura del credito, gli investimenti pubblici preferenziali per il Nord e la diminuzione delle commesse alle imprese del Sud. "Il dissidio tra la Lombardia (...) e molta altra parte d'Italia ha origini in una serie di fatti: sopra tutto il sacrificio continuo che si è fatto degli interessi meridionali" (35). Non deve quindi destare meraviglia che la frattura economica Nord-Sud cominciasse a delinearsi già dopo 20 anni d'unità, e che dopo 40 era già netta. Piuttosto stupisce che l'economia del Sud abbia retto per decenni ad una simile politica di sistematica rapina.

I fiori all'occhiello dell'economia meridionale come Pietrarsa, che era la più grande industria metalmeccanica d'Italia, i cantieri navali, gli stabilimenti siderurgici come Mongiana o Ferdinandea, l'industria tessile e le cartiere caddero in rovina o furono immediatamente chiusi, contemporaneamente al Nord sorsero quasi dal nulla analoghi stabilimenti come l'Arsenale di La Spezia o colossi come l'Orlando. Pietrarsa, dopo vari passaggi di proprietà, nel 1885 venne addirittura declassata a officina di riparazione; nel 1900 ebbe un rapido declino fino ad essere chiusa definitivamente il 20 dicembre 1975 (attualmente è sede di un Museo ferroviario). Mongiana nel 1862 vide la produzione più che dimezzata, così come il numero dei suoi dipendenti; il 25 giugno 1874, in "ottemperanza" alla Legge 23 Giugno 1873, Mongiana venne chiusa e fabbriche, officine, forni di fusione, boschi, segherie, terreni, miniere, alloggi e caserme, tutto il complesso diventò la "casa di campagna" di Achille Fazzari, ex garibaldino, che l'acquistò per poco più di cinquecentomila lire. La costruzione della ferriera di Atina (al momento dell'Unità due altoforni erano già pronti, venne subito sospesa, mentre contemporaneamente si registrò un incremento di analoghi complessi nell'area ligure-piemontese (l'Ansaldo, che prima del 1860 contava soltanto 500 dipendenti, li raddoppiò in due anni). Paradigmatico, poi, è l'esempio della marina mercantile meridionale: prima dell'Unità era tra le più grandi del mondo, dopo il 1860 il governo di Torino preferì stanziare anticipi di capitale e sovvenzioni per le società di navigazioni genovesi, negandoli a quelle meridionali che furono così costrette a ridurre e sospendere le attività. "Il trentennio dal 1860 al 1890 segnò per l'armamento a vapore napoletano un periodo di decadenza e di stasi completa" (36). Nel ventennio 1879-1898 le commesse alla cantieristica del Sud furono solo il 33% del totale nel settore pubblico e circa l'11% di quello privato.

Anche il settore tessile fu danneggiato dalla mancanza di commesse, dopo l'unità l'opificio di San Leucio venne chiuso per cinque anni e poi dato in appalto ad un piemontese, successivamente passò al Comune, poi in fitto ai privati e nel 1910 fu chiuso per sempre. Per quanto riguarda la fiorente industria della carta, lo Stato preferì acquistare il prodotto all'estero mandando sul lastrico migliaia di operai meridionali. Ricordiamo, per inciso, che in ogni caso l'industria italiana nei primi 90 anni postunitari rimase a livelli molto inferiori alla media europea: il Paese rimase sostanzialmente agricolo tanto che fino agli anni 50 del 1900 le maggiori entrate del bilancio dello Stato erano dovute alle esportazioni di agrumi meridionali e alle rimesse degli emigranti, anch'essi in gran parte del Sud. Ancora nel 1954 il 42,4% della popolazione attiva italiana era occupata nell'agricoltura contro il 31.6 % dell'industria.


Il ruolo dei parlamentari meridionali a Torino

I deputati meridionali che giunsero a Torino, nel febbraio 1861, per l'inaugurazione del nuovo parlamento erano tutti accesi filopiemontesi e avevano avuto una parte molto rilevante nel favorire la conquista savoiarda prima screditando il governo meridionale e poi collaborando con l'invasione. La maggior parte, pur di rimanere nel gruppo di potere, chiuse tutti e due gli occhi di fronte all'annientamento economico e civile del Sud con un atteggiamento che è perdurato fino ai giorni nostri. Ma alcuni di loro fecero eccezione, presentando coraggiose interpellanze per difendere gli interessi del meridione: ne selezioniamo alcune divise per argomento (37):

1) riguardo lo stato delle finanze il deputato pugliese Valenti così dichiarava nella seduta del 3 aprile 1861 (atto nr.52): "Sotto i Borboni pagavamo gli stessi e forse minori pesi che paghiamo adesso. I Borboni mantenevano un'armata di 120 mila uomini (...) ponevano fondi in tutti i banchi all'estero, dotavano largamente la figliolanza e tuttavia il tesoro era fiorente" e il 4 dicembre il deputato Ricciardi così si esprimeva (atto nr.340): "Come mai questo paese le cui finanze erano così floride, la cui rendita pubblica era salita al 118 è in così misera condizione? "

2) riguardo la sicurezza personale il deputato siciliano Bruno così dichiarava nella seduta del 4 aprile 1861 (atto nr.53): "La Sicilia sotto i Borboni offrì per molti anni l'edificante spettacolo che furti non ne succedevano assolutamente e si poteva passeggiare per tutte le strade, ed a tutte le ore senza la menoma paura di essere aggrediti né derubati".

3) riguardo la proposta di legge abolitiva dei vincoli feudali in Lombardia il deputato Zanardelli così dichiarava il 7 maggio (atto nr.113): "La legge napoletana su tal proposito fu fatta nel 1806, in un tempo non di rivoluzione ma di restaurazione, in un tempo in cui i feudi venivano restaurati in Lombardia (...) e questa legge nella patria di Vico, di Mario Pagano e di Filangeri fu chiamata, anche dal Colletta, argomento al mondo di napoletana civiltà".

4) riguardo la connivenza con i Piemontesi dell'alta ufficialità borbonica prima dell'invasione il deputato Ricciardi così ebbe a dichiarare il 20 maggio 1861 (atto nr.140): "Appena reduce dall'esilio giunsi in Napoli (...) io feci la propaganda nelle caserme a rischio di farmi fucilare (...) gli ufficiali rispondevano: noi saremmo pronti ma i nostri soldati sono talmente fanatizzati che ci fucilerebbero (...) Ma vi pare che senza il lavoro segreto di questi ufficiali, senza il nostro lavoro, avrebbe mai potuto entrare Garibaldi in Napoli, città di mezzo milione di abitanti, con 4 castelli gremiti di truppe? Egli entrò solo in Napoli perché noi liberali, con un buon numero di ufficiali, glie ne aprimmo le porte"

5) riguardo lo strozzamento dell'economia meridionale e la piemontesizzazione: nella seduta del 20 novembre 1861 (atto nr.234) il deputato di Casoria, Proto, duca di Maddaloni, propose il distacco dell'ex Regno di Napoli dal Regno d'Italia e accusò apertamente il governo piemontese di avere invaso e depredato il Napoletano e la Sicilia: "Intere famiglie veggonsi accattar l'elemosina; diminuito, anzi annullato il commercio; serrati i privati opifici. E frattanto tutto si fa venir dal Piemonte, persino le cassette della posta, la carta per gli uffici e per le pubbliche amministrazioni. Non vi ha faccenda nella quale un onest'uomo possa buscarsi alcun ducato che non si chiami un piemontese a sbrigarla. Ai mercanti del Piemonte si danno le forniture più lucrose: burocrati di Piemonte occupano tutti i pubblici uffizi, gente spesso ben più corrotta degli antichi burocrati napoletani. Anche a fabbricar le ferrovie si mandano operai piemontesi i quali oltraggiosamente pagansi il doppio che i napoletani. A facchini della dogana, a camerieri, a birri vengono uomini del Piemonte. Questa è invasione non unione, non annessione! Questo è voler sfruttare la nostra terra di conquista. Il governo di Piemonte vuol trattare le provincie meridionali come il Cortez ed il Pizarro facevano nel Perù e nel Messico, come gli inglesi nel regno del Bengala". La presidenza della Camera invitò il deputato a ritirare la sua mozione ed egli il giorno successivo per protesta rassegnò le dimissioni. Il 4 dicembre il deputato Ricciardi (atto nr.340) insiste sull'argomento: "Due sono le principali piaghe di quelle provincie (...) la piaga morale è l'offesa profonda recata a sette milioni d'uomini (...) un paese che per otto nove secoli è stato autonomo, ad un tratto ridotto a provincia, un paese che vede distrutte per via di decreti le sue antiche leggi, le sue antiche istituzioni certamente non può essere contento. Aggiungete la invasione d'impiegati non nativi del paese i quali non sono veduti troppo di buon occhio (...) quanto alla piaga materiale la miseria è grandissima (...) e poi, e io ve la dico schietta, da Torino non si governa l'Italia, da Torino non si regge Napoli: questa è la mia convinzione profonda; in questo sta la radice di tutti i nostri mali" Il 20 dicembre il deputato San Donato (atto nr.340): "Tutti gli impiegati che da Torino si sono mandati a Napoli non solo sono stati promossi di soldo, ma si è loro accordata, sul tesoro napoletano, due, tre, sino quattrocento franchi al mese di indennità, mentre ai Napoletani traslocati in Torino nulla si è dato non solo, ma lo sono stati con gradi e soldi inferiori a quelli che lasciavano in Napoli". Nella stessa seduta il deputato Pisanelli: " Non vi è istituzione pubblica, collegi, università, amministrazione, educandati ecc. ecc., a Napoli, che non sieno stati sciolti, unicamente perché non avevano i regolamenti piemontesi. Il ministro della Marina signor Menabrea ha invitato 43 nobili padri di famiglia a ritirare dal collegio di marina i loro ragazzi (che essi vi tenevano da tre o quattro anni messi al tempo dei Borboni), unicamente perché gli è piaciuto dire che questi erano entrati nel 1858 quando a Napoli non vi erano regolamenti piemontesi ". Il 2 febbraio 1867 il conte Ricciardi, eletto a Foggia, e uno dei più tenaci difensori degli interessi del Sud si dimette da deputato, così motivando: "Dopo sei anni di lotta mi persuasi che l'opera mia in Parlamento si riduceva ormai ad un inutile sfogo (...) una opposizione divisa e acefala (...) una maggioranza impotente al bene (...) il governo di nulla di grande e fruttifero mostrasi iniziatore. Continuando io alla Camera mi assumerei una responsabilità tristissima; meglio sarammi tornare all'antico ufficio di scrittore, più umile, ma certo più utile, consolandomi alquanto dè mali di cui sono testimone, di aver fatto ogni sforzo per evitarli ". Più tardi un unitarista convinto come Giustino Fortunato, nella lettera a Pasquale Villari n. 89 del 2 settembre 1899, scrive: "L'unità d'Italia (...) è stata, purtroppo, la nostra rovina economica. Noi eravamo, nel 1860, in floridissime condizioni per un risveglio economico, sano e profittevole. L'unità ci ha perduti. E come se questo non bastasse, è provato, contrariamente all'opinione di tutti, che lo Stato italiano profonde i suoi benefici finanziari nelle province settentrionali in misura ben maggiore che nelle meridionali". Gli fece eco Gaetano Salvemini (1900): "Se dall'unità d'Italia il Mezzogiorno è stato rovinato, Napoli è stata addirittura assassinata (...) è caduta in una crisi che ha tolto il pane a migliaia e migliaia di persone". Sempre Fortunato in un'altra lettera del 1923 diretta a Benedetto Croce scriveva (38): "Non disdico il mio "unitarismo". Ho modificato soltanto il mio giudizio sugli industriali del nord. Sono dei porci più porci dei maggiori porci nostri. E la mia visione pessimistica è completa".

Continua...


Note
18. Ò Clery, op. cit. (valore espresso in lire, la valuta meridionale era il ducato equivalente a 4,25 lire, N.d.A.)

19. G. Savarese, " Le finanze napoletane e le finanze piemontesi dal 1848 al 1860", Cardamone, 1862, p.28.

20. Nítti F. S., Il bilancio dello stato dal 1862 al 1896-97, Napoli 1900., p. 107. Anche per l'imposta sui fabbricati il Sud era più gravato (Nitti, op. cit., p. 80).

21. Carono-Donvito G., op. cit., p. 154. Sul modo con cui funzionava l'imposta v. Plebano A., Storia della finanza italiana nei Primi quaranta anni dell'indipendenza, Padova, 1960, pp. 95-96. L'imposta non era sul reddito, ma si stabiliva, secondo certi parametri, su base regionale.

22. Nitti F. S., op. cit., p. 141.

23. Carano-Donvito G., op. cit., p. 165 sgg., dove si nota che Puglia e Basilicata hanno dato all'erario più di Lombardia, Veneto e Liguria messi assieme

24. Luzzatto G., L'economia italiana dal 1861 al 1894 (Torino 1968), p. 172.

25. Lorenzo Del Boca, op. cit.

26. dati compresi tra il 1861 e il 1873 ripresi da Alessendro Mola op. cit.

27. Carano - Convito, " L'economia italiana prima e dopo il Risorgimento", Firenze, 1928, pag. 180

28. Nitti F. S., Il bilancio dello stato dal 1862 al 1896-97, Napoli 1900, p. 294; i dati riguardano il periodo 1862-97.

29-30-31-32. Nitti F. S., Il bilancio cit., p. 268, pp. 254-5, p. 367 nota I, p. 300

33. Carano-Donvito G., op. cit., p. 179.

34. Tommaso Pedìo, "L'economia delle Province napoletane a metà dell'800", Capone, 1984, modif.

35. da una lettera di Nitti del 5 luglio 1898 a Giuseppe Colombo, direttore del Politecnico di Milano in C.G.Lacaita, Nitti e Colombo: carteggio inedito 1896-1919 in " Rivista Milanese di Economia", n.5 ( gennaio-marzo 1983), pag.126

36. L.Radogna, op. cit.

37. tratte dal periodico "Due Sicilie" del marzo 2002, sono il risultato di uno studio di Sator di Ortona sugli Atti parlamentari ufficiali

38. lettera n.58 del 14 giugno 1923

(tratto da: Nexus Co. - No Individuality,No Life
Link: http://ienaridensnexus.blogspot.com/2011/01/il-sud-e-lunita-ditalia-dodicesima.html)

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