Re: La mafia è stata sconfitta o governa il paese?

Inviato da  newentry il 16/5/2008 14:46:10
I fondatori di «cosa nuova»
Agli uomini di Cosa nostra non sfugge fin dall’inizio che questo progetto è ambizioso e di difficile realizzazione. Per questo si lasciano aperta un’altra possibilità: cercare rapporti e offrire sostegno a nuove forze politiche nazionali che stanno nascendo sulle rovine del vecchio sistema dei partiti. «Le due strategie già coesistevano», racconta Cannella, «e lo stesso Bagarella sapeva della prossima “discesa in campo” di Silvio Berlusconi».

È Forza Italia, dunque, la carta di riserva di Cosa nostra. I suoi uomini sono informati in anticipo, attraverso canali privilegiati, dei programmi di Forza Italia. Li conoscono addirittura prima che il nome Forza Italia sia lanciato da Berlusconi sul mercato della politica. Prosegue infatti Cannella: «Bagarella, tuttavia, non intendeva rinunciare al programma separatista, perché non voleva ripetere “l’errore” di suo cognato (Riina, ndr), cioè dare troppa fiducia ai politici, e voleva, quindi, conservarsi la carta di un movimento politico in cui Cosa nostra fosse presente in prima persona. Inoltre, va detto che vi era un’ampia convergenza tra i progetti, per come si andavano delineando, del nuovo movimento politico capeggiato da Berlusconi e quelli dei movimenti separatisti. Si pensi Si pensi al progetto di fare della Sicilia un porto franco, che era un impegno dei movimenti separatisti e un impegno dei siciliani aderenti a Forza Italia. Si pensi ancora che, all’inizio del 1994, da esponenti della Lega nord (Tempesta, Marchioni e il principe Orsini), con i quali avevo avuto diretti contatti, ero stato notiziato dell’esistenza di trattative fra Bossi e Berlusconi per un apparentamento elettorale e per un futuro accordo di governo che prevedeva, fra l’altro, il federalismo tra gli obiettivi primari da perseguire. Marchioni mi aveva riferito che un parlamentare della Lega nord, questore del Senato, aveva confermato che il futuro movimento, che avrebbe poi preso il nome di Forza Italia, aveva sposato in pieno la tesi federalista».

Giovanni Marchioni, un imprenditore vicino alla Lega Italia federale, l’articolazione romana della Lega nord, ha confermato che i promotori delle «leghe del Sud» si sono riuniti a Lamezia Terme. Erano presenti, tra gli altri, La Bua e Strano per Sicilia libera, oltre ai rappresentanti di Calabria libera, Lucania libera e Campania libera. In questa occasione il principe Orsini si propone come candidato unico del futuro raggruppamento di tutte quelle organizzazioni. Orsini conferma tutto ai magistrati palermitani e ammette «di avere chiaramente intuito il tipo di interessi che Sicilia libera intendeva tutelare», scrivono i magistrati di Palermo, «specialmente dopo che Cannella gli disse esplicitamente che “occorreva tenere un discorso all’Ucciardone per poi perorare la causa del noto 41 bis dell’ordinamento penitenziario”».

Già verso la fine del 1993, comunque, un boss di Cosa nostra impegnato in prima persona nella strategia delle stragi avverte Cannella che quella del movimento separatista non è l’unica via: «Nel corso di un incontro con Filippo Graviano, questi, facendo riferimento al movimento Sicilia libera di cui ero notoriamente promotore, mi disse testualmente: “Ti sei messo in politica, ma perché non lasci stare, visto che c’è chi si cura i politici... Ci sono io che ho rapporti ad alti livelli e ben presto verranno risolti i problemi che ci danno i pentiti». Graviano e, nell’ombra, Bernardo Provenzano, nei mesi seguenti constatano che la strada separatista non è percorribile. È in questo clima che si intrecciano rapporti frenetici tra esponenti delle «leghe» e uomini di Forza Italia.


La mafia avrebbe sostenuto il progetto politico di Forza Italia. In particolare il senatore "azzurro" Marcello Dell'Utri avrebbe ricevuto appoggio elettorale da parte di Cosa nostra nelle elezioni del '99. Lo sostiene il boss Antonino Giuffrè che da due mesi ha iniziato a collaborare con la giustizia dopo essere stato per anni uno degli uomini più vicini al boss latitante Bernardo Provenzano. Secondo il pentito, il capo di Cosa Nostra sarebbe riuscito ad agganciare i vertici di Forza Italia.

Sono alcune delle dichiarazioni raccolte nell'interrogatorio dell'8 novembre scorso. E i pubblici ministeri Domenico Gozzo e Antonio Ingroia hanno depositato i relativi verbali agli atti del processo in cui Dell'Utri è accusato di concorso esterno in associazione mafiosa. I magistrati hanno chiesto sia di acquisire agli atti le dichiarazioni del pentito sia di citarlo in aula a deporre. I giudici si sono riservati di decidere e così pure la difesa. Il tribunale ha però ammesso agli atti del processo i verbali di interrogatorio di Silvio Berlusconi prodotti dalla procura durante l'udienza che si è svolta la scorsa settimana a Palazzo Chigi.


Pronta la risposta del senatore che ha contestato le dichiarazioni del pentito. "Con riferimento a quanto avrebbe dichiarato il pentito Giuffrè" ha dichiarato Dell'Utri, "mi limito a rilevare che, se nei giorni scorsi potevo avere solo dei dubbi circa il fatto che si trattasse di uno dei tanti millantatori in circolazione, oggi ne ho invece l'assoluta certezza. Infatti - prosegue, - avendo appreso quanto da egli riferito nei miei confronti, ed essendo io certo dell'assoluta falsità di dette dichiarazioni, posso oggi tranquillamente affermare che si tratta solo dell'ultimo (o penultimo?) dei tanti 'dichiaranti a effetto' susseguitisi in tutti questi anni".

"A nulla si aggiunge altro nulla" ha sintetizzato il collegio di difesa del senatore Marcello Dell'Utri: "A parte una visione siculocentrica del mondo, nulla di rilevante e nulla di specifico può trarsi nelle dichiarazioni del neo pentito Antonino Giuffrè". Secondo i legali del parlamentare di Forza Italia, le dichiarazioni del pentito "sono una vera e propria antologia del sentito dire. Malgrado le insistenti domande dei pm di Palermo" dicono i difensori "Giuffrè non ha saputo riferire nulla di rilevante sul senatore Dell'Utri".

Nell'interrogatorio dell'8 novembre Giuffrè sostiene che il senatore avrebbe ricevuto appoggio elettorale nelle elezioni del '99. Come? Racconta Giuffrè che Provenzano sarebbe riuscito ad agganciare i vertici di Forza Italia per presentare una serie di richieste su alcuni argomenti che interessavano l'organizzazione mafiosa: l'abolizione del regime carcerario del 41 bis, la revisione dei processi, la legge sui collaboratori di giustizia, la legge sul sequestro dei beni. Il pentito ha aggiunto che Provenzano voleva ottenere anche l'alleggerimento della pressione sulle cosche da parte della magistratura. Giuffrè dice di aver appreso queste notizie direttamente da Provenzano nel gennaio '93; il capo di Cosa nostra gli avrebbe assicurato che questi nuovi referenti politici nell'arco di dieci anni avrebbero fatto ottenere questi risultati.

Sul rapporto tra Cosa nostra e quella che il pentito definisce "nuova formazione politica" e che poi esplicita essere Forza Italia, Giuffrè dice: "Vi sono state due fasi. Quella dell'acquisizione delle 'garanzie' e quella della ricerca dei referenti 'giusti' sul territorio per le varie elezioni, e cioè candidati almeno apparentemente 'puliti', non dovevano essere sotto inchiesta della magistratura, e quindi non potevano avere alcun timore a portare avanti la politica che interessava a Cosa nostra".

Giuffrè parla inoltre "delle strade per giungere ai vertici del nuovo partito". Quindi aggiunge "I boss Filippo e Giuseppe Graviano insieme all'imprenditore Gianni Ienna facevano da tramite direttamente fra Cosa Nostra e Berlusconi". "Sin da allora" prosegue Giuffrè "sapevamo il discorso dello stalliere, sapevamo di Mangano che era alle dipendenze di Berlusconi, insomma sapevamo già da tempo che c'era un certo contatto tra Cosa nostra e Berlusconi, grazie alla persona che aveva direttamente in casa".

E il pentito svela anche altri particolari dell'attività delle cosche. Come il fallito attentato allo stadio Olimpico del 31 ottobre 1993. L'esplosivo, ha spiegato "doveva servire per colpire i carabinieri impegnati nell'ordine pubblico allo stadio e dare un segnale alle forze dell'ordine". L'idea era stata di Leoluca Bagarella che la mise in atto contro i vertici di Cosa Nostra impegnati, sempre secondo Giuffrè, a trattare con settori dello Stato. Per fortuna l'attentato fallì: "Se ci fosse stata una strage all'Olimpico, a Bagarella avrebbero staccato la testa... L'avrebbero ucciso di sicuro".




- Il verbale di interrogatorio dell'8 novembre raccoglie le accuse del pentito Antonino Giuffré nei confronti di Marcello Dell'Utri. Le dichiarazioni del pentito sono state depositate oggi agli atti del processo al senatore di Forza Italia, accusato di concorso in associazione mafiosa. Secondo Giuffré, il boss latitante Bernardo Provenzano sarebbe riuscito ad agganciare i vertici di Forza Italia per presentare una serie di richieste su alcuni argomenti che interessavano l'organizzazione. Giuffré dice di aver appreso queste notizie direttamente da Provenzano nel gennaio '93; il capo di Cosa nostra gli avrebbe assicurato che questi nuovi referenti politici nell'arco di dieci anni avrebbero fatto ottenere questi risultati.

I referenti. In uno dei passaggi del verbale, Giuffré dichiara: "Per non commettere l'errore del passato occorreva scegliere dei referenti che portassero avanti con determinazione la risoluzione dei problemi che affliggevano Cosa nostra da ormai lungo tempo". L'ex boss di Caccamo sostiene di aver parlato di questi "referenti" con il capomafia Bernardo Provenzano e con Carlo Greco e Pietro Aglieri.


Il 41 bis. Per Giuffré "Provenzano era interessato alla revisione della legislazione antimafia: in particolare alla revisione dell'art. 41 bis dell'ordinamento penitenziario, alla revisione dei processi, alla revisione della legislazione sui collaboratori di giustizia, sul sequestro dei beni, e più in generale all'alleggerimento della pressione della magistratura".

L'omicidio Lima. Giuffré sostiene inoltre che l'omicidio dell'onorevole Salvo Lima aveva sancito una rottura con la Democrazia Cristiana che rendeva necessari nuovi rapporti con la politica da parte di Cosa Nostra per avere maggiori garanzie. Sul rapporto tra Cosa nostra e quella che il pentito definisce "nuova formazione politica" e che poi esplicita essere Forza Italia, Giuffré dice: "Vi sono state due fasi. Quella dell'acquisizione delle 'garanzie' e quella della ricerca dei referenti 'giusti' sul territorio per le varie elezioni, e cioè candidati almeno apparentemente 'puliti', non dovevano essere sotto inchiesta della magistratura, e quindi non potevano avere alcun timore a portare avanti la politica che interessava a Cosa nostra".

Graviano in contato con Berlusconi. Giuffré parla "delle strade per giungere ai vertici del nuovo partito". "I boss Filippo e Giuseppe Graviano insieme all'imprenditore Gianni Ienna facevano da tramite direttamente fra Cosa Nostra e Berlusconi" afferma l'ex capomafia di Caccamo. I pm chiedono al pentito il perché di questa scelta. "Signor procuratore" risponde Giuffré, "Berlusconi era conosciuto come imprenditore e per le sue emittenti. E' una persona abbastanza capace di portare avanti un pochino le sorti dell'Italia".

Lo stalliere di Arcore. Il collaboratore viene ripreso dal pm, il quale chiede se in passato "c'erano state altre occasioni in cui le dinamiche di Cosa nostra o le attività dell'organizzazione si erano incrociata con quella imprenditoriale di questo soggetto". "Sin da allora" risponde Giuffré "sapevamo il discorso dello stalliere, sapevamo di Mangano che era alle dipendenze di Berlusconi, insomma sapevamo già da tempo che c'era un certo contatto tra Cosa nostra e Berlusconi, grazie alla persona che aveva direttamente in casa. Poi vi erano altre persone che aveva nei punti chiave della sua amministrazione, diciamo un'altra...". Il collaboratore non aggiunge altro, e i magistrati non chiedono di conoscere il nome di questa persona.

Il "pizzo" alla Standa. Giuffré ricorda anche il tentativo di imporre il pizzo alla Standa in Sicilia. Una decisione che sarebbe stata presa da Totò Riina, su suggerimento del boss catanese Nitto Santapaola. Quest'ultimo, secondo il collaboratore, facendo pressioni sulle sedi della Standa "voleva intrattenere un rapporto diretto con Berlusconi". Il neo pentito fa riferimento a un incontro avuto con i vertici di Cosa Nostra, dopo la sua scarcerazione avvenuta nel gennaio del '93. Con Provenzano e i boss Pietro Aglieri e Carlo Greco, componenti della Cupola, Giuffré avrebbe parlato di Marcello Dell'Utri "che costituiva un canale tramite il quale Cosa Nostra aveva acquisito delle garanzie politiche per il futuro dell'organizzazione mafiosa".

Il collaboratore afferma che "a fronte di queste garanzie politiche, anche Cosa nostra doveva dare garanzie e in particolare venne chiesto all'organizzazione che si inabissasse e che non proseguisse la strategia stragista".


a seguire un'interessante versione audio

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