Re: Instabilità carico di punta

Inviato da  manalive il 23/11/2006 17:31:26
Questo post è solo un veloce aggiornamento.

Stiamo lavorando sulla diffusione del calore lungo le colonne portanti del core (sempre pensando che nell’ambito del modello delineato questo possa portare ad una descrizione credibile delle modalità di innesco dei crolli e del ritardo rispetto agli impatti), e sulla dinamica del cuscino di poltiglia (soprattutto allo scopo di migliorare l’incertezza delle valutazioni energetiche).

Nel frattempo forse vale la pena di fare una precisazione sul meccanismo di inarcamento delle torri, che ho paragonato a quello della “lamina bimetallica”.

Infatti l’allungamento relativo epsilon di una colonna è dato da alfa x DeltaT, dove alfa è il coefficiente di espansione termica lineare, e sembrerebbe indipendente dalla lunghezza L del tratto che è stato riscaldato, essendo calcolabile a partire dal solo aumento di temperatura DeltaT.

Nel caso di una delle colonne portanti delle torri, e del riscaldamento che un suo tratto lungo L ha subito per l’incendio del kerosene, quello che rimane costante durante la vicenda è l’allungamento termico assoluto che si produrrebbe in teoria se la colonna fosse isolata. Ciò deriva dal fatto che l’incendio dura un tempo finito, durante il quale inietta una certa quantità di calore Q nel tratto L0 che lambisce, portandolo alla temperatura DeltaT0. Quando poi lentamente il calore si diffonde lungo la colonna, ed il tratto caldo si allunga a L>L0, la temperatura diminuisce in modo da mantenere costante il prodotto L x DeltaT, che è proporzionale a Q, e che moltiplicato per alfa dà appunto l’allungamento assoluto.

In pratica poi non succede esattamente così perché il sistema è più complicato, in particolare perché ci sono i vincoli della struttura e la colonna non è libera di allungarsi come vuole.

All’inizio, quando il tratto caldo è corto (una decina di metri) e si è scaldato di un 250 K (assunzioni che ipotizzano un’iniezione di calore dalle parti di 150 MJ per colonna, che va affinata ma per ora pare abbastanza ragionevole), la reazione del vincolo dato dalla struttura è tale da non lasciar quasi espandere la colonna. Infatti l’allungamento relativo iniziale epsilon0 risulta essere di circa il 3 per mille, e quindi porta il materiale nella zona di snervamento (ho confrontato queste valutazioni con le curve dell’acciaio date dal FEMA per l’A36, che sostengono essere stato l’acciaio delle colonne del core). Allora basta che la sezione equivalente del vincolo su cui si va a scaricare la tensione così prodotta sia di un due-tre volte maggiore della sezione della colonna perché al vincolo basti deformarsi di ½ per mille (5 mm) per bloccarne l’espansione.

Quando invece la diffusione del calore porta L ad una 50ina di metri (20-25 per parte), allora epsilon ritorna ad essere ben entro la zona di linearità del materiale e, quel che più importa, dell’ordine di grandezza delle deformazioni longitudinali che il progettiste deve aver previsto di rendere ammissibili nella struttura per tener conto delle variazioni stagionali. Allora a questo punto la struttura non impedisce più alle colonne scaldate di allungarsi, e l’effetto lamina bimetallica si può esprimere pienamente provocanto l’incurvamento della torre.

Stiamo ancora lavorando sulla diffusione del calore (lo si fa nei ritagli di tempo e quindi si procede molto adagio), ma sembra ragionevole pensare che la diffusione sia avvenuta ad una velocità dell’ordine dei 5 mm/s. Questo significa che ci vogliono una cosa come 5000 secondi perché la lunghezza del tratto “caldo” raggiunga la cinquantina di metri citata (caldo si fa per dire perché a questo punto sarà solo 50 K più caldo dell’ambiente).
Poiché 5000 secondi son circa un’ora e mezza, questo modello potrebbe spiegare il ritardo che si è verificato nell’innesco dei crolli.

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