Hombre

Inviato da  Calvero il 18/1/2011 20:52:19
Quel che iconograficamente il "western" richiama alla memoria delle emozioni è, fondamentalmente, la rude epopea che affascina (o meglio affascinò) la nostra civiltà moderna (negli spettatori) così lontana da simili e forse più naturali paradigmi.



Io non so e non credo sia facile avere certezza di quanto un Era passata sia stata rappresentata con onestà.

Ma credo, e di questo ne ho maggior certezza, che i concetti che dividono quel periodo storico dal nostro, siano genuinamente (inteso come emozione) una ancestrale e catalizzatrice esigenza di verità. Ma di quale verità si potrebbe discutere? essendo la medesima inconoscibile ...

.. beh, di quell'interazione "crudele" che abbiamo perso e, sempre più, foriera di un ancestrale e virile (nella sua accezione più nobile) approccio con la nostra esistenza. Con i nostri nemici.

Così come la settima arte nella sua piatta Bi-dimensionalità (e sempre di meno in nome del 3D) ci ha ingannati, allo stesso modo ci ha reso una chiave di percezione che di fatto ci appartiene .. e di fatto, amiamo amare. Sospendendo il nostro pensiero e il nostro alter ego tra le montagne, i Gringos, le pistoletatte, i cattivi, in questo on the road asciutto, la lezione imparata è quella del cinema che riusciva a dare al suono dei Revolver e dei Winchester la forza di un racconto e la magia di un etica persa.

Ora sono spari senza eco, senza forza.




Quello che diventava per Sergio Leone una emanazione adolescenziale della rivalsa del bene sopra il male (fondamentalmente fiabesca e romantica), una pittorica e impressionista contestualizzazione in opposizione alla melassa borghese che già allora aveva scassato i coglioni in Italia ... - per Martin Ritt & Paul Newman diventa più una riflessione antropologica sull'uomo che vive all'interno di una epopea dove le sfumature non avevano che il peso dell'inutilità.

Si ha la percezione di una rabbia controllata (al limite di una filosofia ZEN) nel personaggio di Newman, proprio in nome di una denuncia verso chi veniva ghettizzato in nome del maledetto "progresso".. spietato, duro, tacito, perché lucido sulle bassezze umane e non spietato per vocazione.

Lui "pellerossa" comprende, come uomo tra due mondi, il ponte che sta definitivamente spezzando i sogni di una libertà così profonda, così umiliata.

Paul Newman si carica del rude (e anche dolce) compito di essere l'ultimo dei "Mohicani" in quello che definire western è un semplice azzardo.

edit

Come in un NOIR, il bianco & Nero è nella pragmaticità delle sequenze che denudano i personaggi fin nelle loro più pudiche ipocrisie. Nei loro contrasti. Più di ogni altra cosa non ci si può che innamorare dei piccoli silenzi che tagliano la morale degli sguardi vigliacchi che al protagonista sono solo di disprezzo, e che Newman spacca con occhi fermi e purtroppo disillusi.

E' quasi documentaristico godere del taglio psicologico portato alle maschere (le stesse che ancora oggi intonano: Dio benedica l'America); un copione brillante in continuo crescendo che si struttura in "salita" con dialoghi, ed epilogo che "scendono" nel cuore della vicenda: inesorabile - strato dopo strato - Hombre mette a nudo la coscienza, anche la nostra.

Sin nel "teatrino" dei personaggi femminili, affatto gregari ...anzi, vi è una caustica verità della fatica in cui le donne (ma più femmine) di quel mondo potevano versare e allo stesso modo approfittare.

Come la regia non concede sconti, così questi giocatori sullo schermo non illudono e non compensano, mai, le bassezze e gli "eroismi".

Mi rimane nella memoria il dialogo di Paul Newman quando illumina la verità attraverso il vero carattere di quelli che assediati, hanno venduto l'anima proprio come il nuovo mondo stava perdendo la sua. L'ostaggio e il gioco per "riconquistarlo" rendono cristallina come ogni cosa si possa ridurre al "valore" ultimo del denaro, della sopravvivenza.

In una sequenza, quasi Hitchcockiana, il fucile che attende "campo libero" in una tremenda soggettiva, Ritt... dà tutto il respiro e il senso asciutto e senza fronzoli del "sacrificio". Come nella vita, così in Hombre, il labilissimo confine per cui le cose possono andare storte ha tutto il suo impietoso carico di verità.



Come in quella diligenza, l'interazione col nostro prossimo nei suoi spazi ristretti e forzati proietta la natura delle nostre coscienze. Anche Jhon Russel (Newman) prende coscienza che i suoi pensieri e le sue azioni se vogliono rimanere cariche del significato in cui ha creduto sin dall'inizio, non possono che convergere distaccandosi da quel mondo in cui non può che non riconoscersi più. Forse aveva creduto potesse farcela, forse il disprezzo non può che essere taciuto sino alle estreme conseguenze.

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