Re: Il rifiuto della comunità.

Inviato da  Paxtibi il 23/8/2007 18:12:29
Scusa Prealbe se rispondo con ritardo ma in questi giorni ho parecchio da fare.

In quale puntata si sarebbe deciso che è proprio questa la sua “unica ragione d’essere”?

Oddio, e per quale altra misteriosa ragione dovrebbero mai vivere in comunità gli esseri umani, se questo non servisse soddisfare dei loro bisogni?

Poi in quel “al meglio” - che dovrebbe precisare quel “efficacemente” - c’è semplicemente un universo di indeterminatezza.

Perché non è possibile quantificare tale soddisfazione, ma è logico attendersi che essa migliori nel tempo, adeguandosi alle variazioni delle condizioni.

Piuttosto, mi sembra più interessante l'obiezione di Nessuno sull'uso del termine comunità per definire un contesto come le nostre città e/o nazioni, così come trovo perfettamente logiche le sue osservazioni sull'identità.

Re: Il rifiuto della comunità.

Inviato da  prealbe il 24/8/2007 19:00:40
Paxtibi
Citazione:
Oddio, e per quale altra misteriosa ragione dovrebbero mai vivere in comunità gli esseri umani, se questo non servisse soddisfare dei loro bisogni?

Pax, ti prego di non ammannirmi la “Legge Universale dell’Evidentemente”.

“Se gli esseri umani vivono in comunità EVIDENTEMENTE risponde a dei loro bisogni.”.

Si. Va bene. D’accordo.

Ma quali bisogni?

Altrimenti, come si valuta se una comunità li soddisfa “al meglio”, “al peggio” o “al così così”?

Citazione:
Perché non è possibile quantificare tale soddisfazione, ma è logico attendersi che essa migliori nel tempo, adeguandosi alle variazioni delle condizioni.

Questa mi sembra una risposta di Andreotti. Puoi provare ad enunciare qualcosa di un pizzico meno generico e sfuggente?

Citazione:
Piuttosto, mi sembra più interessante l'obiezione di Nessuno sull'uso del termine comunità per definire un contesto come le nostre città e/o nazioni, così come trovo perfettamente logiche le sue osservazioni sull'identità.

Piuttosto, mi sembra che hai glissato alla grande sul fatto che i danni “non fisici” in una comunità possano riguardare anche altro che non sia “il pensiero e la sua espressione”...


In sostanza, Pax, in questo post non hai detto niente. Se non hai tempo (o voglia) di rispondere, non rispondere e basta. Non mi offendo. Però, se rispondi... rispondi.



Per quanto riguarda invece la definizione di comunità sulla quale ti sei fissato (con un qualche mio sconcerto, per la verità... ).

Se io ho scritto:
Citazione:
Insomma, il tratto distintivo di una comunità è, a quanto pare, l'esistenza tra i suoi membri di elementi significativi in comune e, sulla base di questi, di vincoli reciproci. Nonché, questo lo aggiungo io, di interferenza continua tra di essi, trattandosi di un contesto di interazione.

In mancanza di queste caratteristiche specifiche, ci si trova invece semplicemente in presenza di una:

fól |la, fòl |la



cioè una mera somma di individui aventi in comune solo la presenza contemporanea in un dato spazio. Senza vincoli reciproci, a parte la contiguità fisica.

e:
Citazione:
Quand'è che una "folla" diventa una "comunità"? In cosa si sostanzia il substrato comune di cui sopra?

Esso sarà, naturalmente, di ordine sia pratico sia, soprattutto - dato che il contesto è umano - emotivo (1), e tale da consentire ai propri membri lo specchiamento reciproco, di riconoscere cioè sé stessi negli altri; in caso contrario l'individuo si troverebbe circondato da entità che, facendo riferimento a sistemi di significato ignoti, sarebbero per lui semplicemente incomprensibili e con cui un'interazione articolata sarebbe quindi impossibile.

e:
Citazione:
Ciò detto, se una comunità, per essere tale, deve possedere un sistema di interpretazione della realtà condiviso tra i propri membri,...

e:
Citazione:
Come dicevo, la comunità, per esserlo, deve possedere alcune caratteristiche specifiche; non basta certamente che qualcuno dica "Comunità!" perché una folla di individui diventi tale.

e, a fronte del tuo proporre l’Inter come gruppo finalizzato paragonabile ad una comunità:
Citazione:
La "comunità" di cui si tratta in questa discussione (che ho aperto io; lo saprò, quindi...) è la comunità in cui si vive la propria vita, non la bocciofila del quartiere.

allora ti domando (facendomi prestare le parole dal poeta):

”Ma secondo i cazzi tuoi...” sto dicendo che qualunque contesto (“come le nostre città e/o nazioni”) in cui sei nato e vivi è, per questo semplice fatto, una comunità oppure sto semplicemente dicendo che l’Inter è un paragone che non regge con una comunità perché quest’ultima, per essere considerata tale, deve essere, rispetto ai suoi membri, un contesto un pochino più totalizzante di una squadra di calcio ?

Chissà. Chissà.


Prealbe


P.S. Non ho invece la forza di correggere varie altre interpretazioni che hai dato di quello che ho scritto fin qui. Basti per il momento dire che a molte non riesco a crederci.

Re: Il rifiuto della comunità.

Inviato da  prealbe il 24/8/2007 19:09:56
Post con 1270 parole, 7416 caratteri e 1247 spazi. Più di così, non so come avvertirvi.

Guglielmo
Citazione:
te la regalo volentieri

Obbligato.

Citazione:
Ma ti chiederei, se possibile, di continuare a discutere utilizzando l'intera proposizione nella quale ho inserito quella frase. Altrimenti il senso che le davo viene stravolto...

Ok, ma mi ha davvero colpito: non ho potuto esimermi.
Citazione:
Tu la consideri una carenza. Ora, a me piacerebbe capire meglio in base a quali considerazioni affermi che

Prealbe
Citazione:
soprattutto, ci ruba il senso di noi stessi, perché ci sottrae i punti di riferimento necessari per misurare noi stessi. Ho difficoltà ad immaginare una situazione peggiore di un tale limbo esistenziale: come ci si può “evolvere” in un sistema non direzionato, in cui tutto e il suo contrario hanno uguale senso e valore? Su cosa si può appoggiare la selezione di una caratteristica piuttosto che un’altra? A che pro? E’ indifferente. Senza importanza. E noi, di conseguenza, lo siamo altrettanto.

Mi pare che abbiamo idee alquanto diverse su come nasce l'identità. Poco male, ma mi piacerebbe confrontarmi avendo qualche dato a disposizione, non semplicemente affermazioni.

Qualche dato di che genere?

Citazione:
Mi pare che tu assegni alla "società" o alla "comunità" un compito ed una funzione che non appartengono loro. Il senso di identità e di individualità si sviluppa nelle relazioni primarie, quelle del bambino con i suoi genitori, ed è fondamentalmente completo fin dai 6-7 anni. Quel che accade dopo sono, nella maggior parte dei casi, solo "aggiustamenti". Il "disorientamento" di cui parli (che mi pare possa essere riconducibile alle tematiche dell'alienazione) esiste negli adulti, non nei bambini.

In effetti è l’individuo adulto che sto prendendo in considerazione. In ogni caso sono però certo che non stai affermando che, visto che l’identità e l’individualità si strutturano entro i primi 7 anni di vita, quello che succede successivamente non abbia un’influenza sostanziale sull’individuo, vero?
E in questa influenza il contesto sociale extra-familiare un qualche peso non indifferente ce l’ha eccome, no?

Citazione:
Ora, il mio punto di osservazione sulla società è soprattutto quello di uno psicologo, quindi parziale. Ma quel che vedo è che la maggior parte delle persone che chiede aiuto presenta problematiche relative non all'alienazione, ma alla difficoltà di svincolo, alla dipendenza, all'autonomia. Mi pare che, se le tue conclusioni fossero corrette, i problemi dovrebbero essere molto diversi.

Guarda, non sono sicuramente competente per affrontare il lessico e le tematiche psicologici in termini rigorosamente tecnici o accademici: se parlo di “identità” o “alienazione” lo faccio secondo il significato corrente al di fuori del tuo contesto specialistico, così come immagino facciano anche gli altri interlocutori. Questo può forse spiegare qualche difficoltà nella nostra comunicazione.

Per quanto riguarda il disagio di cui parlo, ti posso dire che ciò che mi ritorna dal confronto quotidiano con le persone che mi circondano sono racconti di profondissima insoddisfazione e disorientamento esistenziale che investono tutte e tre le sfere cui facevamo riferimento. Non so se ciò riguardi in senso stretto l’identità piuttosto che l’alienazione: possiamo metterci su l’etichetta che vogliamo; in ogni caso io a questo mi riferisco.

E ritengo che contesti quali l’attuale siano in grado di fiaccare anche persone dalla solidità psicologica invidiabile, non fosse altro perché esse, “sistemi aperti”, avranno continuamente a che fare con controparti che esprimono quella “sofferenza” che tu giustamente definisci “difficile, pesante e faticosa da incontrare”.

Citazione:
In un sistema non direzionato ci si evolve benissimo. Tant'è che siamo qui, su questo pianeta. E non mi pare che i meccanismi dell'evoluzione abbiano una direzione preferenziale, né un fine cui tendere.

Premessa: non voglio aprire una discussione sull’argomento “evoluzione”, e quindi per pietà nessuno mi risponda in tal senso: con chi dissentisse da ciò che ho scritto, amici come prima. ; faccio solo una breve digressione..

[INIZIO digressione]
L’evoluzione darwiniana è un processo direzionato. Ciò che non è direzionato in esso sono le mutazioni casuali (“casuali”, appunto), ma la loro affermazione (cioè l’evoluzione) avviene in base alle “risposte” che l’ambiente da ad esse (“pressione selettiva”); a significare che solo certe strade evolutive (cioè certe “direzioni”) e non altre sono concesse. Tra l’altro è un processo che riguarda la specie piuttosto che l’individuo; quest’ultimo vive la sua intera vita, salvo eventi catastrofici piuttosto infrequenti, in una situazione ambientale che si può considerare assolutamente stabile, ricevendone sempre risposte costanti e coerenti con la sua esperienza pregressa.
[FINE digressione]

Questo ad evidenziare che se la risposta ambientale mutasse con tempi più veloci di come invece avviene, tanto da riguardare anche il ciclo vitale dell’individuo, quest’ultimo si ritroverebbe a possedere caratteristiche improvvisamente non più idonee all’ambiente in cui vive con, immagino, qualche non trascurabile problema esistenziale e il relativo stress conseguente.

Ora, se gli animali tendono ad affrontare l’esistenza ed il cambiamento ambientale senza porsene granché “il senso” (con un certo fatalismo, direi ), non mi pare che altrettanto si possa dire per l’uomo (la cui natura speculativa ritengo possiamo concordare sia un fatto assodato). L’uomo ha bisogno di spiegarsi la realtà in cui vive e su tale quadro interpretativo fa un considerevole investimento personale ed emotivo (non certamente solo intellettuale e distaccato). Già il semplice mutamento di condizioni pratiche spinge spesso l’individuo a rimettere in discussione la propria visione del mondo (1); oggi il mutamento pratico si accompagna anche alla esplicita e continua messa in discussione intellettuale di ogni e qualunque eventuale “punto fermo” culturale.

Questo intaccare frequentemente, con feedback confusi, contraddittori, perennemente mutevoli, l’interpretazione della realtà che un individuo ha conseguito é obiettivamente destabilizzante e ingenera alla lunga in lui una profonda insicurezza e una tendenza a ritrarsi in sé stesso. (2) Se invece l’individuo cresce fin dall’inizio in una situazione del genere, sarà direttamente impedito a formarsi un’interpretazione coerente e sistematica della realtà, con risultati analoghi al caso precedente (o forse peggiori).

Citazione:
Sul fatto che siamo senza importanza, che dire? Dipende dal punto di vista. Io, per me, sono abbastanza importante. Ma che vuoi che glie ne freghi di me a uno che vive a Palermo e che non mi conosce, o a un aborigeno australiano? O anche al mio vicino di casa? E che ci sarebbe di male in questo?

Beh, mi riferisco naturalmente alle controparti con cui entri in contatto; con queste l’aborigeno australiano o palermitano non hanno indiscutibilmente niente a che vedere , ma il vicino di casa certamente si; e di “male” nel menefreghismo reciproco, in assoluto, non ci sarebbe niente (è il bello dell’assoluto: al suo cospetto, ogni questione è praticamente irrilevante. )

Da un punto di vista sociale, invece, non mi sembra esattamente l’optimum. Certo, non è che non si sopravviva lo stesso, però...
se ti finisce lo zucchero...
se vai in vacanza e non vuoi far morire tutte le tue piante...
se ti prende un infarto sul pianerottolo (e forse in questo caso la sopravvivenza non è così certa)...

magari un vicino di casa non proprio menefreghista nei tuoi confronti (e viceversa, s’intende) un suo “perché” ce l’avrebbe, tutto sommato...

(attenzione: l’ho “buttata” sull’utilitaristico, ma credo che avrebbe un suo robusto “perché” anche a prescindere da questo aspetto… )

Prealbe

1 - E i comportamenti che ne conseguono; non è, ripeto, solo questione meramente intellettuale.

2 - Per fare un semplice esempio pratico: se quando si schiaccia l’interruttore della luce, anziché accendersi sempre la lampada avvenisse ogni volta una cosa diversa (non so: si aprisse il rubinetto del bagno oppure si azionasse la lavatrice oppure si accendessero i fornelli) in maniera imprevedibile, io penso che da quell’interruttore finiremmo ben presto per tenerci accuratamente alla larga (perché l’avventura e l’imprevisto sono bellissimi e vanno benissimo, ma non sempre sempre sempre. ).

Re: Il rifiuto della comunità.

Inviato da  arturo il 25/8/2007 11:56:25
( tento di "fare da spalla )

Insomma , Prealbe sostiene che l’uomo ha bisogno di punti fermi a cui fare riferimento per avere la possibilità di “modificarli “ ed di conseguenza evolversi ( migliorare) sia come singolo individuo nel delimitato arco di tempo relativo al suo ciclo vitale, sia come collettività nel vasto arco di tempo relativo a quello sociale collettivo

In mancanza di tali agganci sopraggiunge un senso di smarrimento che porta l’individuo a ripiegarsi in se stesso e a "proteggersi" rifiutando (o delimitando a gruppi ristretti) i rapporti con la collettività in generale nella quale non si riconosce ( non vi " s'indentifica" !) e che – di conseguenza - non riconosce come “appartenente” ( ODDIO, che ho scritto ! ) a se stesso

In breve si innesca un processo involutivo di regressione del singolo che si ripercuote sulla collettività ( o viceversa)

Questo mi pare di aver intuito….

Se mi sbaglio MI CORRIGGERETE !!!!

.

Re: Il rifiuto della comunità.

Inviato da  Timor il 25/8/2007 12:12:11
Citazione:
l’uomo ha bisogno di punti fermi a cui fare riferimento per avere la possibilità di “modificarli “ ed di conseguenza evolversi


Scusa Arturo potresti riassumermi questi punti fermi la cui modifica porterebbe all'evoluzione individuale e collettiva?

Grasie

Re: Il rifiuto della comunità.

Inviato da  nessuno il 25/8/2007 12:47:02
Prealbe, io non ha mai affermato che questo stato di cose produca solo bellezza e gioia per tutti.

E sì, i punti di riferimento tradizionali sono saltati. Ma non riesco proprio a considerarlo un male.

E, certo, posso morire d'infarto perché il vicino non mi soccorre. Ma non devo nemmeno sopportare un vicino che se mi vede mettere un fiocco rosso alla vacca va dal prete a denunciarmi come stregone comunista.

Devo essere drastico: la libertà, ogni libertà, in ogni forma, comporta rischi. Maggiore la libertà, maggiori i rischi. Tra questi vi sono anche quelli di cui parli tu.

Ma la soluzione (se mai c'è), a mio parere non consiste nel ritornare ad una comunità (comunque - a mio modo di vedere - impossibile) ma, semmai, nell'accrescere le libertà individuali.

Proviamo a vedere che cosa succede portando all'interno dell'economia, della produzione, della politica, le conseguenze dei cambiamenti avvenuti all'interno della sfera affettiva negli ultimi cent'anni, ad esempio?

Buona vita

Guglielmo

Re: Il rifiuto della comunità.

Inviato da  arturo il 25/8/2007 13:07:12
Scusa Arturo potresti riassumermi questi punti fermi la cui modifica porterebbe all'evoluzione individuale e collettiva?
Grasie


Scusa Timor ti potresti ri-leggere il 3D ?
Preche

.

Re: Il rifiuto della comunità.

Inviato da  Timor il 25/8/2007 14:36:28
Arturo il punto fermo è evidente: l'individuo si definisce all'interno di un tessuto sociale, culturale, emozionale da lui percepito e riconosciuto come insieme di valori condivisi di una collettività.
Mi pare che questo sia il dato di fatto, sia che l'individuo accetti la società in toto sia che la rinneghi proprio per il semplice fatto di essere nato(?) da madre.

Ma il passaggio fra la definizione (punto fermo) dell'individuo e il concetto che rende questo punto fermo indispensabile per l' evoluzione mi sfugge.

Com'è il tuo sè evoluto?

De nada

Re: Il rifiuto della comunità.

Inviato da  arturo il 25/8/2007 15:20:18
Ma il passaggio fra la definizione (punto fermo) dell'individuo e il concetto che rende questo punto fermo indispensabile per l' evoluzione mi sfugge.

Timor, si può sapere perchè ti rivolgi a me con cotanta insistenza ?

Ti ripeto : rileggi il 3D e soprattutto il post 93 che condivido e del quale ho tentato una semplificazione molto approssimativa in attesa di essere "corretto" dall'autore dello stesso nel caso avessi totalmente frainteso il suo pensiero

Fai altrettanto anche tu : rileggiti quel post e, se vuoi, commentalo

Poi, se qualcosa non ti torna , chiedi lumi all'utente in questione ed eventualmente "cimentati" a discuterne con lui

PS
Una riflessione di sfuggita a proposito di questa tua definizione

"l'individuo si definisce all'interno di un tessuto sociale, culturale, emozionale da lui percepito e riconosciuto come insieme di valori condivisi di una collettività."

Secondo te noi oggi viviamo in una società in cui ci siano “valori condivisi” tali da essere ritenuti ” punti di riferimento” forti ?

Secondo me no.

Ecco perchè ho scritto che mancano “punti di riferimento “



.

Re: Il rifiuto della comunità.

Inviato da  Timor il 25/8/2007 15:32:29
Non importa Arturo, il thread l'ho letto e anche il post, ma la domanda rimane.
Non volevo infastidirti, solo suggerire una chiave di lettura alternativa, ma sarà per un'altra volta

Un saluto

Re: Il rifiuto della comunità.

Inviato da  Timor il 25/8/2007 16:13:23
Grazie Arturo per la seconda parte della risposta.

Citazione:
Secondo te noi oggi viviamo in una società in cui ci siano “valori condivisi” tali da essere ritenuti ” punti di riferimento” forti ?


I punti di riferimento sono proprio ciò che impediscono l'evoluzione della coscienza pur evitandole di perdersi completamente; il solito paradosso
"Nell'assoluta mancanza di certezze ritroviamo la nostra origine"

Re: Il rifiuto della comunità.

Inviato da  prealbe il 25/8/2007 16:32:31
Timor
Citazione:
I punti di riferimento sono proprio ciò che impediscono l'evoluzione della coscienza pur evitandole di perdersi completamente

Avevo già parlato da qualche parte dei “SuperMegaIndividui”, vero? Si, mi pare proprio di si.


Prealbe

Re: Il rifiuto della comunità.

Inviato da  Timor il 25/8/2007 18:59:26
Citazione:
Avevo già parlato da qualche parte dei “SuperMegaIndividui”, vero?


Non erano un ramo morto dell'evoluzione?

"Si diventa ciò che si pensa" Maitra Upanisad

Re: Il rifiuto della comunità.

Inviato da  arturo il 25/8/2007 19:43:56
ctz.

I punti di riferimento sono proprio ciò che impediscono l'evoluzione

Se tu vuoi andare in America ( leggi : evoluzione ) devi sapere da "dove partire" ( leggi : punto "fermo") ) per arrivarci...

Se ti avessero bendato e poi paracadutato SENZA BUSSOLA in un punto X ( punto NON "fermo") del pianeta me lo dici da che parte ti dirigeresti ?

A meno che tu non sia Cristoforo Colombo che in America c'è arrivato lo stesso, ma per puro caso credendo di andare nelle Indie,
Però sempre da Palos ( punto fermo) era partito e aveva con sé anche la bussola...

Comunque nulla ti impedirebbe di dirigerti là dove ti porta ..."il naso" nella speranza che il nuovo punto di approdo ( punto fermo ) ti soddisfi a sufficienza perchè il navigare a vista in continuazione potrebbe rivelarsi un tantino destabilizzante
.

Re: Il rifiuto della comunità.

Inviato da  SENTIERO il 27/8/2007 3:05:14
Citazione:

arturo ha scritto:
ctz.

I punti di riferimento sono proprio ciò che impediscono l'evoluzione

Se tu vuoi andare in America ( leggi : evoluzione ) devi sapere da "dove partire" ( leggi : punto "fermo") ) per arrivarci...

Se ti avessero bendato e poi paracadutato SENZA BUSSOLA in un punto X ( punto NON "fermo") del pianeta me lo dici da che parte ti dirigeresti ?

A meno che tu non sia Cristoforo Colombo che in America c'è arrivato lo stesso, ma per puro caso credendo di andare nelle Indie,
Però sempre da Palos ( punto fermo) era partito e aveva con sé anche la bussola...

Comunque nulla ti impedirebbe di dirigerti là dove ti porta ..."il naso" nella speranza che il nuovo punto di approdo ( punto fermo ) ti soddisfi a sufficienza perchè il navigare a vista in continuazione potrebbe rivelarsi un tantino destabilizzante
.


Ciao Arturo,

concordo con Timor, inoltre nel tuo post c'e' nascosta la risposta che conferma il tutto.
Andare in America, ha significato per Colombo, abbandonare i punti fermi. Infatti, sapeva da dove partire, senza conoscere la sua meta(?) ne il percorso per arrivarci. Restare nei punti fermi significa percorrere strade gia percorse. Percui il tragitto su tali strade diventa monotono e meccanico, ergo non aiuta ad evolvere. Ma se per esempio crollasse un ponte, la stessa strada che prima si percorreva con la testa tra le nuvole, ora diventa un percorso impegnativo, che ci costringe a tirare fuori quelle capacita' nascoste che in altre circostanze non avremmo usato, pèerche' non necessarie e non richieste dalla situazione vissuta (evoluzione).

Ciao.

Re: Il rifiuto della comunità.

Inviato da  nessuno il 27/8/2007 8:34:37
Citazione:
I punti di riferimento sono proprio ciò che impediscono l'evoluzione della coscienza pur evitandole di perdersi completamente; il solito paradosso


Ti ringrazio, Timor. Quello che scrivi è verissimo, a mio parere. Tutti noi abbiamo bisogno di "punti fermi". La questione sta in cosa significa quel "abbiamo bisogno".

Punti fermi come bitte d'ancoraggio, magari con gomène legate tanto strettamente da impedire alla nave di muoversi? Va bene finché occorra rimanere in porto, ma non si può viaggiare per mare legati ad un molo...
Punti fermi finché si è bambini, altrimenti non si diventa adulti. Ma poi, una volta adulti, i punti "variabili" diventano i nostri punti fermi. Non ce li prendiamo più da chiunque li fornisca. Li scegliamo e, in molti casi, li costruiamo attivamente.

E sì, sembra una contraddizione, che quel che ci consente di vivere sia anche quel che spesso ci uccide. Ma è questo, secondo me, che ci consente di essere esseri umani, non macchine. La bellezza - e anche la tragicità - dell'esistenza umana sta tutta in queste apparenti contraddizioni. E nel nostro interminabile tentativo di superarle, quando sarebbe assai più semplice (e probabilmente più corretto) arrenderci alla loro esistenza.

Buona vita

Guglielmo

P.S.: a leggere di Cristoforo Colombo, mi viene in mente quel dialogo tra due ebrei, alla vigilia della Seconda Guerra Mondiale.
"Penso di andarmene in Venezuela", dice uno. "Così lontano?" chiede l'altro. "Così lontano da dove?" risponde il primo.

Ri-buona vita

Re: Il rifiuto della comunità.

Inviato da  arturo il 27/8/2007 11:02:17
ctz
"P.S.: a leggere di Cristoforo Colombo, mi viene in mente quel dialogo tra due ebrei, alla vigilia della Seconda Guerra Mondiale."Penso di andarmene in Venezuela", dice uno. "Così lontano?" chiede l'altro. "Così lontano da dove?" risponde il primo "

Giusto.

Infatti il razzismo è un “dis- valore condiviso” ( mi sembra inutile sottolineare che per "valori" condivisi si intentano anche i "dis-valori" !) ossia un “punto fermo” da cui partire per superarlo.

Nel mio ragionamento, però, io mi riferivo a queste affermazioni

ctz.

"l'individuo si definisce all'interno di un tessuto sociale, culturale, emozionale da lui percepito e riconosciuto come insieme di valori condivisi di una collettività"

ctz

"I punti di riferimento sono proprio ciò che impediscono l'evoluzione della coscienza"


Per “punti di riferimento” intendo l’insieme di valori ( o dis-valori ) in continuo divenire che identificano il contesto sociale attraverso le tappe del percorso umano e che sono sottoposti al un incessante mutamento ed evoluzione grazie all'interazione costante tra singolo e collettività

L’ insieme di valori collettivi condivisi espresso dall’ Oscurantismo è stato superato da quelli espressi dall’Umanesimo poi dall’ Illuminismo e così via….

Oggi la società globale è entità senza volto.

La sua identità è multiforme e contraddittoria, confusa ed indecifrabile

In tale contesto fluido ed indistinto l’individuo ha enormi difficoltà a riconoscersi e tende a distaccarsi dalla collettività che recepisce come un labirinto da cui è impossibile uscire ed in cui è impossibile orientarsi.

Per questo cerca di proteggersi rinchiudendosi in spazi vitali sempre più stretti ed asfittici e le “modifiche” che subisce sono più ricollegabili ad una sua involuzione che ad una sua evoluzione

Ps

Spero che la conversazione si risollevi con la partecipazione di altri interlocutori perchè i miei interventiterra-terra rischiano di far perdere quota al 3D

.

Re: Il rifiuto della comunità.

Inviato da  fiammifero il 27/8/2007 12:16:54
Citazione:
Oggi la società globale è entità senza volto.

Spiegati meglio,per favore
Veramente io vedo molti volti,e sono sempre gli stessi da quando esiste l'uomo (credulità,scetticismo,pecore e lupi,valori imposti così come usi e tradizioni,accettazioni e rivolte etc) .
Non è per caso che con la "globalizzazione" ci si accorge che esistono altre realtà che destabilizzano il "nostro piccolo e illusorio mondo" ?
Non è il caso forse incominciare da piccoli?

Re: Il rifiuto della comunità.

Inviato da  arturo il 27/8/2007 12:53:03
ctz
Spiegati meglio,per favore

Ho tantato di farlo ( ho aggiunto qualche "termine" in più...)
ma immagino che non sarà sufficiente per far capire quello che intendo.

Mi dispiace.

Dovrai ricorrere al tuo intuito o alle riflessioni di altri partecipanti .

Io non so fare di meglio.

ctz

Non è per caso che con la "globalizzazione" ci si accorge che esistono altre realtà che destabilizzano il "nostro piccolo e illusorio mondo" ?

Comunque non mi riferivo a questo ( la globalizzazione è un processo inarrestabile che - se ben governato - dovrebbe offrire algli individui grandi possibilità di "arricchimento" e di "miglioramento" ) nè a problemi concreti limitati nello spazio e nel tempo e relativi all' "armonico sviluppo del fanciullo "

Mi riferivo allo "sviluppo" (od alla "regressione") dello "spirito della collettività " inteso nel suo significato più ampio


.

Re: Il rifiuto della comunità.

Inviato da  prealbe il 27/8/2007 14:10:22
Guglielmo
Citazione:
Prealbe, io non ha mai affermato che questo stato di cose produca solo bellezza e gioia per tutti.

E sì, i punti di riferimento tradizionali sono saltati. Ma non riesco proprio a considerarlo un male.

E, certo, posso morire d'infarto perché il vicino non mi soccorre. Ma non devo nemmeno sopportare un vicino che se mi vede mettere un fiocco rosso alla vacca va dal prete a denunciarmi come stregone comunista.

Devo essere drastico: la libertà, ogni libertà, in ogni forma, comporta rischi. Maggiore la libertà, maggiori i rischi. Tra questi vi sono anche quelli di cui parli tu.

Ma la soluzione (se mai c'è), a mio parere non consiste nel ritornare ad una comunità (comunque - a mio modo di vedere - impossibile) ma, semmai, nell'accrescere le libertà individuali.

Proviamo a vedere che cosa succede portando all'interno dell'economia, della produzione, della politica, le conseguenze dei cambiamenti avvenuti all'interno della sfera affettiva negli ultimi cent'anni, ad esempio?

Sinceramente, Guglielmo: quello che hai scritto mi suona anche bene. Gli ultimi tre periodi, emotivamente li trovo attraenti: se avessi visto meno di quello che ho visto e ci avessi riflettuto meno di quanto invece ho fatto, se insomma avessi un po’ meno anni ed esperienza, potrei anche aderirvi e sottoscriverli.

Purtroppo (per fortuna, in realtà) non è così, e non posso fare a meno di cogliere in essi una sostanziale inconsistenza, una fondamentale assenza di concretezza. Mi riportano alla mente i molti slogan che ho sentito scandire con totale convinzione da tanti che poi, alla prova della vita, dall’altissima quota di certi voli astrattamente idealistici sono ripiombati assai dolorosamente al suolo, trascinati dal peso delle proprie - troppo precocemente e ingenuamente rinnegate - umanissime caratteristiche. E che si sono poi spesso fatti carico di ciò come un proprio completo fallimento esistenziale, anziché come la dimostrazione dell’insensatezza di certe teorie politico-sociali fondate su una immagine dell’uomo puramente ideologica e mai - mai! - verificata sul campo.

E’ abbastanza bello baloccarsi col pensiero di Cristoforo Colombo e il suo straordinario – straordinario: teniamolo a mente – destino. E identificarcisi. Perché, naturalmente, è con lui che ci identifichiamo. Che ci costa? E’ gratis ed appagante. Quindi, buttiamo a mare bussole e carte nautiche, con le loro rotte collaudate così noiose e oppressive, e via! vele al vento e libertà, verso l’orizzonte immenso e l’Avventura. E’ implicito in questo approccio che, naturalmente, possiamo essere tutti dei Cristoforo Colombo, ognuno con la sua America lì, bella pronta da scoprire in esclusiva.

Ma sono frottole. Per un Cristoforo Colombo e la sua clamorosa botta di culo (già; di questo si è trattato, nel caso specifico. ), abbiamo un’infinità di navigatori semplici che invece non sono mai approdati da nessuna parte: si sono semplicemente smarriti, e finiti a morire chissà dove, probabilmente in un modo poco allegro. E per cui anche una bussoluccia di seconda mano o una cartina magari un po’ imprecisa avrebbero fatto precisamente la differenza tra la vita e la morte.

Per quanto mi riguarda, porre come modello sociale standard la modalità “Cristoforo Colombo” è una idea assolutamente devastante, spietata e, in ultima analisi, criminale. Con il massimo dispiacere per qualche Raro e Pregiato Individuo che vedrà forse sfumare il suo ipotetico destino straordinario, preferisco che si applichino schemi che garantiscano a quante più persone (1) possibili una navigazione ragionevolmente affidabile e una buona probabilità di approdare in qualche porto. Sono certo che la maggior parte dei naviganti saprà trovare un certo porco fascino anche in approdi meno esotici e gloriosi di quelli transoceanici.

Tra l’altro trovo davvero assurda l’equazione per cui l’interiorizzazione di un solido sistema di punti di riferimento debba corrispondere ad un grigiore esistenziale, come se la sua condivisione andasse ad abbattere chissà quali fantastiche risorse di unicità individuale. Mi dispiace disilludere qualcuno, ma i margini di originalità assoluta dell’essere umano sono generalmente, appunto, “margini”. Questo a dire che ciò che ci accomuna gli uni agli altri è un territorio enormemente più vasto delle piccole e secondarie zone che eventualmente ci possono dividere, e che nella strutturazione dell’ambito sociale è naturalmente assai più sensato - e umano - tenere conto del primo che delle seconde.


Prealbe


1 – Cioè “individui”, a cui sembrerebbe che alcuni tengano di più o di meno in relazione alla loro propensione a scoprire nuovi continenti.

Re: Il rifiuto della comunità.

Inviato da  Timor il 27/8/2007 14:23:22
Citazione:
abbiamo un’infinità di navigatori semplici che invece non sono mai approdati da nessuna parte


Non c'è mai stata nessuna infinità di navigatori prealbe, ci sei sempre stato solo tu con le tue idee e i tuoi racconti a tenerti compagnia e sei sempre stato libero di andare dove volevi, ma la tua rotta già l'hai scelta

Ma i miei sono solo i sussurri di un tuo insano spettro

Re: Il rifiuto della comunità.

Inviato da  nessuno il 27/8/2007 14:44:00
Citazione:
Sinceramente, Guglielmo: quello che hai scritto mi suona anche bene. Gli ultimi tre periodi, emotivamente li trovo attraenti: se avessi visto meno di quello che ho visto e ci avessi riflettuto meno di quanto invece ho fatto, se insomma avessi un po’ meno anni ed esperienza, potrei anche aderirvi e sottoscriverli.


Ignoro sia la tua età che la tua esperienza. Mio nonno (che, come hai già visto, amo citare) sosteneva che l'esperienza è una lanterna appesa sulle spalle: illumina tutta la strada che hai percorso, ma lascia al buio quella che percorrerai.

Citazione:
Purtroppo (per fortuna, in realtà) non è così, e non posso fare a meno di cogliere in essi una sostanziale inconsistenza, una fondamentale assenza di concretezza.


Curiosa notazione, dato che sono decine di post che eviti accuratamente di rispondere ad ogni richiesta di concretizzare le tue affermazioni.

Citazione:
Quindi, buttiamo a mare bussole e carte nautiche, con le loro rotte collaudate così noiose e oppressive, e via! vele al vento e libertà, verso l’orizzonte immenso e l’Avventura. E’ implicito in questo approccio che, naturalmente, possiamo essere tutti dei Cristoforo Colombo, ognuno con la sua America lì, bella pronta da scoprire in esclusiva.


Dici bene: possiamo. Non è obbligatorio riuscire in un'impresa. Certo, possiamo farlo diventare obbligatorio per legge, ma temo che otteniamo solamente una serie di scandali Parmalat

Citazione:
Per quanto mi riguarda, porre come modello sociale standard la modalità “Cristoforo Colombo” è una idea assolutamente devastante, spietata e, in ultima analisi, criminale.


Modello sociale?
Standard?

E perché mai? Per sostituire un'idiozia con un'altra? No, thank'you. Mi ritengo abbastanza anarchico da rifiutarmi di legarmi da solo ad un letto di Procuste.

Citazione:
Tra l’altro trovo davvero assurda l’equazione per cui l’interiorizzazione di un solido sistema di punti di riferimento debba corrispondere ad un grigiore esistenziale, come se la sua condivisione andasse ad abbattere chissà quali fantastiche risorse di unicità individuale. Mi dispiace disilludere qualcuno, ma i margini di originalità assoluta dell’essere umano sono generalmente, appunto, “margini”. Questo a dire che ciò che ci accomuna gli uni agli altri è un territorio enormemente più vasto delle piccole e secondarie zone che eventualmente ci possono dividere, e che nella strutturazione dell’ambito sociale è naturalmente assai più sensato - e umano - tenere conto del primo che delle seconde.


Ascolta, mi sono ripercorso l'intero thread, ma non ho trovato un solo accenno (a parte questo tuo) all'idea che l’interiorizzazione di un solido sistema di punti di riferimento debba corrispondere ad un grigiore esistenziale.
Mi chiedo iuttosto che punti di riferimento siano (e quanto solidi possano essere) i punti di riferimento esterni al soggetto e all'individuo. Di me stesso posso essere ragionevolmente sicuro. Di quanto sta fuori di me, non mi pare. Affidare all'esterno la funzione di costruttore di punti di riferimento mi pare come affidare alla pubblicità del McDonald il compito di saziare la fame.

Salute e buona vita

Guglielmo

Re: Il rifiuto della comunità.

Inviato da  arturo il 27/8/2007 17:36:36
ctz.

Mio nonno (che, come hai già visto, amo citare) sosteneva che l'esperienza è una lanterna appesa sulle spalle: illumina tutta la strada che hai percorso, ma lascia al buio quella che percorrerai.

Visto che siamo in vena di citazioni “autorevoli” e di “lanterne” illustri mi pare che anche un "certo" Diogene se ne andasse in giro con una di queste sempre accesa persino di giorno alla ricerca dell’UOMO..

Chissà se anche tuo nonno la usa per lo stesso motivo

Ps mi sono permesso la battuta perchè ho notato che ami le barzellette e che quindi apprezzi il senso dell'umorismo

.

Re: Il rifiuto della comunità.

Inviato da  prealbe il 27/8/2007 19:38:42
Guglielmo
Citazione:
Ignoro sia la tua età che la tua esperienza. Mio nonno (che, come hai già visto, amo citare) sosteneva che l'esperienza è una lanterna appesa sulle spalle: illumina tutta la strada che hai percorso, ma lascia al buio quella che percorrerai.

Si, non abbiamo la sfera di cristallo. Tuttavia, in genere, passato e futuro si danno la mano con una certa coerenza. Anzi, spesso si ripetono piuttosto prevedibilmente. Con tutto il rispetto per la saggezza di tuo nonno.

Citazione:
Curiosa notazione, dato che sono decine di post che eviti accuratamente di rispondere ad ogni richiesta di concretizzare le tue affermazioni.

Ti ho già chiesto un paio di post fa di specificare quale tipo di dati ti aspetti di avere forniti da me in relazione a quanto ho detto finora.

E vale anche che, se tu hai invece dei dati che contraddicano quanto sostengo, fornisca pure tu i tuoi. Ci mancherebbe altro!

Citazione:
Dici bene: possiamo. Non è obbligatorio riuscire in un'impresa. Certo, possiamo farlo diventare obbligatorio per legge, ma temo che otteniamo solamente una serie di scandali Parmalat

Ah! Possiamo - tutti - essere dei Cristoforo Colombo? Possiamo? Tutti noi? Davvero?

Citazione:
Modello sociale?
Standard?

E perché mai? Per sostituire un'idiozia con un'altra? No, thank'you. Mi ritengo abbastanza anarchico da rifiutarmi di legarmi da solo ad un letto di Procuste.

Stai dicendo che qualunque modello sociale corrisponde ad un “letto di Procuste”? Che è comunque meglio nessun modello sociale? E’ questo il senso?

Citazione:
Ascolta, mi sono ripercorso l'intero thread, ma non ho trovato un solo accenno (a parte questo tuo) all'idea che l’interiorizzazione di un solido sistema di punti di riferimento debba corrispondere ad un grigiore esistenziale.

Lietissimo del frainteso. Sarebbe infatti una tale stupidaggine che sono lieto che a nessuno passi per la testa, qui.

Citazione:
Mi chiedo iuttosto che punti di riferimento siano (e quanto solidi possano essere) i punti di riferimento esterni al soggetto e all'individuo.

Beh, un contesto sociale strutturato e stabile può essere un punto di riferimento non proprio esilissimo.

Citazione:
Di me stesso posso essere ragionevolmente sicuro.

Su che base? Mi pareva che l’esperienza non garantisse un accidente di niente per il futuro.

Citazione:
Di quanto sta fuori di me, non mi pare. Affidare all'esterno la funzione di costruttore di punti di riferimento mi pare come affidare alla pubblicità del McDonald il compito di saziare la fame.

E’ una frase che si presta a molteplici interpretazioni. Puoi precisare un po’ meglio?

Salute a te.


Prealbe

Re: Il rifiuto della comunità.

Inviato da  nessuno il 28/8/2007 13:02:27
Citazione:
Ti ho già chiesto un paio di post fa di specificare quale tipo di dati ti aspetti di avere forniti da me in relazione a quanto ho detto finora.


Ok. Il catalogo è questo...

1) Comunità: potresti gentilmente portare qualche esempio concreto di collettività che rispondano alla definizione che dai del termine? (Non intendo discutere "de minima", quindi non mi interessa se gli esempi che porterai non rispecchieranno "in toto" la tua definizione. Tra ideale e realtà esiste sempre un certo scarto. Proprio per questo ti chiedo di portarmi degli esempi; perché, probabilmente, uno non basterà)

2) Pensiero comune

3) Coscienza di gruppo

4) Volontà collettiva

5) Elementi significativi in comune

6) Vincoli reciproci

7) Interferenza continua tra di essi.

Su Cristoforo Colombo e consimili:
E' davvero curiosa, per me, la tua reazione e il taglio che dai alla discussione, riguardo a questo punto. Confondi (non so quanto deliberatamente, a questo punto) espressione letterale e significato metaforico. Quindi mi trovo costretto a volare più terra-terra (o, perlomeno, dato che mi hai velatamente accusato di non calarmi nella realtà, provo a farlo).
Far nascere un figlio, e allevarlo fino a che non sia un individuo, una persona autonoma, è un'avventura anche più grande di quella di Cristoforo Colombo. E' la manifestazione migliore della creatività e dell'avventurosità umane. Lo si fa "al buio", ignoranti di ogni futuro. Eppure, la stragrande maggioranza degli esseri umani che hanno figli, considerano questo viaggio (compiuto sempre senza bussole né carte nautiche) affascinante e bellissimo. E, per giunta, riescono - molto spesso - anche ad avere successo in questa avventura.
E non mi pare sia né "spietato", né "criminale".

Citazione:
Stai dicendo che qualunque modello sociale corrisponde ad un “letto di Procuste”? Che è comunque meglio nessun modello sociale? E’ questo il senso?


Nei fatti, sì. Qualunque modello sociale (essendo necessariamente un "valore medio" delle preferenze individuali) sarà simile ad un vestito acquistato al supermarket. E la differenza con quelli fatti su misura è notevole. Comunque, mi basterebbe diminuirne il più possibile effetti e presenza, dato che non sono dio.

Citazione:
Di me stesso posso essere ragionevolmente sicuro.
Su che base? Mi pareva che l’esperienza non garantisse un accidente di niente per il futuro.


Sulla base dell'esistenza del mio corpo, quantomeno. Che è cosa di cui non è possibile dubitare, e che non richiede alcuna esperienza. Si impone da sé come dato. Ma può darsi tu appartenga alla schiera dei puri spiriti, per i quali, in effetti, assumere se stessi come base di partenza risulta oggettivamente difficoltoso.

Buona vita

Guglielmo

Re: Il rifiuto della comunità.

Inviato da  franco8 il 28/8/2007 17:39:28
Citazione:
Far nascere un figlio, e allevarlo fino a che non sia un individuo, una persona autonoma, è un'avventura anche più grande di quella di Cristoforo Colombo. E' la manifestazione migliore della creatività e dell'avventurosità umane. Lo si fa "al buio", ignoranti di ogni futuro. Eppure, la stragrande maggioranza degli esseri umani che hanno figli, considerano questo viaggio (compiuto sempre senza bussole né carte nautiche) affascinante e bellissimo. E, per giunta, riescono - molto spesso - anche ad avere successo in questa avventura.

... Non solo. Se posso aggiungere, non ci sono "ricompense" che ripagano il "viaggio"... Il "premio" è il viaggio stesso. (Non lo fanno certo per al fine di avere una tranquilla vecchaia..)
Mi pare un esempio molto significativo che ricorda l'essenza della vita in generale:
Nulla è fermo e stabile come le cose morte.

Prealbe, il tuo post #110 non solo è emotivamente "triste" , anche dal punto di vista "razionale" pare risentire di una impostazione "errata" e (perdonami!) non pare contenere nemmeno un briciolo di "saggezza" (vedi sopra..., a proposito del porsi il problema se è nato l'uovo o la gallina)...
(cos'è la vita, in fondo? ... e quanto fermi sono i nostri punti fermi?... lo sono quel tanto che basta a permetterci far base su di essi per trovarne altri... Discorso che vale per tradizioni, conoscenze ecc ecc)


Citazione:

Ah! Possiamo - tutti - essere dei Cristoforo Colombo? Possiamo? Tutti noi? Davvero?

Lo siamo, prealbe. Lo siamo...
(Vedi a proposito si "significati letterali e metaforici di "nessuno"...)
Che s'intendeva con "Cristoforo Colombo"?
Delle persone che partono alla ricerca di qualcosa... con più o meno grando e presuntose certezze di porterlo raggiungere... che finiscono per trovare qualcosa di ancor più grande che non cercavano nemmeno...

( 'Azzo!.. Son quasi commosso! )

Re: Il rifiuto della comunità.

Inviato da  NERONE il 28/8/2007 23:15:32
Lo siamo, prealbe. Lo siamo...
(Vedi a proposito si "significati letterali e metaforici di "nessuno"...)
Che s'intendeva con "Cristoforo Colombo"?
Delle persone che partono alla ricerca di qualcosa... con più o meno grando e presuntose certezze di porterlo raggiungere... che finiscono per trovare qualcosa di ancor più grande che non cercavano nemmeno...


Cristoforo Colombo puo' rappresentare metaforicamente la giovinezza. Ovvero la speranza di raggiungere lidi sconosciuti ma trasbordanti di emozionalità e novità.

Poi arriva l'Amerigo Vespucci, ossia la razionalità...metaforicamente la maturità....traducendo : nessun sogno è gratuito, nessuna speranza è senza dazio.

Alla fine ci sono i Padri Fondatori e allora comprendi il prezzo della speranza e quantifichi il dazio. (i padri fondatori è un esempio..non la vera storia)

Da cosa puo' dipendere la presunta amarezza di Prealbe ? Io la definirei consapevolezza.
E' bene ed è giusto che in ognuno di noi alberghi un Cristoforo Colombo...ma è opportuno che sappia condividere il suo spazio in noi con il Vespucci Amerigo...e senza tralasciare i padri fondatori....
In fondo il nostro essere e divenire è fatto di questo : speranza, conoscenza,consapevolezza e accettazione. Dove per accettazione non intendo sudditanza e supinevolezza (madonna che termine manco so se esiste) ma intendo il giusto modo, equilibrato, di preservare i Colombo dai Vespucci evitando i padri fondatori, senza peraltro fare finta che non siano esistiti.


ciao

Re: Il rifiuto della comunità.

Inviato da  prealbe il 29/8/2007 0:51:39
@Franco8

Lieto di avere recuperato la tua piena disapprovazione. Un altro tuo post di condivisione delle mie tesi e allora si che sarei andato davvero in crisi. Grazie.


Prealbe

Re: Il rifiuto della comunità.

Inviato da  prealbe il 29/8/2007 0:54:57
Guglielmo
Citazione:
Ok. Il catalogo è questo...
1) Comunità: potresti gentilmente portare qualche esempio concreto di collettività che rispondano alla definizione che dai del termine? (Non intendo discutere "de minima", quindi non mi interessa se gli esempi che porterai non rispecchieranno "in toto" la tua definizione. Tra ideale e realtà esiste sempre un certo scarto. Proprio per questo ti chiedo di portarmi degli esempi; perché, probabilmente, uno non basterà)
2) Pensiero comune
3) Coscienza di gruppo
4) Volontà collettiva
5) Elementi significativi in comune
6) Vincoli reciproci
7) Interferenza continua tra di essi.

Oh capperi! Un’interrogazione in piena regola! Bene, puoi prendere ad esempio, senza bisogno di dettagliare particolarmente, la stragrande maggioranza delle comunità preindustriali. In esse troverai generalmente presenti le caratteristiche citate.

Citazione:
Su Cristoforo Colombo e consimili:
E' davvero curiosa, per me, la tua reazione e il taglio che dai alla discussione, riguardo a questo punto. Confondi (non so quanto deliberatamente, a questo punto) espressione letterale e significato metaforico. Quindi mi trovo costretto a volare più terra-terra (o, perlomeno, dato che mi hai velatamente accusato di non calarmi nella realtà, provo a farlo).

Non confondo niente, Guglielmo: sei tu che non cogli qualcosa nella mie domande. Spero che non avrai interpretato che ti stavo chiedendo letteralmente se ognuno di noi potesse essere il personaggio storico Cristoforo Colombo: dimmi di no, per favore.

Citazione:
Far nascere un figlio, e allevarlo fino a che non sia un individuo, una persona autonoma, è un'avventura anche più grande di quella di Cristoforo Colombo. E' la manifestazione migliore della creatività e dell'avventurosità umane. Lo si fa "al buio", ignoranti di ogni futuro. Eppure, la stragrande maggioranza degli esseri umani che hanno figli, considerano questo viaggio (compiuto sempre senza bussole né carte nautiche) affascinante e bellissimo. E, per giunta, riescono - molto spesso - anche ad avere successo in questa avventura.
E non mi pare sia né "spietato", né "criminale".

Qui stai mischiando (non so quanto deliberatamente, a questo punto ) un po’ le carte. Nel caso dell’esperienza genitoriale, buttare a mare le “bussole” e le “carte nautiche” significa non tenere conto dell’esperienza maturata da chi è stato genitore prima di te, rinnegare il sapere consolidato in proposito nella tua cultura per potere esprimere liberamente te stesso, sottoponendo contestualmente tuo figlio, nelle cose pratiche come nell’educazione, al tuo dilettantismo. In ciò, mi consentirai di continuare a cogliere un quid sia di “spietato” sia di “criminale” (notare le virgolette, prego). E mi consentirai anche di rilevare che - altrettanto spesso se non di più dei tuoi “genitori dilettanti di successo” - ci sono genitori creativi che nei confronti dei figli compiono autentici disastri. Che poi saranno questi ultimi a scontare.

Citazione:
Nei fatti, sì. Qualunque modello sociale (essendo necessariamente un "valore medio" delle preferenze individuali) sarà simile ad un vestito acquistato al supermarket. E la differenza con quelli fatti su misura è notevole. Comunque, mi basterebbe diminuirne il più possibile effetti e presenza, dato che non sono dio.

Guglielmo, a meno che tu non stia pescando dal Libro delle Metafore aprendolo a casaccio, puntando il dito e copiando la prima che ti capita, penso che saprai cogliere senza bisogno di un mio aiuto la sostanziale differenza di forza espressiva tra l’immagine evocata da un “letto di Procuste” e da un capo pret a porter; la prima è drammatica, la seconda del tutto insignificante. E dubito che si possa ritenere un abbigliamento pret a porter particolarmente lesivo dell’individualità umana o chissà quale tortura per chi lo indossi.

Quindi, deciditi: la comunità è un “letto di Procuste” o semplicemente un modo di vestire come quello di cui tutti facciamo quotidianamente ordinaria e per nulla traumatica esperienza?

Citazione:
Sulla base dell'esistenza del mio corpo, quantomeno. Che è cosa di cui non è possibile dubitare, e che non richiede alcuna esperienza. Si impone da sé come dato. Ma può darsi tu appartenga alla schiera dei puri spiriti, per i quali, in effetti, assumere se stessi come base di partenza risulta oggettivamente difficoltoso.

Cioè, tu stai affermando l’uguaglianza tra il e il proprio corpo? E anche che il proprio corpo non richiede esperienza? No, vero? E’ solo che stai cercando di recuperare la contraddizione tra “la lanterna del nonno” e “la ragionevole sicurezza in te stesso” a prescindere dall’esperienza, eh?


Prealbe

Re: Il rifiuto della comunità.

Inviato da  arturo il 29/8/2007 1:00:18
@ Nessuno e Sentiero

Scusatemi per questa mia intromissione piuttosto tranchat ma la vostra patetica doppia " sviolinata" sui figli non solo è FT ma è uno dei più desolanti luoghicomuni - nel vero senso della parola - che sia dato ascoltare

Se siete a corto di argomenti, ditelo ma, per favore ! evitate simili retoriche digressioni


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