Re: Il rifiuto della comunità.

Inviato da  Infettato il 13/8/2007 11:15:52
Se ti giuro su "una montagna di Bibbie", in puro stile texwilleriano, che la "comunità" a cui pensava l'autore di quella citazione era qualsiasi comunità, anche la più coesa e omogenea, mi credi?

Se è coesa e omogenea non c'è il "rifiuto " anzi...

Guarda, lo inviterei anche a confermare personalmente la cosa, ma ho l'impressione che non abbia piacere a conversare con me.

Forse in passato c'è stata qualche diatriba tra noi ma ti posso assicurare che non sono cosi individualista, magari è solamente perchè si arriva al punto che non si hanno argomenti utili alla discussione a prescindere dalle posizioni di partenza.

Per quanto riguarda il titolo del 3D, in prima battuta volevo intitolarlo "La comunità."; poi mi è piaciuta l'idea di riecheggiare l'altra discussione da me aperta dal titolo "Il rifiuto dell'autorità.", che mi é garbata invero assai.

Allora lo fai di proposito.

Comunque, in ultima analisi "individualismo" e "comunità" certamente si contrappongono e il primo comporta inevitabilmente un rifiuto più o meno pronunciato della seconda (intesa nell'accezione da me specificata); per cui alla fin fine il titolo non è affatto campato in aria

Ho letto e concordo almeno su questo con nessuno

Per come vedo io il mondo, l'opposizione tra comunità ed individualità è un'opposizione falsa o, meglio, inesistente. Questo perché ognuno di noi è, allo stesso tempo, appartenente ad una comunità ed individuo singolare.

La rete si stringe

Passando ad un piano più sociologico-politico, il termine "comunità" deriva da "comune". Cioè l'insieme delle persone soggette al "munus", al pagamento di una tassa o ad obbligazioni che li legano gli uni agli altri. Il suo contrario è "immune", termine che designa coloro che non sono sggetti al pagamento del "munus" (per una bella trattazione della questione vedi i testi di Roberto Esposito: "Immunitas" e "Communitas"

In questo caso la mia interpretazione della parola "comunità" è completamente fuori tema, per questo ti chiedevo di indicare il contesto nei post iniziali, molto spesso la parola "comunità" ribadisco è usata per indicare altri aspetti.

Ciao arturo

Ciò che invece mi sfugge è perchè mai alcuni irriducibili individualisti si ostinino a riunirsi in "gruppo" con l'intento di convincere quelli che sono un pochino più "socialiisti" a non riunirsi in "gruppo"...

forse questo è un preconcetto te lo dico tranquillamente senza alzare polemiche magari sbaglio ma nella mia mente gira questo pensiero

Ho la coda di paglia i miei pensieri sono individualisti ma vivo tranquillamente nel limite del possibile nella "comunità", rispetto le leggi pago le tasse e contesto quello che non mi piace che reputo "scorretto" pur facente parte della cosidetta "comunità".

Re: Il rifiuto della comunità.

Inviato da  prealbe il 13/8/2007 19:53:50
Ciao, nessuno.

Addirittura le scuse. Per carità, non c'è bisogno.

Ok, mi spiego meglio anch'io (speriamo ).

Utilizzando quei due aggettivi un po' disgraziati ("potenziale" ed "informe") non intendevo essere riduttivo riguardo alle caratteristiche innate di ogni individuo, né volevo intendere che l'individuo sia semplicemente il riflesso dell'ambiente in cui nasce e cresce. Sono assolutamente d'accordo con ciò che hai riportato (molto interessante, tra l'altro).

Semplicemente volevo intendere che le suddette qualità congenite devono ancora attraversare tutta una serie di processi ancora molto lunghi e complessi prima di dare luogo ad una all'identità "adulta" (o "matura" o "consolidata"; si scelga l'aggettivo tecnicamente più consono ) di ognuno di noi, e che quindi, rispetto a questa fase dell'individuo, si possono ritenere "materia grezza"; e anche che il ruolo dell'influsso della comunità in cui questo processo si attua è, ai fini del risultato, sostanziale e non accessorio.

Una analogia abbastanza chiarificatrice (a parte che non mi piace molto paragonare delle persone a delle cose inanimate ) potrebbe essere rappresentata da una pietanza cucinata, in cui se non c'è dubbio che gli ingredienti base con le loro caratteristiche organolettiche ("organolettiche"... ma quante ne so!!! ) abbiano un'importanza enorme, è altrettanto evidente che la fase di condimento e cottura è assolutamente determinante rispetto al risultato che si produrrà.

Estendendo l'analogia, si potrebbe dire che nella comunità il "brodo di cottura" è lo stesso per tutti i membri e che quel "brodo" può (cum grano salis ) rappresentare quel "pensiero comune, o coscienza di gruppo o volontà collettiva" che informa di sé ogni membro della comunità essendone a sua volta influenzato momento per momento.


Prealbe

Re: Il rifiuto della comunità.

Inviato da  prealbe il 13/8/2007 19:58:48
Paxtibi
Citazione:
Interessante il tema, anche se più che del "rifiuto della comunità" state parlando dell'appartenenza ad una comunità, salvo accennare a certi "individualisti radicali" che tale appartenenza rifiuterebbero.

Ma chi sarebbero questi irriducibili antisociali? Avete in mente qualcuno in particolare, le cui idee rispecchino tale rifiuto?

Ciao, Pax. Bene arrivato anche a te.

Come avrai visto, il 3D parte con una citazione; quella citazione propone una tesi a mio giudizio abbastanza "irriducibilmente antisociale" e "radicalmente individualista". Non intendo affatto personalizzare la questione additando in questo o quell'utente le opposte fazioni. Mi piacerebbe una discussione pacifica e senza tifoserie, una volta tanto (Come fino a questo momento è - quasi miracolosamente - avvenuto. Prego per il futuro che continui così.).

Citazione:
Citazione:
Implica il tener conto che esiste una "società", ma saper decidere anche senza e contro di essa, quando lo si ritiene opportuno.
Questa frase esprime un "rifiuto della comunità?"

No, io direi di no. Il rifiuto della comunità non una questione di opposizione dell'individuo ad essa su questioni contingenti e specifiche ma, come nella citazione di apertura della discussione, della sua negazione tout court come entità e controparte del singolo. La concezione che emerge da quel testo è che esistono solo individui che hanno solo rapporti individuali tra loro, senza nulla che li caratterizzi e vincoli collettivamente come insieme. E questa idea a me risulta profondamente priva di fondamento e realtà.


Prealbe

Re: Il rifiuto della comunità.

Inviato da  prealbe il 13/8/2007 20:04:01
Ciao, Infettato.

Ho l'impressione di un piccolo problema di comprensione fra noi.

Citazione:
Se è coesa e omogenea non c'è il "rifiuto " anzi...

Certo. Il rifiuto è nella tesi della citazione che apre il 3D, non nella comunità.

Citazione:
Forse in passato c'è stata qualche diatriba tra noi ma ti posso assicurare che non sono cosi individualista , magari è solamente perchè si arriva al punto che non si hanno argomenti utili alla discussione a prescindere dalle posizioni di partenza.

Qui però non mi riferivo a te, ma all'autore della citazione.

Citazione:
Allora lo fai di proposito.

Yes, i do.

Per quanto riguarda il seguito, sono d'accordo anch'io che, come dice nessuno-Guglielmo, non c'è contrapposizione fra comunità e individualità; infatti io parlavo di individualismo, che è cosa diversa.


Prealbe

Re: Il rifiuto della comunità.

Inviato da  nessuno il 13/8/2007 22:08:28
Citazione:

prealbe ha scritto:
Ciao, nessuno.

Addirittura le scuse. Per carità, non c'è bisogno.

...

Estendendo l'analogia, si potrebbe dire che nella comunità il "brodo di cottura" è lo stesso per tutti i membri e che quel "brodo" può (cum grano salis ) rappresentare quel "pensiero comune, o coscienza di gruppo o volontà collettiva" che informa di sé ogni membro della comunità essendone a sua volta influenzato momento per momento.


Prealbe


Grazie, Prealbe.

Sul "brodo di cottura", ci si potrebbe chiedere perché sia uguale per tutti. E si rischia di tornare alla contrapposizione di partenza (esiste prima l'individuo o la comunità? Il brodo viene cotto da chi?).

Maturana e Varela La metafora del «canale di comunicazione»

La nostra discussione ci ha portato a concludere che, biologicamente, nella comunicazione non c'è «trasmissione di informazione» mentre c'è comunicazione ogni volta che c'è coordinazione comportamentale in un dominio di accoppiamento strutturale.

Questa conclusione desta impressione solo se si decide di non mettere in discussione la metafora più nota sulla comunicazione, quella del «canale», che è, stata resa popolare con i cosiddetti mezzi di comunicazione di massa. Secondo la metafora del canale, la comunicazione è qualcosa che si genera in un punto, viene fatta passare attraverso un condotto (canale) e raggiunge l'altra estremità ricevente.
Pertanto, c'è un qualcosa che viene comunicato e questo è parte integrante di ciò che si sposta nel condotto. Così, siamo abituati a parlare di «informazione» contenuta in una immagine, in un oggetto o, in modo più evidente, nella parola stampata.

Secondo quanto abbiamo analizzato, questa metafora è fondamentalmente falsa, perché suppone un'unità non determinata strutturalmente, in cui le interazioni sono istruttive, come se ciò che accade a un sistema in una interazione fosse determinato dall'agente perturbante e non dalla sua dinamica strutturale. Tuttavia è evidente, anche nella vita di tutti i giorni, che la comunicazione non si verifica così: ogni persona dice ciò che dice e ascolta ciò che ascolta secondo la propria determinazione strutturale. Dal punto di vista di un osservatore c'è sempre ambiguità in un'interazione comunicativa.
Il fenomeno della comunicazione non dipende da quello che si trasmette, ma da quello che accade con chi riceve.
E questo è ben diverso dal «trasmettere informazione».


Che mi pare un tentativo interessante di spiegazione. Che ne pensi?

Buona vita

Guglielmo

Re: Il rifiuto della comunità.

Inviato da  Timor il 13/8/2007 22:48:45
Citazione:
ogni persona dice ciò che dice e ascolta ciò che ascolta secondo la propria determinazione strutturale. Dal punto di vista di un osservatore c'è sempre ambiguità in un'interazione comunicativa.


Siamo estrapolatori e filtratori ma la domanda è: nell'interazione fra due universi da dove arriva l'aprioristica determinazione strutturale?



Re: Il rifiuto della comunità.

Inviato da  prealbe il 13/8/2007 22:58:43
nessuno
Citazione:
Che mi pare un tentativo interessante di spiegazione. Che ne pensi?

Che scrivono “difficile”, innanzitutto.

Adesso me lo rileggo due o tre volte, mi ci faccio una pensata su, e domani ti faccio sapere.

Buonanotte.


Prealbe

Re: Il rifiuto della comunità.

Inviato da  Infettato il 14/8/2007 15:04:38
Prealbe ok allora andiamo leggermente ot ma manco tanto

Per quanto riguarda il seguito, sono d'accordo anch'io che, come dice nessuno-Guglielmo, non c'è contrapposizione fra comunità e individualità; infatti io parlavo di individualismo, che è cosa diversa.

Il termine individualismo in politica preso da wikipedia

L'individualismo è una delle numerose correnti anarchiche o, più genericamente, libertarie. Nasce con il filosofo tedesco Max Stirner nell'Ottocento, ma il movimento individualista non troverà mai un grande consenso né in Germania né all'estero. Il punto chiave dell'individualismo è l'unico, l'individuo egoista e isolazionista, che vive e si sviluppa grazie alle sue capacità e la sua forza di "prendersi ciò che gli è dovuto", come sosteneva Stirner. L'Egoista di Stirner è molto simile al Superuomo di Friedrich Nietzsche, che infatti lo definirà uno dei pensieri più fertili dell'epoca. A questi individualismi di impronta egoistica sono stati contrapposti individualismi definiti non egoistici, come quello di Ralph Waldo Emerson, Henry David Thoreau e Pëtr Kropotkin.

in particolare egoista e isolazionista

a questo punto vediamo questa definizione

L'anarchia è una forma di società dove si tende ad annullare qualsiasi forma di autorità imposta; gli anarchici credono nella capacità naturale dell'uomo di autoregolarsi in società. L'esistenza di regole e convenzioni sociali nell'anarchia non è esclusa a priori a patto che le regole e le convenzioni vengano liberamente determinate e accettate dalla comunità interessata e non rappresentino un'imposizione derivante dal maggiore potere di alcuni rispetto agli altri


accettate dalla comunità interessata

qualcosa non mi torna... ma forse si stava discutendo di questo!!?

L'anarco-individualismo (o individualismo anarchico, o anarchismo individualista) è una filosofia anarchica, che, invece di porre al centro della sua dottrina politica la società, come fanno il comunismo, il socialismo, come anche l'anarco-comunismo, vi pone l'individuo. L'anarcoindividualismo, insieme al comunismo libertario, formano i due grandi rami che dividono il movimento anarchico. Le divisioni tra i due movimenti sono enfatizzate in alcuni casi, ma spesso vengono messe da parte, per lottare per fini comuni. Primo e più importante teorizzatore dell'individualismo anarchico è Max Stirner (sebbene lo stesso non si sia egli stesso definito anarchico). Nel suo libro L'unico e la sua proprietà Stirner proclama che le ideologie che si muovono al di sopra dell'uomo lo rendono schiavo; egli quindi rivendica il suo credere solo in se stesso, e il suo interessarsi solo a se stesso, egoisticamente. Stirner quindi teorizza la distruzione della società, che dovrebbe essere sostituita da una Unione di unici (soggetti egoisti, spogliati dalla sottomissione a tutti i fantasmi presenti nella società; tra questi: religione, nazionalismo, comunismo, umanesimo, statalismo)


In questo va bene anche il "rifiuto della comunità" in altri casi non mi sembra comunque me li devo studiare tutti.

Ripensandoci ma è nato tutto dal forum "anarchia", io in quel forum sono rimasto ancora alla A, quindi prima che arrivi alla frase incriminata.

Ciao

Re: Il rifiuto della comunità.

Inviato da  Paxtibi il 14/8/2007 17:58:40
La comunità è un insieme di individui appartenenti alla razza umana: non sono né formiche né api e quindi non hanno alcun "pensiero comune", o coscienza di gruppo o volontà collettiva. Che l'uomo sia sociale e tenda a vivere in gruppi, è evidente. Ciò tuttavia non autorizza a pensare o teorizzare che la volontà del gruppo prevalga sui voleri del singolo, per il semplice motivo che questa volontà non esiste. Usciremmo quindi dalla socialità per passare all'arbitrio di qualcuno - pochi o molti che siano - che impone a qualcun altro cosa fare.

E questo è male. Quindi qualsiasi teoria che comporti l'arbitrio e l'annullamento della libertà del singolo in favore di un feticcio inesistente è male di per sé, a prescindere dagli intenti più o meno buoni.


Sinceramente, non vedo alcun fantomatico "rifiuto della comunità" in queste righe.

Solo il rifiuto della subordinazione forzata e inappellabile, che di solito, quando è presente, non è un sintomo di buona salute della comunità in questione, nazismo docet.

Re: Il rifiuto della comunità.

Inviato da  prealbe il 14/8/2007 23:31:45
nessuno, scusami tu adesso: probabilmente la mia forma intellettuale non è delle migliori, ma per il momento l'espressione coordinazione comportamentale in un dominio di accoppiamento strutturale. (assieme a qualcun'altra) ha sconfitto la mia buona volontà di comprendere e rispondere. Non posso neanche appellarmi alla lingua straniera, stavolta.

Se qualche volenteroso, te compreso, ritiene di potermi supportare nell’interpretazione, ben venga; altrimenti, sono costretto a passare la mano.


Prealbe

Re: Il rifiuto della comunità.

Inviato da  prealbe il 14/8/2007 23:33:40
Infettato
Citazione:
Ripensandoci ma è nato tutto dal forum "anarchia", io in quel forum sono rimasto ancora alla A,

anarchia: la prima, la seconda o la terza?

Citazione:
quindi prima che arrivi alla frase incriminata.

Comunque la frase non proviene da quella discussione.

Ciao a te.


Prealbe

Re: Il rifiuto della comunità.

Inviato da  prealbe il 14/8/2007 23:37:00
Pax
Citazione:
Sinceramente, non vedo alcun fantomatico "rifiuto della comunità" in queste righe.

Solo il rifiuto della subordinazione forzata e inappellabile, che di solito, quando è presente, non è un sintomo di buona salute della comunità in questione, nazismo docet.

Va bene, Pax. Se non ce lo vedi, non sarò certo io a provare a convincerti del contrario. Non me lo sogno proprio. Alla prossima.


Prealbe

Re: Il rifiuto della comunità.

Inviato da  SENTIERO il 15/8/2007 5:02:47
Citazione:

nessuno ha scritto:
Ciao a tutte/i


Tu Prealbe, sostieni che, per quanto esista un "qualcosa" di assolutamente individuale all'interno di ogni persona, questo "qualcosa", all'inizio della vita, è "potenziale" ed "informe" (almeno, io l'ho capito così il tuo ragionamento) e occorre il contributo della società per sgrossarlo e renderlo attuale.


Dalla risposta che ha dato Prealbe, la differenza tra le nostre vedute, sta nel supporre che le caratteristiche personali, vengono quasi totalmente coperte dall'influenza che la societa' ha sull'individuo. Io sostengo che a volte e' possibile, ma che spesso non lo e'.

Citazione:


Però, se guardiamo a quello che gli psicologi che studiano i bambini appena nati chiamano "temperamento", vediamo che il bimbi vengono al mondo con una serie di caratteristicheindividuali che non sono per nulla potenziali. In sostanza, i bimbi variano su nove dimensioni bipolari che riguardano:


a) Attivo/passivo
b) Regolare/irregolare
c) Adattabile/rigido
d) Intenso/calmo
e) Umore positivo/negativo
f) Distraibilità/concentrazione
g) Persistenza e durata dell'attenzione (alta/bassa)
h) Sensibilità percettiva (alta/bassa)

Le caratteristiche "istintive" presenti alla nascita sono talmente poco "potenziali" da consentire ad un neonato di riconoscere l'odore della madre e distinguerlo da quello di altre persone dopo 5 minuti dalla nascita.
Capisci come questo semplice fatto contribuisca a rafforzare il legame madre-figlio, consentendo la sopravvivenza del piccolo.

Quindi, io la vedo così: la presenza di elementi, anche forti, di individualità al momento della nascita (e, secondo alcuni, addirittura nelle fasi di vita fetale) non solo non impedisce, ma addirittura è fondamentale per la socializzazione. Chi vede solamente il lato individuale dimentica che, dal punto di vista energetico, gli esseri umani sono dei "sistemi aperti". Abbiamo bisogno degli altri, per esistere, fin da quando non c'eravamo neppure (nessuno di noi è in grado di autocrearsi, né di riprodursi da solo).


Buona vita

Guglielmo


Quella che tu hai scritto, e' il tentativo di definire alcuni comportamenti umani, credo poco utile, in quanto spesso alcune caratteristiche come Attivo e passivo, sono presenti contemporaneamente in un individuo. E cosi' via per le restanti definizioni...


Per il fatto che un neonato possa avere delle facolta' particolari, credo che riguarda l'istinto di sopravvivenza o di conservazione e tali potenzialita' con il crescere, vengono completamente oscurate (o quasi) dall'influenza della societa'. Senno non si venderebbero le merendine, o la cocacolla, le sigarette ecc....

Citazione:

x Prealbe da Nessuno

Alla fine, credo che io e te andiamo abbastanza d'accordo, nella nostra visione del (presunto) contrato individuo-comunità


Mai frase fu piu' profetica

Ciao Nessuno e buona vita a te.
Roberto

Re: Il rifiuto della comunità.

Inviato da  SENTIERO il 15/8/2007 5:45:26
Ciò detto, se una comunità, per essere tale, deve possedere un sistema di interpretazione della realtà condiviso tra i propri membri , l'idea che invece non abbia "alcun "pensiero comune", o coscienza di gruppo o volontà collettiva" sembra ancora un'osservazione così intelligente o ne emerge per caso il carattere di considerazione un po', diciamo , affrettata?

Rileggevo questa frase....e rileggevo anche le conclusioni del primo post...

Viceversa, quanto più si pone l'accento sulla distinzione (3) tra sé stessi e la propria comunità, cioè gli altri suoi membri, tanto più si diluisce l'intensità - e quindi la profondità - del rapporto, con tutte le conseguenze del caso. Chi sostiene la prevalenza della "libertà del singolo" rispetto alla comunità e definisce quest'ultima come "feticcio", sta solo dichiarando la propria profonda incapacità di pensare un rapporto di identificazione forte con l'altro da sé.


E "distinzione", se c'è bisogno di dirlo, si contrappone a "identificazione".

I due litiganti sono: identificazione e contrapposizione. Il terzo e' colui che si distingue osservando i due che si contrappongono. Potrebbe essere la posizione di equilibrio tra le due estreme che lottano tra loro. L'una per sopraffare uniformando tutti, l'altra per uscire da una condizione di cattivita' dettata dal pensiero comune esistente nella societa'. La terza posizione e' quella che potrebbe rompere l'equilibrio vizioso.

(Tipo Prodi con Palestinesi e Israeliani)

Re: Il rifiuto della comunità.

Inviato da  fiammifero il 15/8/2007 11:01:45
Ciao Sentiero,
Citazione:
Il terzo e' colui che si distingue osservando i due che si contrappongono. Potrebbe essere la posizione di equilibrio tra le due estreme che lottano tra loro.

hai appena descritto "i moderati" o per meglio dire "gli opportunisti " alla Mastella
a Roma si chiamano paraculi

Re: Il rifiuto della comunità.

Inviato da  Paxtibi il 15/8/2007 11:42:38
Va bene, Pax. Se non ce lo vedi, non sarò certo io a provare a convincerti del contrario. Non me lo sogno proprio.

Non è questione di "convincermi", semplicemente vorrei capire il tuo punto di vista.

Tu contesti l'affermazione che non esiste un "pensiero comune", ma lo fai citando i pensieri e le esperienze condivise dai membri della comunità, che l'affermazione che contesti non mette minimamente in dubbio.

È solo un problema di termini: se per pensiero comune intendi pensieri condivisi da tutti i membri della comunità, chi non li condivide tale non è.
Se invece intendi un pensiero non condiviso da tutti i membri della comunità, beh, allora non è affatto un pensiero comune, ma solo un pensiero di alcuni, che se venisse imposto a tutti più che un motivo di coesione sarebbe causa di contrasti.

Inoltre, ti faccio notare che il dissenso, all'interno di una qualsiasi comunità, è come un anticorpo in grado id salvare la comunità dai suoi eventuali errori o squilibri, dai quali finirebbe per essere travolta se esso venisse impedito: infatti, deportare i dissidenti in Siberia non è certo stato di aiuto per il benessere della società sovietica. Lo sarebbe stato il dargli ascolto per tempo, piuttosto.

Ma lungi da me l'idea di convincerti di qualcosa...

Re: Il rifiuto della comunità.

Inviato da  arturo il 15/8/2007 23:26:12
Paxtibi

è difficilissimo contrastare la logica del tuo ragionamento....

Chissà come se la sbroglierà Prealbe nel caso volesse cimentarsi nell'impresa !

.

Re: Il rifiuto della comunità.

Inviato da  prealbe il 15/8/2007 23:33:30
Paxtibi
Citazione:
Non è questione di "convincermi", semplicemente vorrei capire il tuo punto di vista.

Allora perdona Pax, ma è richiesto un po’ di sforzo in più di quello che stai esercitando.

Citazione:
Tu contesti l'affermazione che non esiste un "pensiero comune", ma lo fai citando i pensieri e le esperienze condivise dai membri della comunità, che l'affermazione che contesti non mette minimamente in dubbio.

?!?

Citazione:
È solo un problema di termini: se per pensiero comune intendi pensieri condivisi da tutti i membri della comunità, chi non li condivide tale non è.

Gli è che nei ragionamenti su realtà complesse bisognerebbe superare il livello del significato letterale delle espressioni; purtroppo non è adeguato alla bisogna.

Questa tua proposizione esprime esattamente il tipo di intelligenza della citazione che ha originato il thread.

Se ci fosse bisogno di specificarlo, la comunità non deve essere costituita da cloni identici per essere tale. Né dire che la comunità abbia una sua identità (alla quale si riconducono pensiero comune, coscienza di gruppo e volontà collettiva - mi raccomando sempre il grano salis) significa dire che ogni suo membro (tra i quali, sempre se ci fosse bisogno di specificarlo, ci sono persone in ogni fase dell’arco vitale, psicologico, intellettuale e quant’altro) coincida alla perfezione con tale identità. Una pretesa del genere sarebbe, mi si perdoni la franchezza, un’idiozia bella e buona.

Citazione:
Se invece intendi un pensiero non condiviso da tutti i membri della comunità, beh, allora non è affatto un pensiero comune, ma solo un pensiero di alcuni, che se venisse imposto a tutti più che un motivo di coesione sarebbe causa di contrasti.

Vedi sopra.

Citazione:
Inoltre, ti faccio notare che il dissenso, all'interno di una qualsiasi comunità, è come un anticorpo in grado di salvare la comunità dai suoi eventuali errori o squilibri, dai quali finirebbe per essere travolta se esso venisse impedito: infatti, deportare i dissidenti in Siberia non è certo stato di aiuto per il benessere della società sovietica. Lo sarebbe stato il dargli ascolto per tempo, piuttosto.

Punto primo, non si sta parlando di dissenso interno di una comunità ma di negazione “che la volontà del gruppo prevalga sui voleri del singolo, per il semplice motivo che questa volontà non esiste”; nessun “dissenso” quindi, visto che viene direttamente negata la parte verso cui dissentire.

Punto secondo, nell’arco di due post hai calato sul tavolo due “scartine” come nientepopodimeno che il nazismo e il regime sovietico dei tempi d’oro, le cui aberrazioni non possono certo essere prese a pretesto per negare legittimità d’azione a qualunque altra comunità. Va bene la retorica che in Grecia sarà una tentazione più forte che altrove, ma si tratta comunque di due bordate fuori luogo.

Citazione:
Ma lungi da me l'idea di convincerti di qualcosa...

Non ti preoccupare, finché non si supererà il livello di analisi espresso, non c’è pericolo.


Prealbe

Re: Il rifiuto della comunità.

Inviato da  Paxtibi il 16/8/2007 9:00:46
Chissà come se la sbroglierà Prealbe nel caso volesse cimentarsi nell'impresa !

Il bello di Prealbe è che si porta sempre appresso una spalla: una volta Nerone, quell'altra Arturo, talvolta entrambi.

Sembra il Giro d'Italia, con i gregari che tirano la volata!

PS: piano con le "bombe", pensate alla salute!
__________________________


Gli è che nei ragionamenti su realtà complesse bisognerebbe superare il livello del significato letterale delle espressioni; purtroppo non è adeguato alla bisogna.

In realtà se vuoi fare un ragionamento rigoroso il significato delle parole deve rimanere univoco e immutabile, altrimenti fai letteratura, o poesia. Di parole ce n'è quante ne vuoi, impara ad usare quelle giuste.

Se ci fosse bisogno di specificarlo, la comunità non deve essere costituita da cloni identici per essere tale. Né dire che la comunità abbia una sua identità (alla quale si riconducono pensiero comune, coscienza di gruppo e volontà collettiva - mi raccomando sempre il grano salis) significa dire che ogni suo membro (tra i quali, sempre se ci fosse bisogno di specificarlo, ci sono persone in ogni fase dell’arco vitale, psicologico, intellettuale e quant’altro) coincida alla perfezione con tale identità.

Volontà collettiva, con tutto il grano salis che vuoi, significa che tutta la comunità la condivide: può riguardare il raggiungimento del paradiso, se si tratta di una comunità religiosa. Inutile dire che in altre forme di comunità, a cui non si aderisce operando una scelta, come la città o il villaggio in cui si vive, tale unità di intenti non esiste, perché non esiste una meta comune di tutti gli abitanti: esistono invece, al suo interno, molti diversi scopi particolari, per raggiungere i quali gli individui che li condividono si riuniscono in gruppi di varia misura. Anche in questi casi, limitatamente ai componenti di questi gruppi, di queste comunità, si può parlare propriamente di volontà comune: perché preesistente come volontà individuale e solo in un secondo momento condivisa con altri.

Addirittura, non è nemmeno necessario che i componenti di un gruppo creatosi per il raggiungimento di uno scopo condividano le stesse tradizioni o lo stesso linguaggio, basta leggere la formazione dell'Inter per rendersene conto. È invece proprio in virtù della scoperta in altri delle stesse nostre aspirazioni che si può formare una comunità capace di una volontà comune relativamente agli obiettivi condivisi.

Entità come l'Unione Europea, invece, della comunità hanno soltanto il nome, perché è ovvio che Helga la norvegese e Zorbàs il greco non hanno alcun interesse o scopo in comune (per dirla tutta, neanche tradizioni o linguaggio) per il semplice fatto di vivere all'interno di una determinata zona geografica: lo potrebbero avere se fossero per esempio entrambi cattolici, se si sposassero (crescere dei figli è uno scopo comune), se fossero ricercatori nello stesso campo, ma in quei casi l'appartenenza alla "comunità europea" non avrebbe più il minimo peso. Di fatto, più una comunità si allarga, più diminuisce la possibilità di avere interessi o obiettivi comuni, e più si annacqua l'identità di cui parlavi all'inizio (se allargassimo il concetto di comunità a tutto il mondo, l'unica identità comune possibile sarebbe mangiare, bere e andare di corpo, almeno su questo dovremmo essere d'accordo).

Per quanto riguarda quelle che con sufficienza e scarsa lungimiranza chiami scartine e bordate fuori luogo, forse ti è sfuggito che sono proprio gli stati totalitari – compresi gli USA degli straussiani neocon – a promuovere l'idea della nazione come comunità resa coesa da una meta ideale verso cui rivolgere la comune volontà del popolo: il mondo perfetto del comunismo, la razza superiore, l'esportazione della democrazia (coming soon: salvare Gaia). Ovviamente nessuno di questi miraggi è mai stato il frutto di una volontà comune, l'unica volontà comune è sempre quella di gruppi relativamente limitati di persone e gli unici scopi sono i loro, particolarissimi. Ed è qui che entra in gioco il dissenso: non contrapposto ad una fantomatica volontà condivisa da tutti, ma alla volontà di alcuni imposta con l'arte della propaganda e l'uso della forza.

Quindi, di nuovo, non c'è nulla di sbagliato nel negare "che la volontà del gruppo possa prevalere sui voleri del singolo, per il semplice motivo che questa volontà non esiste”. Non esiste nel momento stesso in cui uno o più membri della comunità non la condividono, se alla comunità in questione non si è entrati a far parte sulla base di una scelta cosciente ed individuale di un obiettivo ma per semplice coincidenza geografica o per imposizione burocratica. In tal caso, possiamo condividere esperienze, gusti, linguaggio, ma nessuna di queste cose potrà mai essere l'oggetto di una volontà comune: non le dobbiamo raggiungere, le abbiamo già!

Nel caso invece di un gruppo o comunità riunitasi sulla base di un ideale o di uno scopo condiviso, chi questo ideale o scopo non lo condividesse più – per esempio, perché ha perso la fede in dio, oppure non gli interessa più il progetto a cui stava lavorando – automaticamente ne rimarrebbe escluso, e non si vede perché non dovrebbe essere così dal momento che è egli stesso a tirarsene fuori, a cambiare la sua decisione iniziale. Ed in questo senso si può dire che abbia "rifiutato la comunità", ma non vedo cosa ci sarebbe di male.

Re: Il rifiuto della comunità.

Inviato da  arturo il 16/8/2007 9:06:37
Il bello di Prealbe è che si porta sempre appresso una spalla: una volta Nerone, quell'altra Arturo, talvolta entrambi.

E' un comportamento comune a molti utenti...tanto per restare "in tema"

Re: Il rifiuto della comunità.

Inviato da  Infettato il 16/8/2007 9:35:48
Paxtibi
è difficilissimo contrastare la logica del tuo ragionamento....

Chissà come se la sbroglierà Prealbe nel caso volesse cimentarsi nell'impresa !

arturo se un ragionamento è giusto perchè prealbe si deve "cimentare" a smontarlo, non è più semplice e sopratutto giusto ammettere l'evidenza.

P.S. per quanto mi riguarda se i ragionamenti quotidiani mi portano a "cambiare idea" oppure a rafforzarla io ne sono ben felice.

Re: Il rifiuto della comunità.

Inviato da  arturo il 16/8/2007 10:16:59
arturo se un ragionamento è giusto


Infettato
Non mi pare proprio dii aver detto che il ragionamento fosse giusto

Ho solo lasciato la pallla a Prealbe - come mi sembrava corretto - perchè la "disputatio" era tra Paxtibi e lui....

Io mi limito ad "ascoltare" ( leggere) e ad intervenire ogni tanto dalla "platea" per mettere a punto le mie personali considerazioni a seconda dellla "forza" delle controargomentazioni esposte....




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Re: Il rifiuto della comunità.

Inviato da  Infettato il 16/8/2007 10:54:50
arturo

Non mi pare proprio dii aver detto che il ragionamento fosse giusto

Effettivamente è solo logico... forse ho interpretato male in questo caso ritiro.

il fatto è che dopo questi ultimi commenti la mia opinione è molto più chiara rispetto a prima , tra le righe sono riuscito a vedere più cose adesso che in tutti i commenti precedenti.


Io mi limito ad "ascoltare" ( leggere) e ad intervenire ogni tanto dalla "platea" per mettere a punto le mie personali considerazioni a seconda dellla "forza" delle controargomentazioni esposte....

Siamo tutti in campo a giocarci la "partita" dei ragionamenti , forse l'intervento di Pax è quello che ha esposto più di tutti il nocciolo della questione, a prescindere poi dalle nostre convinzioni che possano o meno essere differenti.

Re: Il rifiuto della comunità.

Inviato da  arturo il 16/8/2007 12:51:42
Nel caso invece di un gruppo o comunità riunitasi sulla base di un ideale o di uno scopo condiviso, chi questo ideale o scopo non lo condividesse più – per esempio, perché ha perso la fede in dio, oppure non gli interessa più il progetto a cui stava lavorando – automaticamente ne rimarrebbe escluso, e non si vede perché non dovrebbe essere così dal momento che è egli stesso a tirarsene fuori, a cambiare la sua decisione iniziale. Ed in questo senso si può dire che abbia "rifiutato la comunità", ma non vedo cosa ci sarebbe di male.

Niente. Assolutamente. Così come riguardo agli altri modelli descritti.

Anch’io , tanto per dirne una, ho restituito la tessera d’iscrizione al circolo canottieri“Tevere Remo” perché non mi andava più a genio la “qualità” della gestione…. ( mi rendo conto della banalità di tale esempio ma non mi sembra il caso di tediare l'uditorio con descrizioni di "rifiuti" che mi son costati ben più "cari")

Solo che ho l'impressione ( mi posso sbagliare, per carità ! ) che il 3D NON sia partito con l'intenzione di contestare ll rifiuto delle “comunità” artificiali ma bensi con quella di dimostrare l'esistenza naturale di " qualcosa" di assai più complesso in cui ognuno di noi è necessariamente e casualmente inserito e da cui non può non prescindere nonostante sia certo di poterlo fare e magari abbia anche l'illusione di esservi riuscito!
(convinzione quest'ultima che, in ogni caso rappresenta, un'ottima filosofia di vita... argomento assai interessante per un altro 3D )


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Re: Il rifiuto della comunità.

Inviato da  SENTIERO il 16/8/2007 17:23:44
Citazione:

arturo ha scritto:


Solo che ho l'impressione ( mi posso sbagliare, per carità ! ) che il 3D NON sia partito con l'intenzione di contestare ll rifiuto delle “comunità” artificiali ma bensi con quella di dimostrare l'esistenza naturale di " qualcosa" di assai più complesso in cui ognuno di noi è necessariamente e casualmente inserito e da cui non può prescindere nonostante sia certo di poterlo fare e magari abbia anche l'illusione di esservi riuscito!
(convinzione quest'ultima che, in ogni caso rappresenta, un'ottima filosofia di vita... argomento assai interessante per un altro 3D )


.


Infatti. Meglio non potevi dirlo Artu'
Ho cercato di descrivere i meccanismi di queste situazioni quotidiane, che tutti noi viviamo direttamente.
Per esempio....Hai un'idea degli amici e parenti che frequenti, poi ti fidanzi con una ragazza di colore e molti di questi cambiano inaspettatamente comportamento nei tuoi confronti. Quindi si evidenzia un atteggiamento comune generalizzato che tende ad influenzare le tue scelte o perlomeno ad ostacolarle.

Spero di aver chiarito il mio pensiero.

Ciao

Re: Il rifiuto della comunità.

Inviato da  fiammifero il 16/8/2007 18:42:42
ciao Arturo
il prossimo 3D lo potremmo chiamare " sogno o son desto?" oppure,
" illusione e realtà,dove finisce l'una ed inizia l'altra ?" ,oppure " quanti soffiano sui castelli di carte ? "

Re: Il rifiuto della comunità.

Inviato da  prealbe il 16/8/2007 19:04:41
Post lungo. Siete avvertiti.


Paxtibi
Citazione:
In realtà se vuoi fare un ragionamento rigoroso il significato delle parole deve rimanere univoco e immutabile, altrimenti fai letteratura, o poesia. Di parole ce n'è quante ne vuoi, impara ad usare quelle giuste.

Guarda, Pax, mi dispiace ma anche questa cosa che hai scritto non è troppo sensata. La comprensione del linguaggio è assolutamente interpretativa e il "significato univoco e immutabile delle parole" è una semplice assurdità. Basta consultare un dizionario, per verificarlo: per ogni vocabolo si trovano generalmente definizioni multiple, talvolta con accezioni anche estremamente diverse fra loro. In più il loro utilizzo può avvenire in contesti e modi diversissimi (metaforico, ironico, retorico, ecc., ecc.), influenzandone ulteriormente il senso.

Se fosse invece vero quello che dici tu, disporremmo già da molto tempo di perfetti traduttori automatici, cosa che non è (e forse mai sarà), trattandosi di una operazione non meccanica e non riconducibile a regole certe. Ti suggerisco di riconsiderare un po' meglio la tua affermazione (e poi, con discrezione, ritirarla... così anch'io posso snellire un po' 'sto post che mi é venuto lunghetto...).

Naturalmente quanto detto non significa minimamente che non si possa comunicare; significa che la comunicazione linguistica richiede necessariamente l'interpretazione intelligente di quanto si recepisce; e che, ribadisco, attenersi al livello letterale è generalmente (nella stragrande maggioranza dei casi, in realtà) una fesseria completa. Così come aspirare all'univocità dei significati. Eviterei volentieri di tornare su una questione così semplice ed evidente.

Citazione:
Volontà collettiva, con tutto il grano salis che vuoi, significa che tutta la comunità la condivide: può riguardare il raggiungimento del paradiso, se si tratta di una comunità religiosa. Inutile dire che in altre forme di comunità, a cui non si aderisce operando una scelta, come la città o il villaggio in cui si vive, tale unità di intenti non esiste, perché non esiste una meta comune di tutti gli abitanti: esistono invece, al suo interno, molti diversi scopi particolari, per raggiungere i quali gli individui che li condividono si riuniscono in gruppi di varia misura. Anche in questi casi, limitatamente ai componenti di questi gruppi, di queste comunità, si può parlare propriamente di volontà comune: perché preesistente come volontà individuale e solo in un secondo momento condivisa con altri.

Uffa! Qui continui a inciampare nel presupposto errato che la comunità sia semplicemente la somma dei propri componenti. Non è così. Neanche per idea. La questione é molto (ma molto molto) più complessa e articolata. La comunità è un'entità sovraindividuale con caratteristiche sue proprie, che si sostanziano certamente tramite i membri che la compongono (ma no?!?), ma non specchia esattamente le loro caratteristiche individuali. Esattamente come l'entità "famiglia". O "coppia". O "gruppo di amici". Ognuna di queste entità (che esistono! oh, se esistono!) esprime volontà collettive (giacché decide, agisce e consegue obiettivi) che manco per niente rispecchiano le singole volontà dei propri membri. Né la somma (né la sottrazione né la moltiplicazione né la divisione; evidentemente in questo caso l'aritmetica non ci può proprio aiutare) di tali volontà.

Citazione:
Addirittura, non è nemmeno necessario che i componenti di un gruppo creatosi per il raggiungimento di uno scopo condividano le stesse tradizioni o lo stesso linguaggio, basta leggere la formazione dell'Inter per rendersene conto. È invece proprio in virtù della scoperta in altri delle stesse nostre aspirazioni che si può formare una comunità capace di una volontà comune relativamente agli obiettivi condivisi.

Stai parlando di obiettivi del tutto circoscritti e limitati. La "comunità" di cui si tratta in questa discussione (che ho aperto io; lo saprò, quindi...) è la comunità in cui si vive la propria vita, non la bocciofila del quartiere. Me ne frega assai dell'Inter (o di qualunque altra squadra): é un altro esempio fuori luogo. Cerchiamo di cogliere la complessità del contesto, se no stiamo freschi.

Citazione:
Entità come l'Unione Europea, invece, della comunità hanno soltanto il nome, perché è ovvio che Helga la norvegese e Zorbàs il greco non hanno alcun interesse o scopo in comune (per dirla tutta, neanche tradizioni o linguaggio) per il semplice fatto di vivere all'interno di una determinata zona geografica: lo potrebbero avere se fossero per esempio entrambi cattolici, se si sposassero (crescere dei figli è uno scopo comune), se fossero ricercatori nello stesso campo, ma in quei casi l'appartenenza alla "comunità europea" non avrebbe più il minimo peso. Di fatto, più una comunità si allarga, più diminuisce la possibilità di avere interessi o obiettivi comuni, e più si annacqua l'identità di cui parlavi all'inizio (se allargassimo il concetto di comunità a tutto il mondo, l'unica identità comune possibile sarebbe mangiare, bere e andare di corpo, almeno su questo dovremmo essere d'accordo).

Come dicevo, la comunità, per esserlo, deve possedere alcune caratteristiche specifiche; non basta certamente che qualcuno dica "Comunità!" perché una folla di individui diventi tale. Quindi si, su questo siamo stranamente d'accordo.

Citazione:
Per quanto riguarda quelle che con sufficienza e scarsa lungimiranza chiami scartine e bordate fuori luogo, forse ti è sfuggito che sono proprio gli stati totalitari – compresi gli USA degli straussiani neocon – a promuovere l'idea della nazione come comunità resa coesa da una meta ideale verso cui rivolgere la comune volontà del popolo: il mondo perfetto del comunismo, la razza superiore, l'esportazione della democrazia (coming soon: salvare Gaia). Ovviamente nessuno di questi miraggi è mai stato il frutto di una volontà comune, l'unica volontà comune è sempre quella di gruppi relativamente limitati di persone e gli unici scopi sono i loro, particolarissimi. Ed è qui che entra in gioco il dissenso: non contrapposto ad una fantomatica volontà condivisa da tutti, ma alla volontà di alcuni imposta con l'arte della propaganda e l'uso della forza.

Ah, ridanghete! Ho proposto a modello gli stati totalitari? Ho per caso scritto "W Bush"? Ho parlato di razze superiori? Pax, fai il bravo, rispondi a me, a Prealbe; non farmi carico di nefandezze che non mi competono e che non hanno niente a che vedere col mio discorso. Mi ripeto: stai citando aberrazioni. Un coltello non implica necessariamente Jack lo Squartatore, ok? E comunque il buon Jack si sarebbe inventato qualcosa anche in assenza di coltelli. Evitami ulteriori boutade del genere, grazie.

Citazione:
Quindi, di nuovo, non c'è nulla di sbagliato nel negare "che la volontà del gruppo possa prevalere sui voleri del singolo, per il semplice motivo che questa volontà non esiste". Non esiste nel momento stesso in cui uno o più membri della comunità non la condividono, se alla comunità in questione non si è entrati a far parte sulla base di una scelta cosciente ed individuale di un obiettivo ma per semplice coincidenza geografica o per imposizione burocratica. In tal caso, possiamo condividere esperienze, gusti, linguaggio, ma nessuna di queste cose potranno mai essere l'oggetto di una volontà comune: non le dobbiamo raggiungere, le abbiamo già!

E come no! Ecco che arriva la "scelta cosciente ed individuale". Finalmente! Era ora!

Da una parte abbiamo una comunità - che significa tante persone - la quale, giusto o sbagliato, ha trovato il suo equilibrio funzionale che comprende, giusti o sbagliati, tradizioni, usanze, codici etici, leggi, obblighi reciproci e quant'altro (i quali, per la maggior parte, si fondano su una interiorizzazione profonda di modelli di comportamento condivisi praticamente, piuttosto che su elucubrazioni attorno alle teorie morali).

Dall'altra abbiamo Messer l'Individuo che, non avendo sottoscritto alcun contratto dall'Illustrissimo Signor Notaro in presenza dei Messeri Testimoni (obbligatori per legge in numero di tre), ma essendosi limitato a nascere e crescere in quella comunità, ad un certo punto, tediato dall'esistenza di obblighi e limitazioni per lui incomprensibili, decide di fare come meglio gli pare, strafregandosene di tutto quel mare di fesserie su cui gli altri hanno semplicemente plasmato la loro esistenza: ché, è un problema suo? No, certamente no.

La comunità - cioè altri molti individui - é un attimo in dubbio tra due possibili reazioni:

1) Scusarsi collettivamente col Messere per avergli procurato involontariamente tanto fastidio con la propria esistenza e sciogliersi prontamente come comunità per non importunarlo ulteriormente.

2) Prenderlo a calci nel culo - in senso più o meno figurato - fino a che non la pianti di creare problemi al funzionamento della comunità - cioè alla vita di altri molti individui - con le sue individuali ed egocentriche pretese.

Quale delle due (giusta o sbagliata) sarà più sensata, nell'ottica della comunità, cioè degli altri molti, molti individui che non sono il Messere Recalcitrante ma con lui convivono? Io lo so, ma non lo dico.

Citazione:
Nel caso invece di un gruppo o comunità riunitasi sulla base di un ideale o di uno scopo condiviso, chi questo ideale o scopo non lo condividesse più - per esempio, perché ha perso la fede in dio, oppure non gli interessa più il progetto a cui stava lavorando - automaticamente ne rimarrebbe escluso, e non si vede perché non dovrebbe essere così dal momento che è egli stesso a tirarsene fuori, a cambiare la sua decisione iniziale. Ed in questo senso si può dire che abbia "rifiutato la comunità", ma non vedo cosa ci sarebbe di male.

Ladies & Gentlemen, Mesdames & Messieurs, Signore e Signori, silenzio, prego! È arrivato, last but not least, il momento clou della nostra bella serata; the Magic Moment. Ecco a Voi: La Fondazione della Comunità!!! Un bell'applauso, prego. State seduti ai Vostri posti. Non invadete la pista.

Vogliamo togliere un altro fantasma dal dibattito? Si? Ok.

Le comunità, che non sono né squadre di calcio né società commerciali, non si fondano "sulla base di un ideale o di uno scopo condiviso": generalmente non va affatto così; le comunità, come tante altre cose della vita, "accadono" (anzi, generalmente "sono già accadute" quando arriviamo noi), e gli individui in esse coinvolti si trovano semplicemente a farci i conti (in realtà, molto di più), cercando di farli quadrare il più costruttivamente possibile, in base a metodi di calcolo che ancora una volta hanno ben poco a che vedere con l'aritmetica.

E si impongono anche altre considerazioni:

1) Quand'anche quattro (o otto o sedici o financo trentadue) citrulli tizi si mettessero in testa di "fondare una comunità sulla base di un ideale o di uno scopo condiviso", è fin troppo facile supporre che delle implicazioni effettive, reali di quel passo sulle loro vite ne saprebbero cogliere in quel momento poco più (o poco meno) di una parte infinitesima (con tanti saluti alla vagheggiata "scelta cosciente ed individuale" ). E probabilmente si sbaglierebbero anche su quello.

2) Passato un tempo X (una generazione, o anche meno) la plasticità della comunità si riduce alquanto e non è in grado, pena la sua dissoluzione, di sopportare "la fantasia al potere", per così dire; ipotizzare che ogni suo membro possa cambiare idea con la frequenza desiderata, rimettendo in discussione da capo le norme comunemente accettate al suo interno (su cui, ricordo, i diversi membri strutturano "soltanto" le proprie esistenze) è, semplicemente, un'idea suicida. Il che non vuol dire che il cambiamento non possa avvenire, visto che le comunità si modificano dall'alba dei tempi; l'idea idiota è che la comunità nel suo complesso non possa difendersi dalle alzate d'ingegno di questo o quell'altro suo membro che ne mettano estemporaneamente in difficoltà il buon funzionamento (complicando cioè la vita a molti altri membri).

3) Il ripensamento dei membri: che problema c'è? Praticamente nessuno. Quando un membro si fosse stancato, prende su, carica la propria casa sul portabagagli, e via! Verso nuove avventure!
Oppure, visto che la casa pesa e la sua auto ha gli ammortizzatori un po' scarichi e il clima del posto gli piace, decide di rimanere e comincia a fare un po' il "bastian contrario"; oltre quale limite di "bastian contrario" la comunità - cui crea difficoltà - può cominciare a prendere provvedimenti? Ah, già, non può, perché non ha più un "pensiero comune" ma solo un "pensiero comune meno uno"; quindi è tutto il resto della comunità che carica la casa sul portabagagli e si trasferisce. Che ci vuole?

E così via, e così via...


Prealbe

Re: Il rifiuto della comunità.

Inviato da  arturo il 16/8/2007 20:17:13
Il bello di Prealbe è che si porta sempre appresso una spalla:

In qualità di “spalla” mi dimetto dal ruolo impropriamente ed immeritatamente assegnatomi da altri essendo che Prealbe di spalle ne possiede già ben 4 di suo : due con la s e... due senza la s

Pertanto mi accingo a godermi sportivamente la partita
in scrupoloso silenzio
.

Re: Il rifiuto della comunità.

Inviato da  Paxtibi il 17/8/2007 3:30:33
La comprensione del linguaggio è assolutamente interpretativa e il "significato univoco e immutabile delle parole" è una semplice assurdità. Basta consultare un dizionario, per verificarlo: per ogni vocabolo si trovano generalmente definizioni multiple, talvolta con accezioni anche estremamente diverse fra loro. In più il loro utilizzo può avvenire in contesti e modi diversissimi (metaforico, ironico, retorico, ecc., ecc.), influenzandone ulteriormente il senso.

Ma le definizioni diverse non implicano la contemporanea molteplicità dei significati. Il significato cambia se cambia il contesto, nello stesso contesto rimane costante. Inoltre, non tutte le parole presentano questa polivalenza, e in proposizioni che vogliano affermare verità oggettive deve essere scrupolo di chi le formula eliminare ogni ambiguità preferendo termini a significato univoco e assicurandosi della rispondenza del significato scelto con il contesto dato nei termini a significato multiplo.

Ora, tu puoi continuare a negare queste elementari osservazioni, ma chiariamo subito che sarebbe come negare l'esistenza del linguaggio scientifico e, in fondo, la possibilità di poter comunicare una qualsiasi verità oggettiva, dal momento che il significato di ogni affermazione è subordinato all'interpretazione del ricevente.
Non avrebbe senso nemmeno questa discussione, in quanto ciascuno di noi potrebbe ad ogni intervento sostenere di aver affermato una verità inconfutabile e imputare all'errata interpretazione altrui il non riconoscerlo.

Se fosse invece vero quello che dici tu, disporremmo già da molto tempo di perfetti traduttori automatici, cosa che non è (e forse mai sarà), trattandosi di una operazione non meccanica e non riconducibile a regole certe.

Tanto è vero che esistono traduttori automatici specializzati nelle varie materie scientifiche, il cui algoritmo opera una scelta a priori influenzata dal contesto. Noto inoltre che li devi utilizzare raramente, in caso contrario avresti potuto apprezzare un miglioramento della qualità non indifferente nel giro di pochi anni.

Naturalmente quanto detto non significa minimamente che non si possa comunicare; significa che la comunicazione linguistica richiede necessariamente l'interpretazione intelligente di quanto si recepisce; e che, ribadisco, attenersi al livello letterale è generalmente (nella stragrande maggioranza dei casi, in realtà) una fesseria completa.

In letteratura sfruttare l'ambiguità dei termini per creare diversi livelli di lettura è un segno di buona qualità. Ma la letteratura non afferma verità oggettive.

La questione é molto (ma molto molto) più complessa e articolata. La comunità è un'entità sovraindividuale con caratteristiche sue proprie, che si sostanziano certamente tramite i membri che la compongono (ma no?!?), ma non specchia esattamente le loro caratteristiche individuali.

Quindi questa "entità sovraindividuale" (qui dalla letteratura stiamo passando alla religione) – che è bene ricordarlo, nel mondo fisico altro non è che un certo numero di essere umani – possiede caratteristiche sue proprie, che non rispecchiano quelle degli individui che la compongono: hai qualcosa, possibilmente verificabile sperimentalmente, a sostegno di questa teoria, o possiamo relegarlo nel campo metafisico e dimenticarcene?

Esattamente come l'entità "famiglia". O "coppia". O "gruppo di amici". Ognuna di queste entità (che esistono! oh, se esistono!) esprime volontà collettive (giacché decide, agisce e consegue obiettivi) che manco per niente rispecchiano le singole volontà dei propri membri.

Per esempio, una "famiglia" decide di avere un figlio indipendentemente dalla volontà dei suoi componenti, oppure un gruppo di amici finisce al cinema anche se i suoi componenti volevano andare al pub o al night. Poveri noi!

La "comunità" di cui si tratta in questa discussione (che ho aperto io; lo saprò, quindi...) è la comunità in cui si vive la propria vita, non la bocciofila del quartiere.

Ma quel tipo di comunità non esprime mai volontà collettive condivise da tutti che non siano la soddisfazione di esigenze elementari: vitto, alloggio, sicurezza. Esigenze che nessuno ovviamente rifiuta e che non è necessario quindi imporre. Per il resto, esprime molteplici volontà collettive espressione di molteplici gruppi di persone al suo interno. E non si vede un motivo logico per cui una di queste volontà particolari dovrebbe essere scelta come volontà collettiva di tutta la comunità. Lo potrebbe essere se nei fatti fosse condivisa da tutti i suoi membri. Per esempio, possiamo pensare alla costruzione delle cattedrali medievali, a cui partecipava tutto il villaggio, ma non è un caso se c'era la religione di mezzo, cioè un sistema di accettazione acritica di norme comportamentali basate su dogmi indimostrabili.

Come dicevo, la comunità, per esserlo, deve possedere alcune caratteristiche specifiche; non basta certamente che qualcuno dica "Comunità!" perché una folla di individui diventi tale. Quindi si, su questo siamo stranamente d'accordo.

Meno male, almeno questo.

Ho proposto a modello gli stati totalitari? Ho per caso scritto "W Bush"? Ho parlato di razze superiori? Pax, fai il bravo, rispondi a me, a Prealbe; non farmi carico di nefandezze che non mi competono e che non hanno niente a che vedere col mio discorso. Mi ripeto: stai citando aberrazioni.

Certo che sono aberrazioni, ma la tua non è una risposta: io ti ho indicato dove sta la radice di questa aberrazione, per la precisione proprio nel tipo di ragionamento da te proposto. Rispondere che queste sono aberrazioni non è una confutazione: tu certo non hai proposto apertamente, ad esempio, la deportazione dei dissidenti, ma questa è una delle conseguenze logiche dello stabilire che il pensiero di alcuni è valido universalmente indipendentemente dalla verità o meno di tale enunciato e dalla sua effettiva universale accettazione.

Un coltello non implica necessariamente Jack lo Squartatore, ok? E comunque il buon Jack si sarebbe inventato qualcosa anche in assenza di coltelli.

Curiosamente, in altro forum questo lo scrissi io mentre tu sostenevi il contrario, volevi "vietare tutte le armi" per risolvere il problema del crimine...
In questo contesto, però, la metafora è fuori luogo: se il coltello è il linguaggio, tu lo stai già usando aggressivamente, utilizzandolo per imporre arbitrariamente agli individui volontà che non hanno espresso.

Da una parte abbiamo una comunità - che significa tante persone - la quale, giusto o sbagliato, ha trovato il suo equilibrio funzionale che comprende, giusti o sbagliati, tradizioni, usanze, codici etici, leggi, obblighi reciproci e quant'altro

Infatti, proprio perché le regole che ordinano una comunità, per essere efficaci, devono essere condivise dai suoi componenti, e perché gli individui e le loro valutazioni non sono immutabili, queste regole cambiano, da sempre, in ogni tipo di comunità, seguendo l'evoluzione degli individui che ne fanno parte. Non solo: essendo il cambio delle regole scritte necessariamente successivo alla variazione delle valutazioni eventualmente intervenuta nella società, possiamo osservare diverse situazioni in cui una legge che non risponde più al sentire comune, semplicemente non viene osservata nonostante sia ancora in vigore, senza che questo provochi alcuno scandalo nei più; vedi, ad esempio, la proibizione delle droghe leggere. Ancora, come dicevo sopra, le uniche esigenze universalmente condivise se il comun denominatore è la posizione geografica sono quelle essenziali: qualsiasi norma riferita ad altre esigenze non potrà mai essere universalmente riconosciuta, proprio perché su tutto il resto gli uomini hanno opinioni diverse.

ad un certo punto, tediato dall'esistenza di obblighi e limitazioni per lui incomprensibili, decide di fare come meglio gli pare, strafregandosene di tutto quel mare di fesserie su cui gli altri hanno semplicemente plasmato la loro esistenza

Sei proprio fuori strada: mischi tradizioni, morale, linguaggio con i codici e le leggi. Tradizioni e linguaggio non sono espressioni della volontà collettiva quanto il risultato di esperienze comuni protratte nel tempo, e il "rifiutarli" non comporta alcun danno alla comunità ma solo a chi le rifiutasse (ma non stiamo parlando di chi da un giorno all'altro decide che è sbagliato parlare in italiano e che dobbiamo passare al suomi...). Codici e leggi derivano ovviamente anch'esse dall'uso e dalla consuetudine, ma come detto appena sopra, essendo scritte rispondono con un ritardo più o meno lungo alle mutazioni di questa volontà. Quando questo ritardo è eccessivo, la norma decade de facto.

(Traspare tra l'altro una certa tua insofferenza per l'individuo e per le sue caratteristiche, come la possibilità di pensare in maniera assolutamente originale, che mi fa sospettare una certa asocialità da parte tua, o almeno un certo livello di misantropia. Ma andiamo oltre.)

Le comunità, che non sono né squadre di calcio né società commerciali, non si fondano "sulla base di un ideale o di uno scopo condiviso"
generalmente non va affatto così; le comunità, come tante altre cose della vita, "accadono" (anzi, generalmente "sono già accadute" quando arriviamo noi),


Guarda che la differenza tra comunità fondata sulla base di uno scopo condiviso e comunità definita geograficamente l'avevo già specificata. Comunque, in senso assoluto, non puoi affermare che la società preesiste all'individuo come hai appena fatto.

1) Quand'anche quattro (o otto o sedici o financo trentadue) citrulli tizi si mettessero in testa di "fondare una comunità sulla base di un ideale o di uno scopo condiviso", è fin troppo facile supporre che delle implicazioni effettive, reali di quel passo sulle loro vite ne saprebbero cogliere in quel momento poco più (o poco meno) di una parte infinitesima (con tanti saluti alla vagheggiata "scelta cosciente ed individuale" ).

Nessuno lo nega. Immagina però se tale comunità non fosse stata costituita sulla base di un ideale o scopo coscientemente condiviso, ma solo sulla coincidenza spazio-temporale...

Il che non vuol dire che il cambiamento non possa avvenire, visto che le comunità si modificano dall'alba dei tempi; l'idea idiota è che la comunità nel suo complesso non possa difendersi dalle alzate d'ingegno di questo o quell'altro suo membro che ne mettano estemporaneamente in difficoltà il buon funzionamento (complicando cioè la vita a molti altri membri).

Ma il cambiamento è sempre conseguenza delle alzate d'ingegno di questo o quell'altro suo membro, alzate d'ingegno che, seppur provocando inizialmente reazioni di rifiuto da parte di chi vede messo in pericolo qualche suo vantaggio o privilegio (pensiamo alle resistenze del clero alle "alzate d'ingegno" di Galileo, o alla rabbiosa opposizione dei politici di fronte a qualsiasi ipotesi anarchica), una volta diffuse e largamente accettate cambiano inevitabilmente il sentire comune. Parli di buon funzionamento della comunità: ebbene, questo sta proprio nella soddisfazione delle esigenze dei suoi membri, se non sono soddisfatti, se le norme della comunità rendono loro la vita difficile e non più facile, la comunità non sta funzionando e necessita di un cambiamento.

3) Il ripensamento dei membri: che problema c'è? Praticamente nessuno. Quando un membro si fosse stancato, prende su, carica la propria casa sul portabagagli, e via! Verso nuove avventure!

Non c'è motivo per cui il non riconoscere valido per sé un sistema di regole debba implicare uno spostamento fisico. Certo, se le norme che non si accettano mettono in pericolo la propria o l'altrui incolumità, è certamente buona cosa andarsene al più presto. Viceversa, se io non riconosco valide alcune regole, ma questo non provoca agli altri membri della comunità alcun danno, non si vede perché dovrei essere allontanato. Potrei andarmene, certo, se trovassi la situazione intollerabile, ma è un problema mio.

Oppure, visto che la casa pesa e la sua auto ha gli ammortizzatori un po' scarichi e il clima del posto gli piace, decide di rimanere e comincia a fare un po' il "bastian contrario"; oltre quale limite di "bastian contrario" la comunità - cui crea difficoltà - può cominciare a prendere provvedimenti? Ah, già, non può, perché non ha più un "pensiero comune" ma solo un "pensiero comune meno uno"; quindi è tutto il resto della comunità che carica la casa sul portabagagli e si trasferisce.

Anche questa è una conclusione del tutto gratuita e priva di senso. Non si capisce perché qualcuno se ne dovrebbe andare visto e considerato che la comunità non è altro che la risultante dell'interazione dei suoi membri e del confronto continuo delle idee più diverse. Questa molteplicità di aspirazioni e di spinte di diverso tipo e la forma che ne deriva è esattamente la sostanza della comunità, che come l'uomo stesso è in continuo cambiamento per adattarsi alle variazioni delle esigenze in essa espresse. E gli eventuali codici scritti di cui si è dotata devono rispecchiare tali variazioni, in caso contrario sarebbero gli stessi codici ad ostacolare il buon funzionamento della comunità, non rappresentando più l'espressione di esigenze collettive ma più probabilmente un ostacolo alla loro soddisfazione. Per esempio, le tasse per ottenere servizi sono certamente l'espressione di una volontà collettiva, ovvero la larga maggioranza delle persone giudica positivo pagare un sovrapprezzo sui servizi di cui ha bisogno per assicurarli anche ai meno fortunati. Ma nel momento in cui queste stesse persone giudicassero inique le tasse e insufficienti i servizi, è evidente che l'imposizione della tassa non sarebbe più un valore condiviso, che risponde alle esigenze dei membri della comunità, e tale imposizione non sarebbe altro che l'espressione di una comunità di persone più ristretta, all'interno della prima ma con volontà con essa contrastanti.

Re: Il rifiuto della comunità.

Inviato da  prealbe il 17/8/2007 19:29:24
Parte prima. La parte seconda seguirà poi, ché ho un po' da fare.

Paxtibi
Citazione:
Ma le definizioni diverse non implicano la contemporanea molteplicità dei significati. Il significato cambia se cambia il contesto, nello stesso contesto rimane costante. Inoltre, non tutte le parole presentano questa polivalenza, e in proposizioni che vogliano affermare verità oggettive deve essere scrupolo di chi le formula eliminare ogni ambiguità preferendo termini a significato univoco e assicurandosi della rispondenza del significato scelto con il contesto dato nei termini a significato multiplo.

Ora, tu puoi continuare a negare queste elementari osservazioni, ma chiariamo subito che sarebbe come negare l'esistenza del linguaggio scientifico e, in fondo, la possibilità di poter comunicare una qualsiasi verità oggettiva, dal momento che il significato di ogni affermazione è subordinato all'interpretazione del ricevente.
Non avrebbe senso nemmeno questa discussione, in quanto ciascuno di noi potrebbe ad ogni intervento sostenere di aver affermato una verità inconfutabile e imputare all'errata interpretazione altrui il non riconoscerlo.

Tanto è vero che esistono traduttori automatici specializzati nelle varie materie scientifiche, il cui algoritmo opera una scelta a priori influenzata dal contesto. Noto inoltre che li devi utilizzare raramente, in caso contrario avresti potuto apprezzare un miglioramento della qualità non indifferente nel giro di pochi anni.

In letteratura sfruttare l'ambiguità dei termini per creare diversi livelli di lettura è un segno di buona qualità. Ma la letteratura non afferma verità oggettive.

Si, Pax.

Allora, in nome dello "scrupolo" finalizzato a "eliminare ogni ambiguità" e per avvicinarci il più possibile al "linguaggio scientifico", immaginando che anche tu stia cercando di "comunicare" una "verità oggettiva", ti prego di corredare il tuo intervento del rimando, per ogni vocabolo utilizzato per cui ne sussista più d'una, all'accezione da te prescelta.

Un'altra cosa: siccome nei dizionari, come avrai probabilmente notato, la definizione di una parola è formata da altre parole, ti pregherei, sempre per sfuggire ogni minimo rischio di fraintendimento, di precisare anche per queste la definizione da te intesa; e nel caso tale ulteriore definizione fosse, come probabile, formata a sua volta da parole, mi raccomando di proseguire fino allo svisceramento di tutte le parole coinvolte nel processo.

Rimarrà poi probabilmente ancora qualche margine di incertezza su quella fastidiosa terminologia astratta (che talvolta ricorre in argomenti che abbiano al centro l'essere umano) e per la quale è piuttosto complicato - stante la mancanza di corrispettivi tangibili - conseguire la certezza dell'univocità di rappresentazione interiore tra gli interlocutori. Ma certamente anche per questo aspetto tu avrai qualche brillante idea su come superare l'impasse.

Infine: siccome molti vocaboli hanno anche una valenza emotiva soggettiva associata (non so: "anarchia", "stato", "democrazia", "libertà", "gerarchia", "comunità"; tanto per rimanere in tema) di cui purtroppo i dizionari non riportano traccia, e che, ahimè, tende ad influire in maniera non esplicita sulle considerazioni dei partecipanti al dibattito, sarà anche bene che tu specifichi la tua disposizione verso i termini di questo tipo che dovessero ricadere tra quelli considerati, magari associando un punteggio (positivo per quelli che ti piacciono e negativo per quelli che ti dispiacciono; per esempio: "tasse" -90; "anarcocapitalismo" +95; "Rothbard" +9999; ed è inutile dire che naturalmente sia la scala di riferimento sia il metodo di misurazione dovranno essere precisati in modo inequivocabile) in modo che chi legge possa tenere conto anche di tali influenze.

Ovviamente, tali attività dovranno essere svolte anche da me ed ogni altro partecipante al 3D.

Tutto ciò fatto sono però certo che potremo tranquillamente dedicarci ad un dialogo finalmente scevro da ogni ambiguità e nessuno potrà più invocare "l'errata interpretazione altrui"; finalmente, l'oggettività sarà scesa tra noi.

(E con ciò, per quanto mi riguarda la parentesi sulla linguistica è bella che chiusa. Se qualcuno ritiene di baloccarsi ancora con "l'univocità dei significati", il "linguaggio scientifico" e le "verità oggettive" mentre si sta parlando della comunità umana, beh, non sarò certo io a sottrarlo alle sue bizzarre idee.)


Prealbe

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