Tesina sull'11 settembre - 3a parte


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“Odiare i mascalzoni è cosa molto nobile”








style="text-align: left; width: 800px; margin-left: auto; margin-right: auto;"
border="1" cellpadding="2" cellspacing="2">


lang="it-IT">Parte 3


lang="it-IT">Le utili stragi


.1
Introduzione


lang="it-IT"> Per comprendere fino in fondo gli attentati
dell’11
settembre è necessario prendere in considerazione tutto ciò
che quel giorno ha significato e comportato in termini geopolitici.
Per intraprendere questa strada è necessario fare uno “sforzo
storico”, nel senso che, essendo coinvolti emotivamente nei più
recenti scenari bellici e politici, esiste il forte rischio di mal
interpretare gli avvenimenti degli ultimi dieci anni della nostra
storia. Per tale motivo, bisogna saper valutare con distacco gli
eventi, in modo da averne una chiara visione ed assicurarsi un punto
di vista oggettivo che consenta di giungere ad una chiave di lettura
veritiera e corretta.


style="text-indent: 0.49in; margin-bottom: 0in;" align="JUSTIFY"
lang="it-IT">Addentrandoci nell’analisi politica, notiamo come i neocons
abbiano tratto da quegli attacchi benefici non indifferenti sia per i
loro interessi sia per l’economia degli Stati Uniti. In
particolare, la conseguenza più importante scaturita dall’11
settembre 2001 è la cosiddetta “Dottrina Bush” che
ha dato vita al concetto di “guerra preventiva”, nozione
che è stata applicata per la prima volta in Afghanistan e che
ha costruito il contesto politico per la guerra in Iraq.





lang="it-IT"> 3.2 La
guerra in
Afghanistan


3.2.1
Caccia
all’uomo




lang="it-IT"> Il 7 Ottobre 2001, nonostante i Talebani si
fossero
dichiarati disposti a processare bin Laden in Afghanistan in un
tribunale islamico1, ebbe inizio l’invasione di
terra dell’Alleanza del Nord, gruppo ostile ai talebani,
coadiuvato dai bombardamenti aerei delle forze statunitensi e
britanniche. Il casus belli non poteva che essere l’attentato
terroristico dell’11 settembre, e l’obiettivo di tale
guerra era annientare al-Qaida e catturare o uccidere il pericoloso
terrorista.


lang="it-IT"> Dopo bombardamenti a tappeto degli aerei alleati, il 12
novembre le
forze talebani abbandonarono Kabul. Da quel momento vennero inviate
truppe Usa che installarono progressivamente varie basi nel
territorio afgano. La macchina bellica era predisposta al meglio per
dare il via alla caccia ad Osama bin Laden, conclusasi ufficialmente
il 2 maggio 2011, data in cui, durante un raid autorizzato dal
presidente Barack Obama, il capo di al-Qaida è stato
dichiarato ucciso a Abbottabad, vicino a Islamabad, in Pakistan.
Malgrado l’omicidio di Osama, il presidente Obama ha
tempestivamente specificato che la sua uccisione non avrebbe
significato la sconfitta di al-Qaida, motivo per cui il ritiro delle
truppe non è ancora stato ordinato.


3.2.2
L’unica
via
libera


lang="it-IT"> Un rapporto sull’Afghanistan del vice-presidente John
Maresca
della Unocal Corporation, società americana di
esplorazione e produzione di petrolio greggio e gas naturale,
risalente al febbraio 1998, espone la succulenta possibilità
energetica rappresentata dall’area circostante al Mar Caspio,
avente giacimenti di gas naturale per circa 6.000 miliardi di metri
cubi e riserve di petrolio pari a circa 60 miliardi di barili2.


lang="it-IT"> Il rapporto prendeva in esame la questione non
indifferente del
trasporto di questi idrocarburi verso gli Stati Uniti. Il primo
tragitto previsto per il gasdotto e l’oleodotto, quello
attraverso la Cina, risultò troppo lungo ed oneroso. Il
secondo percorso su cui venne posta l’attenzione consentiva il
raggiungimento dell’Oceano Indiano per instradare da lì
il trasporto fino in America. Il tratto più breve passava
attraverso l’Iran. Opzione, questa, preclusa alle società
americane a causa delle allora vigenti sanzioni economiche. Rimaneva
dunque solo l’attraversamento in Afghanistan, paese sotto il
controllo dei talebani, un movimento islamico non riconosciuto dalla
maggior parte degli altri paesi. Il rapporto metteva molto bene in
chiaro che non si sarebbe mai dato avvio alla costruzione
dell’oleodotto fino a che non fosse stato instaurato un governo
internazionalmente riconosciuto3.


3.2.3
Un
difficile
accordo


lang="it-IT"> Il rapporto di John Maresca, tuttavia, rappresentava
solo una
formalità poiché, infatti, nell’ottobre 1997, una
delegazione di leader talebani si recò a Houston per
incontrare i dirigenti della Unocal per giungere ad un accordo
sulla costruzione del gasdotto. Il 27 dello stesso mese la Halliburton,
società
presieduta
proprio da Dick Cheney,
otteneva un contratto di trivellazione nel Mar Caspio mentre la Unocal
stipulava un accordo coi talebani dando “l’ok”
per la realizzazione della conduttura4.


lang="it-IT"> Sfortunatamente nell’agosto 1998 gli accordi saltarono
insieme
alle ambasciate statunitensi in Tanzania e in Kenya, bersagli del
famigerato terrorista Osama bin Laden che costrinse gli Stati Uniti a
lanciare un attacco contro i suoi campi in Afghanistan. La Unocal
si ritirò subito dal progetto, il quale non poteva essere
messo a repentaglio da una situazione così instabile.


style="text-indent: 0.49in; margin-bottom: 0in;" align="JUSTIFY"
lang="it-IT">Tutte le trattative posteriori fallirono, fino a quella
dell’agosto
2001 conclusasi con una chiara minaccia verso i talebani dei
rappresentanti della Unocal: Either we will cover
you with a carpet of gold, or we will bury you under a carpet of
bombs
”, e cioè: “O vi ricopriremo con un
tappeto d’oro, oppure vi seppelliremo sotto un tappeto di
bombe”5.


lang="it-IT"> Il week-end precedente agli attacchi
terroristici, in attesa
del ritorno del presidente Bush dalla Florida, veniva presentato alla
Casa Bianca un piano dettagliato per attaccare al-Qaida, che prendeva
in considerazione un’eventuale guerra in Afghanistan6. Due
giorni
dopo
le Twin Towers crollavano.


lang="it-IT"> In seguito all’invasione dell’Afghanistan la
costruzione dell’oleodotto poteva procedere senza ostacoli:
come presidente della Repubblica Islamica dell'Afghanistan venne
insediato Hamid Karzai, già sospettato ex-consulente della Unocal,
che
nel
febbraio 2002 annunciò la sua
disponibilità alla fabbricazione del gasdotto, progetto che si
realizzò con la firma di Afghanistan, Pakistan e Turkmenistan
il 27 dicembre 20027. È da notare che le
basi americane sono state costruite lungo lo stesso percorso della
conduttura8.


lang="it-IT">3.3 La guerra
in Iraq


3.3.1
Un
conto
in
sospeso


lang="it-IT"> Come già stato spiegato nel paragrafo 1.6.3, per gli
Stati
Uniti era fondamentale controllare le maggiori riserve petrolifere
che si trovavano in Medio Oriente. L’Iraq, in particolare,
detiene la maggiore quantità di petrolio al mondo dopo
l’Arabia Saudita; impossessarsi dei suoi giacimenti avrebbe
significato poter finalmente “dettare legge” sul suo
commercio in modo da auto-favorirsi sul piano economico, ma
soprattutto il poter gestire l’approvvigionamento energetico
delle altre nazioni del mondo in funzione dei propri obiettivi
strategici.


lang="it-IT"> Nel 1990 i neocons, durante la prima guerra del
Golfo, erano
quasi giunti ad avere il pieno controllo dei giacimenti petroliferi
mediorientali, allorché Saddam Hussein invase il vicino stato
del Kuwait per impossessarsi dei suoi pozzi petroliferi. L’invasione
diede l’opportunità agli Stati Uniti di scendere in
campo per far cadere il regime di Saddam, ma il presidente George H.
W. Bush, pur sconfiggendo il suo esercito, si oppose alla sua
deposizione lasciandogli così di fatto il controllo dell’Iraq.


lang="it-IT"> style="border: 1px solid ; width: 362px; height: 427px;" alt=""
src="http://www.luogocomune.net/site/modules/news/library/911-Tesina_ultimata_html_1fbec230.jpg"
name="graphics15" align="left" hspace="12">
La prima guerra del
Golfo, come tutte le altre guerre americane, è
disseminata anch’essa di mezze verità o di pure falsità.
Per esempio, le foto satellitari annunciate da Dick Cheney, allora
segretario alla difesa, che ritraevano l’ammassarsi delle forze
irakene lungo il confine dell’Arabia Saudita e che permisero l’invio in
loco delle truppe americane e l’installazione
di basi militari, semplicemente non esistevano poiché, le foto
scattate dai russi in quelle stesse zone e negli stessi giorni,
come testimonia il reporter Jean Heller, non mostravano non un carro,
non un uomo, lungo quel confine. Ironicamente mostravano qualcosa di
inaspettato: aerei di trasporto e di combattimento che non avrebbero
dovuto ancora trovarsi lì1. Un altro esempio
raccapricciante è quello dell’infermiera


lang="it-IT">kuwaitiana che andò denunciando i soldati irakeni che
entravano negli ospedali kuwaitiani e strappavano i neonati dalle
incubatrici per lasciarli morire sul pavimento2,
rivelatasi in seguito la figlia dell’ambasciatore del Kuwait a
Washington che era stata istruita a recitare il copione da una
società di pubbliche relazioni americana: la Hill&Knowlton3.
Le
stime ufficiali delle vittime irakene furono di circa 20.000 morti,
mentre molte altre fonti come la Beth Osborne Daponte
riportano numeri che si aggirano sui 200.000 morti4. Per
ultimo
è
importante non dimenticare la brutalità
utilizzata dalle forze della coalizione contro l’esercito
irakeno come testimonia “l’autostrada della morte”,
così denominata dopo un attacco alleato nei confronti delle
truppe nemiche in ritirata; molto significativa è poi la figura
accanto, una famosa foto scattata dal giornalista Kenneth Jarecke,
che
ritrae
un
cadavere carbonizzato su di un veicolo sul
quale il reporter ha scritto “Se non fotografo questo, persone
come la mia mamma penseranno che la guerra è quella che vedono
in tv”.


3.3.2
La
resa
dei
conti


lang="it-IT"> Fin dalle prime ore successive agli attacchi dell’11
settembre
ci fu, all’interno dell’amministrazione Bush, il
desiderio di scoprire il prima possibile se Saddam Hussein fosse in
qualche modo coinvolto negli attentati. Il pomeriggio dell’attacco
terroristico il generale Myers venne incaricato da Rumsfeld di
ottenere velocemente informazioni generali sui possibili mandanti
(come dice la commissione dell’11 settembre)5; ed
informazioni ben precise e mirate circa il coinvolgimento del
dittatore irakeno: “Andateci pesante” disse il segretario
alla difesa “Forzatele tutte (le informazioni). Cose correlate
e non”6. Paul Wolfowitz, allora vice di Rumsfeld,
disse che Saddam avrebbe dovuto essere attaccato anche se ci fosse
stata la possibilità del 10% che si trovasse in qualche modo
dietro gli attentati7. Anche il presidente Bush
tentò di trovare legami con l’Iraq, infatti ordinò
al generale Richard
Clarke:
“Vedi
se
Saddam
ha fatto questo” e poi “Vedi
se è in qualche modo collegato”8. Quella
di Bush non suonava come semplice preoccupazione, ma sembrava
piuttosto una richiesta di tornare indietro con un rapporto che
confermasse il coinvolgimento dell’Iraq, come spiega Clarke in
un’intervista9.


lang="it-IT"> Come conferma l’ex ministro del tesoro di Bush Paul
O’Neill,
l’argomento principale dell’intera amministrazione già
dopo dieci giorni il suo insediamento alla Casa Bianca era di
togliere di mezzo Saddam. Il problema del presidente, per non perdere
il supporto della popolazione, era quindi quello di giustificare un
intervento militare in Iraq, e la legittimazione venne trovata
collegando Saddam all’incubo del terrorismo.


lang="it-IT"> La lunga campagna mediatica finalizzata alla
demonizzazione di
Saddam si concluse con l’intervento del segretario di stato
Colin Powell all’Onu il 5 febbraio 2003 in cui mostrò al
mondo le prove che il dittatore stava impiegando armi di distruzione
di massa, almeno secondo le informazioni fornitegli dalla Cia. Quelle
informazioni, però, dopo un po’ di tempo si rivelarono
del tutto false10, ma ormai era troppo tardi:
il 20 Marzo 2003 le truppe di una coalizione guidata da Stati Uniti e
Gran Bretagna facevano ingresso in territorio irakeno per deporre
Saddam e mettere fine alla sua dittatura.


3.3.3
La
seconda
guerra
del
Golfo


style="text-indent: 0.49in; margin-bottom: 0in;" align="JUSTIFY"
lang="it-IT">Iniziato il 20 marzo 2003, il conflitto si concluse
rapidamente con
la vittoria degli alleati: il 9 aprile entravano a Baghdad togliendo
definitivamente il potere a Saddam Hussein e il 15 dello stesso mese
sconfiggevano l’esercito avversario ottenendo l’intero
controllo dell’Iraq. Da quel momento si instaurò una
strana condizione civile in cui non vigevano né le leggi del
rais né quelle degli Stati Uniti. Fino al 2010, anno in cui il
neopresidente americano eletto Barack Obama ritirò le truppe
lasciando che il popolo irakeno potesse finalmente instaurare una
forma di governo più democratica, ovvero una repubblica
parlamentare, l’unica cosa che si avvicinasse al concetto di
potere era di fatto in mano all’esercito americano.


3.3.4
La
ricostruzione
dell’Iraq


style="text-indent: 0.49in; margin-bottom: 0in;" align="JUSTIFY"
lang="it-IT">Inizialmente pubblicizzata come “operation iraqi
freedom
”,
cioè operazione di liberazione dell’Iraq, la missione
sembrò prendere da subito una piega completamente opposta che
aveva ben poco a che fare con la libertà: un esempio è
il saccheggio del Museo Nazionale di Baghdad, avvenuto sotto la
totale indifferenza degli americani11, ma nel 2004 il caso
più emblematico divenne la prigione di Abu Ghraib, in cui i
detenuti irakeni furono vittime di sevizie e umiliazioni da parte dei
militari americani.


style="text-indent: 0.49in; margin-bottom: 0in;" align="JUSTIFY"
lang="it-IT">In ogni caso il governo americano, in ottemperanza con la
risoluzione
Onu 1483 che impegnava tutte le nazioni ad aiutare l’Iraq alla
ricostruzione di strutture e infrastrutture, approvò il 29
ottobre 2003 un aiuto economico di 18,4 miliardi di dollari12.
Le uniche società, tuttavia, che ottennero i cosiddetti main
contracts
, ovvero i principali contratti per la
ricostruzione erano la Bechtel Corporation, la Halliburton,
sul
cui
libretto
paga
c’era ancora Dick Cheney, vice-presidente
che aveva già fatto affari in Afghanistan (come già
spiegato nel paragrafo 3.2.3), e le sue società sussidiarie
come per esempio la KBR (Kellogg Brown & Root)13.
Con un contratto cost-plus sui servizi di supporto
delle
truppe e la riapertura delle infrastrutture del petrolio la Halliburton
accumulò un valore dei contratti che
superava i 10,77 miliardi di dollari14.


style="text-indent: 0.49in; margin-bottom: 0in;" align="JUSTIFY"
lang="it-IT">Il Pentagono, cui era stato affidato l’incarico della
gestione
del denaro, riuscì a perdere le tracce della transizione di
oltre 2.000 miliardi di dollari in un solo anno15, il che
fece perdere fiducia nell’amministrazione Usa circa il reale
aiuto economico spedito in Iraq il quale, più che per la
ricostruzione del paese, sembrava finalizzato all’arricchimento
di alcune società americane.


lang="it-IT"> Le vittime di questa guerra fino al 2006 sono state,
secondo la
rivista medica inglese The Lancet, circa 655.000; secondo
l’Opinion Research Survey di Londra ammontano
addirittura a 1.221.000, e ci sono molte altre fonti che confermano
il raggiungimento di oltre un milione di morti in questi anni16.
Bisognerebbe
chiedersi
se
quei
sacrifici umani fossero veramente
necessari per instaurare una democrazia in Iraq.


lang="it-IT">Postfazione


lang="it-IT">Alcuni pensano che la storia recente non la si possa
studiare
poiché, essendo implicati da vicino, non saremmo in grado di
rimanere oggettivi, eppure, gli attentati dell’11 settembre
sono già entrati a pieno diritto tra le pagine dei libri di
testo scolastici e le enciclopedie. Effettivamente, la maniera in cui
la storia viene raccontata e spiegata ha ben poco di oggettivo: la
cattiva interpretazione dei fatti, le omissioni dell’informazione
e la faziosità di chi racconta la storia sono tali da
precludere al cittadino una corretta conoscenza del corso degli
eventi e da offrirgli una visione della realtà non lontana da
quella delle favole.


lang="it-IT"> Nel 1948 è avvenuta una svolta epocale grazie alla firma
da
parte degli stati delle Nazioni Unite della Dichiarazione universale
dei diritti umani. Da quel momento molti Paesi si sono battuti per
costruire un mondo migliore, composto da Stati liberi e democratici.
Ad essere sinceri, però, non si può pretendere che
questa utopia si realizzi in ogni angolo della terra: tale finalità
politica può essere tranquillamente osteggiata nel nome della
libertà di espressione; tuttavia, l’impressione di fondo
che si percepisce guardando il nostro quadro storico è che il
diritto della libertà dei popoli, che è una cosa
sacrosanta (e su questo non si può discutere), sia stato, per
interessi ideologici, politici o economici, manipolato, sminuito,
sfruttato e sventrato da molti capi di governo. Fermandosi per un
attimo e voltandosi indietro per guardare, non si può forse
affermare che questo sia effettivamente successo nel caso dell’Iraq?
Ma il caso dell’Iraq come è nato veramente?


style="text-indent: 0.49in; margin-bottom: 0in;" align="JUSTIFY"
lang="it-IT">Spero dunque che questa tesina abbia contribuito ad
inserire la
giornata dell’11 settembre 2001 nel suo giusto contesto storico
mettendone in luce le vere cause e le conseguenze reali che ha
implicato. Trovo, tuttavia, molto triste che i mass-media siano in
mano ai potenti, quindi non in condizioni di fornire informazione
libera e indipendente; che siano poi in pochi ad alzare la testa per
ribellarsi è davvero scoraggiante. I giornalisti, in
particolar maniera quelli “più in vista”,
dovrebbero prendere esempio da Émile Zola e saper prendere
posizioni ferme sulle vicende importanti, proprio come lui fece nel
famoso affare Dreyfus. Che prendano posizione, però, senza
pressioni o interessi e con pura onestà intellettuale, una
caratteristica il cui significato sfortunatamente sfugge a moltissime
persone, anche pubbliche.


style="text-indent: 0.49in; margin-bottom: 0in;" align="JUSTIFY"
lang="it-IT">Oggi ci chiediamo: come hanno fatto illustri scienziati
di tutto il
mondo a dar credito alle teorie di Lombroso? Oppure: come hanno fatto
i tedeschi a fidarsi di un pazzo criminale come Hitler? O ancora:
come hanno fatto i nostri nonni a dare tacito consenso al fascismo? E
rimaniamo sempre allibiti quando ricordiamo che nel 1931 furono solo
dodici professori universitari su 1200 a rifiutare il giuramento di
fedeltà al regime fascista, mentre gli altri lo approvarono
all’unanimità incondizionatamente. Ecco, i nostri figli,
o i figli dei nostri figli, allo stesso modo si chiederanno un
giorno: come hanno fatto a non vedere che l’11 settembre era
tutta una messa in scena per scopi economici e geopolitici? Come
hanno fatto intellettuali e scienziati di tutto il mondo a credere ad
una versione ufficiale così ridicola? E mentre si chiederanno
ciò, probabilmente i loro stessi governi staranno compiendo
qualche crimine che loro non riusciranno a vedere. E ci sarebbe da
stupirsi? D’altronde glielo abbiamo insegnato noi come bendarsi
gli occhi, esattamente come a noi lo hanno insegnato i nostri
genitori, e così via a ritroso nel tempo… la storia che
si ripete.


cellpadding="2" cellspacing="2">









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