Le Grandi Opere - Intervista a Marco Cedolin


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Grandi opere: le alternative ci sono




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Grandi opere: le alternative ci sono!



Intervista
a Marco Cedolin




di
Marianna Gualazzi



 Tratto
da IL CONSAPEVOLE n. 12




Marco Cedolin ci svela
la manipolazione informativa e mediatica messa in opera a danno dei
cittadini per fare loro non  solo accettare, ma desiderare, le
grandi opere. Fonte di grandi guadagni, utili, necessarie veloci: ma
forse non tutti sanno che siamo tutti noi a pagarle, queste belle e
grandi opere, e che i soldi delle nostre tasse finiscono nel
portafoglio di coloro che, quando i tempi si allungano e l’opera non
finisce mai, non fanno altro che guadagnarci.





Hai scritto un libro sulla TAV in Val di Susa e hai
seguito la protesta degli abitanti della valle. Ora è in uscita il tuo
nuovo libro, interamente dedicato alle grandi opere. Qual è stata la
molla che ti ha spinto verso queste tematiche?



Quello delle grandi opere è un tema
focale sul quale è necessario concentrare la nostra attenzione: con il
declino della produzione industriale, iniziato nella seconda metà degli
anni ’80, e l’avvento della delocalizzazione all’estero delle attività
produttive, è cresciuto in maniera esponenziale l’interesse del sistema
economico nei confronti di attività a basso contenuto tecnologico, in
grado di movimentare enormi capitali, come la costruzione delle grandi
opere. Questo pasaggio di risorse finanziarie da settori maggiormente
impegnativi – ad alta competizione e ad elevato rischio d’impresa,
quali quello industriale – in direzione di settori estremamente più
remunerativi e praticamente privi di competizione quali quello delle
grandi costruzioni, ha determinato il potenziamento degli strumenti
necessari per portare avanti queste attività. Le macchine movimento
terra, le frese, le talpe, sono cresciute a dismisura, nel costo e
nella capacità di trasformare e cementificare porzioni sempre maggiori
di territorio. La crescita dimensionale degli investimenti e degli
strumenti ha determinato un sovradimensionamento dei progetti, ragione
per cui le opere sono diventate sempre più grandi e costose, fino a
staccarsi completamente dalle reali necessità delle comunità e dei
territori, per rispondere unicamente alle necessità dell’economia:
necessità legate alla loro costruzione e non al loro utilizzo.

Il settore del "cemento e del tondino" connesso alle grandi opere è
così diventato terra di conquista per i grandi potentati economici e
finanziari, in quanto fonte di facile arricchimento a bassissimo
rischio d’impresa. Nel bel mezzo di questo processo sono venuti a
trovarsi proprio i cittadini ed i territori nei quali essi vivono, con
la conseguenza che lo spazio vitale e la qualità della vita di ciascuno
hanno iniziato a ridursi drasticamente. 




Quale manipolazione nei confronti dei cittadini si
nasconde dietro il meccanismo delle grandi opere?



Negli ultimi cinquant’anni la nostra società ha
subito un mutamento radicale che ha conosciuto il proprio massimo
nell’ultimo decennio. Contesti ritenuti un tempo pilastri
imprescindibili della società, quali la famiglia, il lavoro, la
comunità, sono diventati elementi sempre più incerti dell’esistenza. I
ritmi sono frenetici, il tempo libero sempre più compresso, le
occasioni di rapportarsi con il prossimo sempre più rare. Per la
maggior parte delle persone, rinchiuse nel proprio microcosmo, la
televisione e la frettolosa lettura di qualche quotidiano rappresentano
la principale fonte di un’informazione spesso superficiale e
frammentaria.


In un contesto di questo genere è stato semplice, per chi
gestisce i grandi interessi economici ed ha il monopolio
dell’informazione, veicolare nell’immaginario collettivo un messaggio
fuorviante: la necessità di costruire opere sempre più grandi in grado
di aumentare la crescita economica, lo sviluppo, le opportunità di
lavoro. Secondo una pratica che si è consolidata nel tempo, i governi,
fidando sull’aiuto di esperti e giornalisti compiacenti, hanno sedotto
il cittadino, come si farebbe con un bambino. Costruiremo il TAV perché
così potrai viaggiare più velocemente, le merci arriveranno prima e ci
saranno meno TIR ad inquinare sulle strade, costruiremo il
megainceneritore perché così si eviteranno le discariche, costruiremo
nuove gallerie per velocizzare il traffico, costruiremo immense dighe
perché l’energia idroelettrica è pulita, e così via: ogni opera è stata
giustificata attraverso il mito del progresso che crea benessere e
prosperità.


Spesso si parla del fatto che le grandi opere sono
antieconomiche. La legislazione che regolamenta questo tipo di progetti
permette, anzi favorisce uno, sperpero di denaro inaudito. La classe
politica, a livello trasversale senza escludere nessuno, è connivente
con la classe imprenditoriale?


In ambito di grandi opere la legislazione è stata costruita in
maniera da essere funzionale ai grandi potentati economici e
finanziari. La commistione fra pubblico e privato, la creazione dei
general contractor, l’assoluta mancanza di una norma che pretenda
accurati studi sui costi/benefici delle singole opere come prerogativa
alla loro realizzazione, ne sono la dimostrazione. Quasi sempre i costi
ed i tempi di realizzazione di una grande opera vengono pesantemente
sottostimati, al fine di renderla "presentabile" e magari vincere la
gara di appalto al ribasso. Poi in corso di realizzazione i tempi si
allungano a dismisura ed i costi incrementano in maniera esponenziale
fino al 500%, come è accaduto in Italia per alcune tratte TAV. Al
contrario i benefici e il ritorno economico di una grande opera in fase
di progetto sono sovrastimati spesso in maniera addirittura ridicola al
fine di accreditarla come necessaria. Solamente quando l’opera è
terminata ci si trova di fronte all’evidenza che i flussi di traffico
reali sono 1/6 rispetto a quelli previsti, che il megainceneritore è
una scelta fallimentare e può sopravvivere solo grazie agli incentivi
statali, che il costo dell’energia prodotta attraverso una megadiga
supera di 3 volte quello nazionale.



La classe politica, a livello trasversale senza escludere
nessuno, è connivente con la classe imprenditoriale? Entrambe si
favoriscono a vicenda? Attraverso quali meccanismi?



Nei
gruppi imprenditoriali che gestiscono la costruzione delle grandi opere
sono presenti interessi di ogni genere: dai maggiori istituti bancari
ed assicurativi mondiali, alle industrie degli armamenti, ai colossi
metalmeccanici, petroliferi, alimentari, farmaceutici.


La politica svolge un ruolo sussidiario, assecondando in
maniera del tutto trasversale i grandi interessi, favorendo di fatto il
trasferimento del denaro pubblico che viene direttamente dalle tasse
dei cittadini nelle tasche dei grandi potentati e ricevendo in cambio
emolumenti e prebende. La politica è il tramite attraverso il quale il
potere economico e finanziario si rapporta con il cittadino. La
sudditanza della politica rispetto ai grandi poteri è assolutamente
trasversale e va oltre le divisioni tra destra e sinistra, funzionali
solo alla conservazione del consenso: nella truffa del TAV 90 miliardi
di euro del contribuente sono stati sprecati per la costruzione di
un’infrastruttura sostanzialmente inutile, con la condivisione di tutte
le forze politiche.


In una regione come l’Emilia Romagna i
cittadini si stanno mobilitando contro il diffuso raddoppio e la
costruzione, ex novo, di impianti di incenerimento dei rifiuti. In
questa regione nel settore opera la Holding Hera. Quali sono le
relazioni tra Hera il governo della regione?



Il Gruppo Hera è una multiutility a
capitale misto pubblico/privato nata nel 2002 e quotata in borsa dal
2003 che ha incorporato le municipalizzate di Bologna, Ravenna, Forlì,
Cesena, Rimini, Cesenatico, Faenza, Savignano, Imola, Lugo, Riccione,
Ferrara e Modena. Si tratta di un colosso che spazia dalla gestione
delle acque alla distribuzione dell’energia, allo smaltimento dei
rifiuti, fino alla gestione dei servizi cittadini e dei servizi
cimiteriali e funerari. Si colloca oggi al primo posto in Italia fra le
multiutilities con un bacino di circa 2,5 milioni di abitanti e una
copertura di circa il 70% del territorio dell’Emilia Romagna. Hera
rappresenta l’esempio più evidente di come, attraverso la commistione
fra pubblico e privato, vengano create delle aziende dalle potenzialità
economicamente spaventose che, godendo dei favori della politica a
tutti i livelli, accumulano enormi capitali e divengono monopolisti
nella gestione dei servizi. Molte municipalizzate, soprattutto nel nord
Italia, stanno seguendo questo esempio: è di qualche giorno fa la
notizia della fusione fra la municipalizzata di Milano AEM e quella di
Brescia ASM. La conseguenza di monopoli di questo genere, gestiti in
maniera spregiudicata al fine di sfruttare le posizioni di privilegio,
si traduce, per i cittadini, in un aumento dei costi, in una minore
qualità dei servizi e nell’assoluta mancanza di attenzione per
l’ambiente e la salute: lo dimostra la costruzione di nuovi
inceneritori ed il raddoppio di quelli esistenti, messi in cantiere da
Hera in Emilia Romagna.




Sul territorio nascono associazioni di
protesta, comitati, si organizzano incontri, convegni e dibattiti. I
cittadini dicono spesso no alle grandi opere. Ma alla protesta spesso
non si associa la proposta o per lo meno viene taciuta dai media. Quali
sono dunque le concrete strade alternative, a basso costo e a basso
impatto ambientale, praticabili con successo? Potresti farci qualche
esempio relativo alle grandi opere trattate nel tuo prossimo libro?



I cittadini stanno iniziando ad opporsi alle grandi
opere perché si sentono stretti d’assedio dalla cementificazione
indiscriminata, dall’eccessivo aumento delle infrastrutture, dalla
massa di veleni di cui sono cosparsi i terreni ed è impregnata l’aria.
Molto spesso prendono coscienza della realtà quasi per caso, vedendo
nascere l’ennesimo cantiere dietro casa loro, apprendendo che dovranno
vivere a 2 km da un inceneritore, trovando un qualche mostro di cemento
al posto del boschetto dove erano soliti andare a passeggiare.

I cittadini contestano le grandi opere perché le
ritengono nocive e poco opportune e lo fanno sulla base di motivazioni
di carattere economico ed ambientale. Le alternative ci sono, ma non
vengono mai prese in considerazione: perché? Perché con le grandi opere
non si vogliono risolvere problemi, ma ingrassare le tasche dei grandi
potentati finanziari, economici e politici.

Facciamo qualche esempio.


I megainceneritori non
risolvono alcun tipo di problema poiché trasformano semplicemente i
rifiuti in un ammasso di particelle velenose fatto di nanopolveri,
metalli pesanti, diossina e furani, facendoli
scomparire alla nostra vista ma introducendoli dentro il nostro corpo
attraverso l’inquinamento atmosferico e la catena alimentare, con
conseguenze devastanti per la salute di noi tutti. I megainceneritori
annientano la raccolta differenziata: per mantenere le alte temperature
di esercizio sono costretti a fagocitare enormi quantitativi di
materiali riciclabili quali plastica, carta e cartone. I
megainceneritori producono energia in maniera antieconomica, senza
rispettare l’ambiente, ed emettendo nell’atmosfera quantitativi di CO2
doppi rispetto ad una centrale a gas naturale di eguale potenza.


Le alternative all’incenerimento esistono già e
sono enormemente meno impattanti e costose. Basterebbe impegnarsi per
migliorare in quantità e qualità i volumi della raccolta differenziata
e sottoporre la parte rimanente dei rifiuti al Trattamento Meccanico
Biologico, per ritrovarsi con una massa di rifiuti dalle potenzialità
scarsamente inquinanti non superiore al 15% del totale, da conferire
nelle discariche per inerti che sono le meno costose e pericolose.


Ma la raccolta differenziata ed il TMB non
movimentano immensi capitali come invece fanno i costosissimi
megainceneritori, per cui si continuerà ad incenerire avvelenando
l’aria ed il suolo.


Il TAV non
risolve alcun tipo di problema, poiché non risponde alle esigenze della
stragrande maggioranza dei viaggiatori e delle aziende che intendano
spedire le merci tramite ferrovia. L’alternativa al TAV consiste nel
potenziare il sistema ferroviario esistente, dotandolo dei sistemi di
sicurezza dei quali è in larga parte privo, raddoppiando i binari
laddove si viaggia ancora a binario unico, offrendo un servizio decente
ai pendolari che rappresentano l’80% dei viaggiatori, rinnovando il
materiale rotabile che versa in condizioni disastrose, investendo nel
personale che è quantitativamente insufficiente (in questo modo si
creerebbe anche quell’occupazione che il TAV non è in grado di offrire)
riorganizzando gli scali merci al fine di rendere efficiente e
competitivo il trasporto delle merci su ferro. Tutte operazioni
concrete che determinerebbero uno scarso impatto ambientale ed
investimenti contenuti se raffrontati a quelli dispensati per la
costruzione del TAV. Ma chi gestisce il potere preferisce una grande
opera che movimenti nelle proprie tasche altrettanto grandi capitali,
poco importa se l’ambiente ne uscirà devastato, i pendolari
continueranno a vivere la loro via crucis quotidiana, le merci
continueranno a transitare sui TIR e le ferrovie licenzieranno 10.000
lavoratori nei prossimi 3 anni.





Il MOSE si propone di risolvere il problema delle
acque alte nella laguna veneta, a fronte di un’opera del costo di 4
miliardi di euro che deturperà in modo irreversibile l’intero
ecosistema lagunare. Un gruppo di esperti nominato dal Comune di
Venezia ha presentato svariati progetti in grado di ridurre il fenomeno
delle alte maree attraverso operazioni reversibili e scarsamente
impattanti, a fronte d’investimenti economici molto più modesti. Ma i
potentati economici e finanziari non sono interessati agli investimenti
economicamente modesti.

Ogni grande opera ha delle alternative infinitamente meno costose, meno
impattanti e praticabili con successo nell’immediato, ma il vero
problema è costituito dal fatto che chi gestisce le scelte politiche ed
economiche è interessato alle grandi opere unicamente in funzione del
loro enorme costo e non praticherebbe mai strade alternative che
comportino inferiori investimenti monetari.



Nel libro sostieni che il fascino
delle grandi opere è anche e soprattutto psicologico: una vera e
propria fissazione della nostra epoca. Come si può spiegare questo
atteggiamento?



Viviamo in un’epoca in cui la grandezza
è assurta a sinonimo di bellezza, di modernità, di
progresso. Così come la quantità ha sostituito la qualità nel
determinare la valenza di qualsiasi cosa. Gli ipermercati hanno
soppiantato i negozi, le multisala i cinema, i grattacieli gli eleganti
palazzi cittadini. Nell’industria, come nella finanza, si sono
moltiplicate le fusioni e le incorporazioni finalizzate a costruire
gruppi industriali e finanziari sempre più grandi e potenti. Tutto ciò
che è piccolo ci viene presentato come brutto, anacronistico, superato.
Il culto del grande e della quantità è entrato a far parte della nostra
vita di tutti i giorni, quasi senza che ce ne rendessimo conto, ed oggi
condiziona gran parte delle nostre scelte. Compriamo televisori e
monitor per pc sempre più grandi, frigoriferi sempre più grandi,
automobili sempre più grandi, cucine e divani sempre più grandi, box
doccia sempre più spaziosi, armadi sempre più capienti per contenere
maggiori quantità di vestiti di bassa qualità, case e garage sempre più
grandi che ci permettano di stipare una quantità sempre maggiore di
cose sempre più grandi.

Le grandi opere si inseriscono in un contesto sociale che ama la
grandezza: il cittadino è stato manipolato psichicamente affinché
consideri la crescita dimensionale e quantitativa come il principale
indicatore di benessere e sviluppo. Attraverso questo meccanismo i
manipolatori sono riusciti a renderci felici di essere oggetto stesso
della loro manipolazione, costringendoci a diventare complici
entusiasti di un "progresso" che si rivela funzionale solamente ai loro
interessi.



In pratica ci ritroviamo ad ammirare plaudenti come bambini con lo
sguardo trasognato la costruzione di opere sempre più faraoniche e
costose, false dispensatrici di benessere e sviluppo, che vengono
finanziate attraverso il nostro denaro, mentre la qualità della nostra
vita continua a peggiorare, le opportunità di lavoro diminuiscono, i
salari si assottigliano, la precarietà dilaga sempre più.


 



Per saperne di più



Sotto la Manica: acqua da
tutte le parti



Spesso, quando si parla di grandi opere, sentiamo
nominare il project financing: ma che cos’è questo
sconosciuto? Il project financing è una grande
chimera d’importazione anglo-americana attraverso la quale uno Stato,
in mancanza del capitale necessario per la costruzione di un’opera
pubblica, delega un privato a farlo in sua vece, garantendogli il
ritorno del capitale investito e l’accumulo di utili attraverso la
gestione in concessione dell’opera. L’unico caso in cui il sistema del
project financing è stato effettivamente applicato per la costruzione
di una grande infrastruttura in Europa, è stata la realizzazione dell’Eurotunnel
sotto la Manica
: con effetti a dir poco disastrosi. una
società privata, Eurotunnel, ha provveduto a proprie spese alla
progettazione e costruzione di un’opera pubblica, confidando nel fatto
di potere successivamente rientrare del capitale investito ed
accumulare utili attraverso la gestione della stessa. La gestione
dell’opera si è rivelata in realtà fallimentare a causa della mancanza
dei volumi di traffico previsti: la società Eurotunnel, che non ha mai
chiuso un bilancio in attivo in 12 anni di gestione, è fallita e gli
azionisti hanno perso oltre il 90% del proprio capitale.




Per saperne di più



FIAT, ENI, IRI, Impresilo,
CMC: tutti a caccia di grandi opere



Attualmente in Italia sono moltissime le opere pubbliche
affidate ai general contractor, fra i quali spiccano FIAT, ENI, IRI,
Impregilo, e le "cooperative rosse", con in testa CMC, i Gruppi Gavio e
Astaldi. Il general contractor è un concessionario per la progettazione
e costruzione di un’opera, cui non compete la gestione della stessa. La
figura del general contractor fu introdotta in Italia dall’allora
Ministro Signorile attraverso la legge n.80 del 1987 che consentiva di
derogare dalle norme europee e di affidare i lavori alle imprese,
attraverso lo strumento della concessione di progettazione e
costruzione, e fu poi perfezionata attraverso la legge
Obiettivo del 2001
. Questa formula garantisce al
concessionario tutti i poteri del committente pubblico: nella gestione
dei subappalti, nella direzione dei lavori, negli espropri; ma lo
esenta (caso unico in Europa) dal peso della gestione diretta
dell’opera. Naturalmente il general contractor, non essendo impegnato
nella successiva gestione, non avrà alcun interesse nel procedere
speditamente nei lavori, ma al contrario tenterà di protrarli il più a
lungo possibile, al fine di fare lievitare al massimo la spesa. Inoltre
il general contractor, a differenza del concessionario tradizionale di
lavori o servizi pubblici, può affidare i lavori a chi vuole, anche con
trattativa privata. Inoltre, essendo esso stesso un privato, non
rischia di essere perseguito per corruzione, in quanto eventuali
tangenti possono essere giustificate sotto forma di provvigioni.




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