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  La verità e le versioni ufficiali nella storia italiana

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  •  Fabyan
      Fabyan
Re: La verità e le versioni ufficiali nella storia italiana
#171
Mi sento vacillare
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Moro, pg Roma: “Gravi indizi di concorso in omicidio su ex funzionario Usa”

Nella richiesta di archiviazione di un nuovo filone su via Fani, il procuratore generale Ciampoli chiama in causa Steve Pieczenik, consulente del Dipartimento di Stato e di Cossiga, che in un libro aveva già "confessato" il suo ruolo nello spingere le Br ad assassinare lo statista.
di F. Q. | 12 novembre 2014

Nei confronti dell’americano Steve Pieczenik, ex funzionario del Dipartimento di Stato Usa e “superconsulente” del governo italiano ai tempi del sequestro di Aldo Moro, vi sono “gravi indizi circa un suo concorso nell’omicidio” dello statista democristiano. Lo sostiene il procuratore generale della Corte d’appello di Roma Luigi Ciampoli che chiede alla procura di procedere. Non solo. Per Ciampoli a carico del cololonnello Camillo Gugliemi, già in servizio al Sismi, presente in via Fani la mattina del 16 marzo 1978 quando venne rapito Moro, “potrebbe ipotizzarsi” il concorso nel rapimento e nell’omicidio degli uomini della scorta, ma nei suoi confronti non si può promuovere l’azione penale perché è morto.

Proprio oggi lo stesso Ciampoli è stato audito dalla Commissione parlamentare d’inchiesta sul caso Moro e ha rilanciato: “Bisogna prendere atto che in via Fani, con la moto, non c’erano solo le Br. Questi hanno successivamente sminuito queste presenze non conosciute all’epoca. Oggi sappiamo che su quel palcoscenico c’erano, oltre alle Br, agenti dei servizi segreti stranieri, interessati a destabilizzare l’Italia”.

Il ruolo del funzionario americano
Le presunte responsabilità di Pieczenik vengono messe in luce dal procuratore generale Ciampoli nella richiesta di archiviazione, inoltrata al gip del tribunale di Roma, dell’inchiesta sulle rivelazioni dell’ex ispettore di polizia Enrico Rossi che aveva ipotizzato la presenza di agenti dei Servizi, a bordo di una moto Honda, in via Fani, a Roma, quando Moro fu rapito dalle Brigate Rosse. Il pg ha quindi disposto la trasmissione della richiesta di archiviazione – un documento di cento pagine – al procuratore della Repubblica di Roma “perché proceda nei confronti di Steve Pieczenik in ordine al reato di concorso nell’omicidio di Aldo Moro, commesso in Roma il 9 maggio 1978″.

La figura dell’esperto Usa – consulente dell’allora ministro dell’Interno Francesco Cossiga nel comitato di crisi istituto il 16 marzo 1978, giorno del rapimento di Moro e dell’uccisione degli uomini della scorta – è da molto tempo, e da molti, considerata “centrale” nella vicenda del sequestro e dell’omicidio del presidente della Dc. La procura generale di Roma sottolinea che “sono emersi indizi gravi circa un suo concorso nell’omicidio, fatto apparire, per atti concludenti, integranti ipotesi di istigazione, lo sbocco necessario e ineludibile, per le Br, dell’operazione militare attuata in via Fani, il 16 marzo 1978, ovvero, comunque, di rafforzamento del proposito criminoso, se già maturato dalle stesse Br”. L’ipotesi dunque è che Pieczenik abbia fatto in modo che le Brigate rosse si convincessero, maturassero o rafforzassero la propria idea che la conclusione “ineludibile” del rapimento del leader democristiano era la sua uccisione.

Riprende quota la pista internazionale, con i servizi, italiani e stranieri, che si inseriscono in un’operazione genuinamente pensata e condotta dalle Brigate rosse, per pilotarne l’esito finale verso la morte dell’uomo del compromesso storico. “Sicuramente su quella moto non c’erano – ha spiegato il procuratore generale Ciampoli in Commissione parlamentare – né ‘Peppo’ né ‘Peppa’, i due autonomi che invece sono presenti in altri episodi. Questo è un dato sicuro. Il problema della moto non inquadrata nelle forze Br rimane”.

Chi era Guglielmi
Anche lo 007 Guglielmi è presente in via Fani al momento del rapimento. Ufficiale del Sismi, il servizio segreto militare, addetto all’Ufficio “R” per il controllo e la sicurezza, anni dopo ai magistrati offrirà la sua versione: “Stavo andando a pranzo da un collega che abitava in via Stresa, a pochi passi dal luogo della strage”.

Fonte: http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/11/12/moro-pg-corte-dappello-gravi-indizi-concorso-in-omicidio-ex-funzionario-usa/1207080/
Inviato il: 12/11/2014 17:16
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  •  ivan
      ivan
Re: La verità e le versioni ufficiali nella storia italiana
#170
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Giusto.
Inviato il: 1/11/2014 18:20
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  •  Merio
      Merio
Re: La verità e le versioni ufficiali nella storia italiana
#169
Sono certo di non sapere
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L'importante è l'equilibrio.

Inviato il: 1/11/2014 14:02
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  •  ivan
      ivan
Re: La verità e le versioni ufficiali nella storia italiana
#168
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Uno , nessuno e centomila.
Inviato il: 1/11/2014 13:46
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  •  Merio
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Re: La verità e le versioni ufficiali nella storia italiana
#167
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Così è se ti pare.
Inviato il: 1/11/2014 13:39
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      ivan
Re: La verità e le versioni ufficiali nella storia italiana
#166
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Infatti la giustizia sociale non può essere soltanto principio correttivo di una logica di funzionamento informata esclusivamente dall’individualismo proprietario.
Ma sopratutto non si può restare prigionieri dei conservatorismi, bisogna smaltire le regole del gioco in modo innovativo e bisogna fare in modo di imbarcare i giovani andando controcorrente.
Questo perchè sia chiaro ai più che bisogna liberare gli intrecci anche a costo di scontentare chi non vuol cambiare.
Inviato il: 1/11/2014 0:51
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  •  Merio
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Re: La verità e le versioni ufficiali nella storia italiana
#165
Sono certo di non sapere
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Citazione:
Bisogna fidarsi dei governi quanto della società di cui essi sono l'immagine.


Con scappellamento a destra ?

O tarapia tapioco come se fosse antani ?
Inviato il: 29/10/2014 18:07
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  •  ohmygod
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Re: La verità e le versioni ufficiali nella storia italiana
#164
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Davvero
Inviato il: 29/10/2014 2:44
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Re: La verità e le versioni ufficiali nella storia italiana
#163
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Citazione:

ohmygod ha scritto:
ma pensa te.


Davvero.
Inviato il: 29/10/2014 2:41
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Re: La verità e le versioni ufficiali nella storia italiana
#162
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Bisogna fidarsi dei governi quanto della società di cui essi sono l'immagine .
Inviato il: 29/10/2014 2:40
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Re: La verità e le versioni ufficiali nella storia italiana
#161
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Bisogna fidarsi dei governi ?
Inviato il: 28/10/2014 23:11
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  •  ohmygod
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Re: La verità e le versioni ufficiali nella storia italiana
#160
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ma pensa te.
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Re: La verità e le versioni ufficiali nella storia italiana
#159
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Re: La verità e le versioni ufficiali nella storia italiana
#158
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Re: La verità e le versioni ufficiali nella storia italiana
#157
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Re: La verità e le versioni ufficiali nella storia italiana
#156
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  •  Fabyan
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Re: La verità e le versioni ufficiali nella storia italiana
#155
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Fonte: http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/04/09/dopo-23-anni-crolla-lennesimo-falso-mito-sul-moby-prince-il-salone-de-lux-non-era-la-muster-room/930110/

Moby Prince: su internet verbali, audio e video: “Così chiunque può capire”

L'intera documentazione sulla tragedia del 1991 su www.mobyprince.it: "Vogliamo proseguire nel nostro obiettivo di comprendere perché da cittadini, dopo 23 anni di indagini, con tutte le prescrizioni, interventi di legge, questa vicenda debba in nome del popolo italiano, riemergere e trovare la verità"

Moby Prince: su internet verbali, audio e video: “Così chiunque può capire”
L'intera documentazione sulla tragedia del 1991 su www.mobyprince.it: "Vogliamo proseguire nel nostro obiettivo di comprendere perché da cittadini, dopo 23 anni di indagini, con tutte le prescrizioni, interventi di legge, questa vicenda debba in nome del popolo italiano, riemergere e trovare la verità"
di Redazione Il Fatto Quotidiano | 9 aprile 2014
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Moby Prince: su internet verbali, audio e video: “Così chiunque può capire”

Più informazioni su: Livorno, Moby Prince.

Le carte, gli audio, i video. Tutto in un sito internet – gestito da una delle associazioni dei familiari, 10 aprile – che racconta l’intera storia della tragedia del Moby Prince con il materiale a disposizione, tutto depositato nei tribunali che si sono occupati del disastro. Per una vicenda che in questi 23 anni ha dovuto fare spesso i conti con una memoria distratta, un’attenzione flebile e un atteggiamento di sufficienza, diventa centrale rimettere in testa a tutto i documenti, lo strumento più efficace contro dicerie e false sicurezze come quella invenzione infamante che a poco a poco è diventata patrimonio diffuso: “La tragedia è avvenuta perché sul Moby guardavano la partita della Juve”.[...]

Fonte: http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/04/09/dopo-23-anni-crolla-lennesimo-falso-mito-sul-moby-prince-il-salone-de-lux-non-era-la-muster-room/930110/
Inviato il: 9/4/2014 15:09
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Re: La verità e le versioni ufficiali nella storia italiana
#154
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ieri ascoltano il discorso di renzi ho notatato che ha voluto citare prima Aldo Moro e poi subito dopo Giorgio La Pira.

ai piu' smaliziati l'accostamento di quei due nomi ha ricordato qualcosa.

quando romano prodi insieme ad altri fece la famosa seduta spiritica in cui venne fuori il nome gradoli.
stiamo ovviamente parlando in riferimento al rapimento moro.
come risulterà dal verbale, gli spiriti di Don Sturzo e La Pira,avrebbe indicato “Gradoli” come luogo in cui era tenuto prigioniero Aldo Moro.

Citazione:
ANTEFATTO: Il 3 aprile 1978, nel corso di una seduta spiritica a cui partecipa il futuro presidente dell’Iri, Romano Prodi, una “entità” [nella fattispecie, e come risulterà dal verbale, gli spiriti di Don Sturzo e La Pira, n.d.r] avrebbe indicato “Gradoli” come luogo in cui era tenuto prigioniero Aldo Moro.
Sulla base della segnalazione dall’aldilà, il 6 aprile viene organizzata una perlustrazione a Gradoli, un paesino in provincia di Viterbo. Al ministero dell’Interno, che aveva in precedenza ricevuto la segnalazione su via Gradoli, nessuno mette in collegamento le due cose. E’ la moglie di Moro, Eleonora, a chiedere se non potrebbe trattarsi di una via di Roma. Cossiga in persona, secondo la testimonianza resa in commissione da Agnese Moro, risponde di no. In realtà via Gradoli esiste, e sta sulle pagine gialle.
In seguito alla seduta il professor Prodi si reca a Roma – solo due giorni dopo, il 4 aprile -, per trasmettere l’indicazione ad Umberto Cavina, capo ufficio stampa dell’on. Benigno Zaccagnini.


e con tutto il parlare che si è fatto di romani prodi al quirinale in questi giorni e in aggiunta il ritorno della falange armata con quella strana lettera

Citazione:
Falange Armata: ‘Riina chiudi la bocca’. Dopo 20 anni ricompare la sigla del terrore
Per quattro anni ha rivendicato ogni singola operazione criminale andata in scena tra Milano e la Sicilia. "Chiudi quella maledetta bocca – è scritto nella lettera indirizzata a Riina e mai pervenuta al boss – ricorda che i tuoi familiari sono liberi. Per il resto ci pensiamo noi". Già 20 anni fa, si era prospettata la presenza dei servizi dietro le operazioni dei falangisti


sta succedendo qualcosa?


ps:secondo franceschetti quel nome gradoli si riferiva al grado51 della massoneria,la aggiungo come curiosita'

http://www.macchianera.net/2006/02/01/il-caso-moro-romano-prodi-via-gradoli-e-la-seduta-spiritica/
http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/02/24/mafia-lettera-di-falange-armata-a-riina-chiudi-quella-maledetta-bocca/892181/
Inviato il: 26/2/2014 16:34
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  •  gronda85
      gronda85
Re: La verità e le versioni ufficiali nella storia italiana
#153
Dubito ormai di tutto
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" si impicca alla maniglia della porta del bagno"

se la legge franceschetti, viene
Inviato il: 26/2/2014 10:26
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  •  ivan
      ivan
Re: La verità e le versioni ufficiali nella storia italiana
#152
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Inviato il: 25/2/2014 2:45
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Re: La verità e le versioni ufficiali nella storia italiana
#151
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Citazione:
il CLN voleva Mussolini vivo e i partigiani sul posto temevano fosse poi liberato.

mi sa che ti stai confondendo toussant,oppure stiamo facendo confusione entrambi

Citazione:
La situazione era questa: quelli del CLN (Comitato di Liberazione Nazionale, ndr) di Como erano più terrorizzati che onorati della cattura di Mussolini. Sollevavano ogni possibile eccezione per non guidare Lampredi e Valerio dove si trovava Mussolini. Si capiva che era giunto qualche agente americano per fare valere particolari diritti sulla persona di Mussolini. Valerio chiedeva istruzioni. La risposta che diedi fu semplice: <O fate fuori lui o sarete fatti fuori voi>. Non ci fu, conclude Longo, bisogno di altro. <Sentii sbattere il ricevitore sull’apparecchio telefonico e mi immaginai il colonnello Valerio filare dritto, dritto, senza più esitazione alcuna per la missione cui era stato comandato>”.

il CLN voleva si mussolini vivo ma per ucciderlo(che poi era anche del CLN chi lo catturo')non per consegnarlo,i partigiani sul posto (secondo la versione di audisio)al contrario avevano paura di ucciderlo perchè saputo che gli alleati lo volevano

Citazione:
La decisione era già stata presa dal Comando generale del CVL in uno scambio di opinioni avvenuto all’inizio dell’insurrezione

i CLN all'inizio dell'insurrezione aveva gia' deciso nel caso fose stato catturato l'uccisione di mussolini

io sapevo che poi il CLN si difese con gli alleati dicendo che mussolini era stato fucilato(dai partigiani che lo catturarono agendo di testa loro) appena catturato e non avevano potuto far niente per consegnarlo

Citazione:
e dunque che gli Alleati volessero Mussolini può voler dire che volevano assicurarsi non parlasse del suo rapporto con Churchill e in questo senso la cosa più pericolosa per loro sarebbe stato un processo al fascismo, processo al fascismo che invece avrebbe significato il rafforzamento dell'odio popolare verso i gerarchi e probabilmente l'eliminazione definitiva di questi personaggi dalla vita del paese.
Invece l'oblio ne favorì l'infame amnistia da parte di Togliatti e il riciclaggio come agenti della CIA nella strategia dellla tensione.
tornando all'esecuzione, gli Alleati rendendosi conto successivamente di non poter comunque arrivare a farsi consegnare Mussolini, potrebbero aver deciso di metterlo a tacere comunque con un'esecuzione sul posto per tramite di uno dei numerosi infiltrati che avevano tra i partigiani.

e anche vero questo
Citazione:
Come ebbe a scrivere Churchill nelle sue memorie, "l'uccisione di Mussolini ci risparmiò una Norimberga italiana".



Citazione:
ma questa storia potrebbe avere una diversa lettura, perchè 'sta storia del carteggio Mussolini/Churchil è reale.



sicuramente interessante,non capisco pero' perchè dovrebbe dare una lettura diversa alla morte di mussolini

Citazione:
ricapitolando, abbiamo partigiani comunisti che si vendono per quattro soldi, che fanno favori alla famiglia reale e che collaborano con i servizi inglesi e americani, ossia del nemico capitalista (del resto, Ferrara era un agente CIA, come suo padre e tutti i miglioristi, del resto).
e De Gasperi che ordina il bombardamento di San Lorenzo.
direi, una perfetta fotografia del compromesso storico ante litteram che è arrivato fino ai giorni nostri, quel compromesso storico di cui fu cantore proprio quel Guareschi querelato da De Gasperi, con la saga di Peppone e Don Camillo, dove il rivoluzionario anticonformista era il prete e il bigotto conservatore e baciapile era in realtà il baffone stalinista...


quoto in pieno
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  •  toussaint
      toussaint
Re: La verità e le versioni ufficiali nella storia italiana
#150
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ricapitolando, abbiamo partigiani comunisti che si vendono per quattro soldi, che fanno favori alla famiglia reale e che collaborano con i servizi inglesi e americani, ossia del nemico capitalista (del resto, Ferrara era un agente CIA, come suo padre e tutti i miglioristi, del resto).
e De Gasperi che ordina il bombardamento di San Lorenzo.
direi, una perfetta fotografia del compromesso storico ante litteram che è arrivato fino ai giorni nostri, quel compromesso storico di cui fu cantore proprio quel Guareschi querelato da De Gasperi, con la saga di Peppone e Don Camillo, dove il rivoluzionario anticonformista era il prete e il bigotto conservatore e baciapile era in realtà il baffone stalinista...



edit: quel compromesso storico che ha distrutto l'afflato rivoluzionario della mia generazione...
Inviato il: 13/11/2013 17:42
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  •  toussaint
      toussaint
Re: La verità e le versioni ufficiali nella storia italiana
#149
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Carteggio Churchill-Mussolini Da Wikipedia

25 aprile 1945: Mussolini abbandona la prefettura di Milano, portando con sé due borse contenenti i documenti del CarteggioCon l'espressione carteggio Churchill-Mussolini ci si riferisce comunemente ad una serie di documenti, concernenti la corrispondenza intrattenuta dal Primo Ministro italiano Benito Mussolini con il Primo Ministro britannico Sir Winston Churchill, con particolare riferimento al periodo della seconda guerra mondiale, che il capo del fascismo aveva avuto cura di portare con sé all'atto di lasciare Milano il 25 aprile 1945, e che custodiva personalmente al momento della cattura.

Nell’immediato dopoguerra, Churchill e i servizi segreti britannici, si mossero con successo per recuperare gli originali e gran parte delle copie del carteggio[1]. Pertanto, poiché tale documentazione è ancora inaccessibile agli storici o è andata distrutta, è azzardato definirne il contenuto, pur essendone state formulate numerose ipotesi e ricostruzioni.

All'interesse dei servizi segreti britannici per tali documenti si ricollega la versione sull'uccisione del capo del fascismo di cui al memoriale dell’ex comandante della divisione partigiana formata dalla 111ª, 112ª e 113ª Brigata Garibaldi, Bruno Giovanni Lonati “Giacomo”[2] e comunemente definita come la "pista inglese".

Indice
1 La vicenda
2 Il carteggio in mani britanniche
3 Fotoriproduzioni precedenti alla cattura di Mussolini
4 Note
5 Bibliografia
6 Voci correlate
7 Collegamenti esterni

La vicenda
In una delle borse contenenti i documenti del Carteggio vi era anche un dossier sulla vita sessuale del principe Umberto di Savoia

Il 27 aprile 1945, al momento della sua cattura, Benito Mussolini aveva con sé due borse piene di documenti contenenti, tra l'altro - secondo le testimonianze di coloro che hanno dichiarato di averle ispezionate in quei giorni (partigiani, funzionari etc.) - parte della sua corrispondenza con Churchill[3][4], ma di cui - al momento - non fu accertata né la datazione, né l'esatto contenuto. Le due borse, di cui una temporaneamente affidata dall'ex-duce al colonnello Vito Casalinuovo, proprio al momento dell'arresto, furono subito requisite dai partigiani della 52ª Brigata Garibaldi "Luigi Clerici" e ne fu fatta una sommaria ispezione.

In particolare, la borsa ancora nelle mani di Mussolini era a quattro scomparti, e conteneva cartelle con trecentocinquanta documenti riservatissimi; un milione e settecentomila lire in assegni e centossessanta sterline d'oro[5]. Le cartelle erano marcate: “Mussolini. Segreto”; una di esse conteneva – appunto – il carteggio riguardante Churchill e un’altra i rapporti dei servizi segreti sulla vita sessuale dell’erede al trono Umberto[3]. Anche l’altra borsa conteneva parte del carteggio con Churchill; entrambe pesavano – piene – 4,8 chilogrammi, l’una, e 5,4, l’altra[6].

Quella stessa sera le borse furono messe in due sacchi di tela e depositate presso la filiale della Cassa di Risparmio delle Provincie Lombarde di Domaso dal partigiano Urbano Lazzaro "Bill", accompagnato dal collaboratore ed interprete svizzero Alois Hofman, e dal partigiano Stefano Tunesi[5]. Successivamente i due sacchi furono affidati al parroco di Gera Lario, don Franco Gusmeroli, che li nascose nella cripta della chiesa. Infine, i due sacchi pervennero al comando del CVL di Como[6], privi, peraltro, del fascicolo relativo al principe Umberto, che ”Pedro” Bellini delle Stelle, il comandante della 52ª Brigata, aveva curato di far pervenire all’interessato[7].

Il 4 maggio 1945 tutto il materiale, a cui erano stati uniti altri documenti di Mussolini provenienti da una terza borsa sequestrata a Marcello Petacci[8] e consegnati da Aldo Lampredi al comando comasco, furono esaminati da una commissione formata, tra l’altro, dal segretario della Federazione comunista locale, Dante Gorreri e dal nuovo prefetto di Como, Virginio Bertinelli[9]. Il carteggio constava di 62 lettere, di cui 31 a firma Churchill e 31 a firma Mussolini[10].

Dopo la visione degli stessi, fu commissionata la fotoriproduzione di tutti i documenti alla Fototecnica Ballarate di Como, che ne effettuò alcune copie, di cui l’originale rimase in possesso di Dante Gorreri, una copia fu consegnata a Bertinelli – che la nascose all’interno di un "cavallo con maniglie" di una palestra di Como[9] - e un’altra fu riposta nella cassaforte della federazione comunista[11].

Il carteggio in mani britanniche
Dante Gorreri, segretario della Federazione comunista di Como: consegnò gli originali del carteggio ai Servizi segreti britannici

Il 2 settembre 1945, a nemmeno due mesi dalla conclusione della guerra in Europa, dopo aver perso le elezioni nazionali e non più primo ministro, Winston Churchill si reco' sul lago di Como, a trascorrere una breve vacanza nella Villa Apraxin di Moltrasio, dietro il falso nome di colonnello Waltham[10]. L'ex premier britannico si recò nella sede del comando della 52ª Brigata Garibaldi e poi incontrò il direttore della filiale CARIPLO di Domaso, che per alcune ore aveva custodito le borse contenenti il carteggio; infine, fece contattare Dante Gorreri dal capitano dei servizi segreti britannici Malcolm Smith.

Il 15 settembre 1945, nella trattoria "La pergola" di Como, Dante Gorreri consegnò gli originali delle 62 lettere del carteggio Churchill-Mussolini al capitano Smith, in cambio della somma di due milioni e mezzo di lire in contanti[10]. Le copie del carteggio in possesso del prefetto Virginio Bertinelli erano già state recuperate dal capitano inglese, il precedente 22 maggio[9].

La copia del carteggio riposta nella cassaforte della federazione comunista fu trafugata nel 1946 da Luigi Carissimi Priori, ex capo dell’ufficio politico della questura di Como. In un’intervista rilasciata nel 1998 al giornalista Roberto Festorazzi[12], Carissimi Priori dichiarò di aver consegnato il plico contenente le 62 lettere al presidente del Consiglio Alcide De Gasperi, resistendo ad un'offerta di 100.000 sterline di alcuni agenti segreti inglesi. De Gasperi avrebbe trasferito l’intero carteggio in una cassetta di sicurezza in Svizzera; alla scadenza del contratto, l’intero contenuto del deposito, in accordo con la legislazione svizzera in materia di desecretazione dei documenti storici, sarà riversato nell'Archivio storico confederale[11]. Carissimi Priori ha comunque dichiarato di aver preso sommariamente visione del carteggio, prima di consegnarlo allo statista trentino, e lo ha riferito al periodo anteriore all’ingresso in guerra dell’Italia (giugno 1940); la documentazione avrebbe riguardato le offerte fatte da Churchill per il mantenimento della non belligeranza: Tunisia, Dalmazia, nizzardo, e la conferma di tutte le colonie in contestazione (Etiopia, Dodecaneso)[13].

In contrasto con quanto sostenuto da Carissimi Priori, Pietro Carradori, ex autista del duce, ha testimoniato che almeno due contatti segreti tra Mussolini ed emissari britannici erano avvenuti a Porto Ceresio (CO), presso il confine svizzero, il 21 settembre 1944 e il 21 gennaio 1945[14][15].

29 aprile 1945. Sebbene i documenti siano stati dichiarati recuperati, due aerei "picchiatelli" (Stukas italiani) bombardarono la zona 24 ore dopo la morte di Mussolini. Le trasmissioni radiofoniche italiane, britanniche e statunitensi trasmisero per mesi una canzone contenente la chiave per sconosciute informazioni. Le testimonianze di questa Sciarada sono contenute nel volume "BISABOSA" di Alvaro Picchi - Feltrinelli.

Fotoriproduzioni precedenti alla cattura di Mussolini
Carlo Alberto Biggini, affidatario di una copia dei documenti segreti di Mussolini comprendente, presumibilmente, anche il Carteggio

I documenti contenuti nelle borse sequestrate a Mussolini e a Petacci dai partigiani della 52ª Brigata, erano originariamente conservati nell’archivio personale del duce a Gargnano, da cui il 18 aprile 1945, Mussolini medesimo ne aveva selezionati i più importanti, prima di trasferirsi a Milano. In precedenza, il capo del fascismo aveva già curato la fotoriproduzione in più copie di alcuni atti e missive particolarmente importanti, da distribuire ad elementi di cui riponeva la massima fiducia.

Tali copie risultano essere state consegnate:

1) Al Ministro dell’Educazione Nazionale della Repubblica Sociale Italiana Carlo Alberto Biggini; concernenti, in particolare, dei documenti contenuti in una cartella di marocchino rosso e la copia di un’agenda (diario) con appunti di Mussolini stesso[16]. Alla caduta della Repubblica Sociale Italiana, Biggini fu costretto a rifugiarsi in convento, lasciando la cartellina rossa sulla sua scrivania, ma portando con sé l’agenda del duce. Della cartellina non si è avuto più notizia, mentre l’agenda fu lasciata da Biggini in convento, al momento del suo urgente ricovero nella casa di cura dove morrà sotto falso nome, il 19 novembre 1945[16].

2) All’ambasciatore giapponese Shinrokuro Hidaka, che se li portò con sé al momento di riparare in Svizzera. Tali documenti – a detta di Hidaka – furono distrutti al momento della resa del Giappone, secondo il regolamento diplomatico giapponese [17][18][19].

3) Alla moglie Rachele, che tenterà invano di espatriare in Svizzera, con i due figli minori e due casse di documenti, nella notte tra il 26 e il 27 aprile 1945[16]. Respinta alla frontiera di Cernobbio, Rachele Guidi e i suoi figli furono alloggiati nella Villa Mantero di Como, nel cui giardino fece seppellire la borsa consegnatale dal marito; alcuni giorni dopo, i partigiani disseppelliranno tale borsa e la riporranno nella cassaforte della caserma dei Vigili del Fuoco di Como. All’indomani della liberazione, il citato agente britannico Malcolm Smith aveva requisito la Villa Apraxin di Moltrasio (ove successivamente alloggerà Winston Churchill), il cui proprietario, Guido Donegani, era stato incarcerato per i suoi stretti rapporti con l’ex duce. Donegani si impegnò con l’agente britannico a fargli recuperare la borsa in cambio della sua scarcerazione e, il 31 agosto 1945, riuscì nell'intento[10].

4) A un personaggio tuttora non identificato. La borsa contenente copia dell’epistolario e del fascicolo sulla vita sessuale del principe Umberto, fu rinvenuta dall’agente segreto italiano Aristide Tabasso nel marzo del 1946. Tabasso ne fece un’ulteriore copia per il Counter Intelligence Corps, con il quale collaborava, e consegnò la copia originale al luogotenente del regno, da cui fu nominato Commendatore della Corona d’Italia[20][21].

Winston Churchill5) A un presunto ebreo svizzero di Lugano, tramite il sottotenente della Guardia nazionale repubblicana Enrico De Toma ed a seguito di ordini impartiti da Mussolini in persona. Si tratterebbe di centosessanta lettere in parte a firma Churchill e in parte, in “brutta copia”, a firma Mussolini; documenti politici e militari; accordi segreti con il Regno Unito, per il riconoscimento della R.S.I. e la cessione all’Italia di parte delle colonie francesi. È il caso più dubbio e contestato.

De Toma, infatti, asserirà che nessuno si sia presentato all’appuntamento di Lugano e che i suoi contatti con i nuovi governi democratici per la riconsegna del carteggio si sarebbero rivelati infruttuosi. Una parte dei documenti furono così ceduti da De Toma al Corriere Lombardo e poi al Candido di Giovanni Guareschi per essere pubblicati: tra di essi anche una falsa nota (secondo l'avv. Giuliani Balestrino era genuina, questo spiegherebbe perché, contrariamente alle sue abitudini, De Gasperi lo querelò) datata 1944 di Alcide De Gasperi, all'epoca rifugiato in Vaticano, che avrebbe chiesto agli Alleati anglo-americani di bombardare la periferia della città di Roma, allo scopo di demoralizzare i collaborazionisti dei tedeschi. Querelato dal Presidente del Consiglio, Guareschi sarà condannato nel 1954 e, rifiutando di firmare una richiesta di grazia, incarcerato per diffamazione a mezzo stampa. Tutto il "carteggio De Toma" sarà poi distrutto per ordine della magistratura[22][23].

Tuttavia, il testo delle intercettazioni telefoniche effettuate dai servizi segreti tedeschi a Salò, sulle conversazioni di Mussolini[24], confermano l'esistenza di tentativi segreti di accordo e lo scambio di lettere tra il dittatore italiano e il Primo ministro inglese Winston Churchill, anche nel periodo successivo all’entrata in guerra dell’Italia.

Note[modifica | modifica sorgente]^ Peter Tompkins, Dalle carte segrete del Duce, Tropea, Milano, 2001, pagg. 351 e succ.ve
^ Bruno Giovanni Lonati, Quel 28 aprile, Mussolini e Claretta: la verità, Mursia, Milano, 1994
^ a b Peter Tompkins, cit., pag. 352
^ Luciano Garibaldi, La pista inglese. Chi uccise Mussolini e la Petacci? , Ares, 2002, pagg. 89 e succ.ve
^ a b Alessandro Zanella,L'ora di Dongo, Rusconi, Milano, 1993, pag 378.
^ a b Peter Tompkins, cit., pagg. 353
^ L’Unità ammette l’esistenza dei dossier
^ Marcello Petacci, fratello dell'amante di Mussolini, Claretta, seguiva il convoglio dei fuggitivi con la propria vettura e fu anch'egli catturato dai partigiani il 27 aprile 1945.
^ a b c Peter Tompkins, cit., pagg. 354
^ a b c d Peter Tompkins, cit., pagg. 356-57
^ a b In Svizzera il carteggio
^ Cfr. Roberto Festorazzi, Churchill-Mussolini, le carte segrete. La straordinaria vicenda dell'uomo che ha salvato l'epistolario più scottante del ventesimo secolo, Datanews, Milano, 1998
^ Luciano Garibaldi, cit., pagg. 74-77
^ Peter Tompkins, cit., pag. 317
^ Luciano Garibaldi, cit., pagg. 84 e succ.ve
^ a b c Pierluigi Baima Bollone, Le ultime ore di Mussolini, Mondadori, Milano, 2009, pag. 175
^ Pierluigi Baima Bollone, cit., pag. 176
^ Peter Tompkins, cit., pag. 359
^ Luciano Garibaldi, cit., pagg. 89-91
^ Peter Tompkins, cit., pagg. 364-65
^ Corriere della Sera del 28 gennaio 1996
^ Pierluigi Baima Bollone, cit., pagg. 171-74
^ Peter Tompkins, cit., pagg. 359-64
^ Documenti pubblicati in: Ricciotti Lazzero, Il sacco d'Italia. Razzie e stragi tedesche nella Repubblica di Salò, Mondadori, Milano, 1994, e in parte in: Luciano Garibaldi, cit., pagg. 68 e succ.ve
Bibliografia[modifica | modifica sorgente]Fabio Andriola, Appuntamento sul lago. L’ultimo piano di Benito Mussolini, Milano, SugarCo, 1990.
Fabio Andriola, Carteggio segreto Churchill-Mussolini, Milano, SugarCo, 2007. ISBN 978-88-7198-528-2.
Franco Bandini, Le ultime 95 ore di Mussolini, Milano, Mondadori, 1971.
Dino Campini, Mussolini, Churchill: i carteggi, Milano, Italpress, 1952.
Roberto Festorazzi, Churchill-Mussolini, le carte segrete. La straordinaria vicenda dell'uomo che ha salvato l'epistolario più scottante del ventesimo secolo, Milano, Datanews, 1998. ISBN 88-7981-119-3.
Luciano Garibaldi, La pista inglese. Chi uccise Mussolini e la Petacci?, Ares, 2002. ISBN 88-8155-238-8.
Ricciotti Lazzero, Il sacco d'Italia. Razzie e stragi tedesche nella Repubblica di Salò, Mondadori, 1994. ISBN 88-04-35973-0.
Bruno Giovanni Lonati, Quel 28 aprile, Mussolini e Claretta: la verità, Milano, Mursia, 1994. ISBN 88-425-1761-5.
Arrigo Petacco, Dear Benito, caro Winston. Verità e misteri del carteggio Churchill-Mussolini, Milano, Mondadori, 1985.
Peter Tompkins, Dalle carte segrete del Duce, Milano, Tropea, 2001. ISBN 88-04-45696-5.
Alessandro Zanella, L'ora di Dongo, Milano, Rusconi, 1993. ISBN 88-18-12113-8.
Angelo Paratico, BEN, Milano, Mursia, 2010.
Ubaldo Giuliani Balestrino, Il Carteggio Churchill-Mussolini alla luce del processo Guareschi, Settimo Sigillo, 2010.
Alvaro Picchi, "BISABOSA" - CAPITOLO TESTIMONIANZE DELLA "SCIARADA - LA SCOMPARSA DEI CARTEGGI DI MUSSOLINI", FELTRINELLI.
Inviato il: 13/11/2013 17:28
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  •  toussaint
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Re: La verità e le versioni ufficiali nella storia italiana
#148
Sono certo di non sapere
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black, guarda che c'è scritto in quello che hai postato.
il CLN voleva Mussolini vivo e i partigiani sul posto temevano fosse poi liberato.
ma questa storia potrebbe avere una diversa lettura, perchè 'sta storia del carteggio Mussolini/Churchil è reale.
e allora, qualcuno potrebbe aver fatto il doppio, triplo gioco.
e dunque che gli Alleati volessero Mussolini può voler dire che volevano assicurarsi non parlasse del suo rapporto con Churchill e in questo senso la cosa più pericolosa per loro sarebbe stato un processo al fascismo, processo al fascismo che invece avrebbe significato il rafforzamento dell'odio popolare verso i gerarchi e probabilmente l'eliminazione definitiva di questi personaggi dalla vita del paese.
Invece l'oblio ne favorì l'infame amnistia da parte di Togliatti e il riciclaggio come agenti della CIA nella strategia dellla tensione.
tornando all'esecuzione, gli Alleati rendendosi conto successivamente di non poter comunque arrivare a farsi consegnare Mussolini, potrebbero aver deciso di metterlo a tacere comunque con un'esecuzione sul posto per tramite di uno dei numerosi infiltrati che avevano tra i partigiani.
Inviato il: 13/11/2013 17:23
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Re: La verità e le versioni ufficiali nella storia italiana
#147
Mi sento vacillare
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Citazione:
la cosa strana è che il CLN aveva stabilito che Mussolini dovesse essere processato, così che il processo divenisse un atto d'accusa contro il fascismo in sè e dunque chi sparò contravvenne palesemente a quell'ordine


io sapevo un'altra versione che è quella dichiarata da longo e pertini,nessun processo omicidio immediato:

Citazione:
Altrettanto noti sono i particolari della fucilazione del Duce e della Petacci in località Giulino di Mezzegra (Como) su ordine del CLNAI (Comitato Nazionale per la Liberazione dell’Alta Italia, ndr). La decisione era già stata presa dal Comando generale del CVL in uno scambio di opinioni avvenuto all’inizio dell’insurrezione, sulla sorte da riservare a Mussolini nel caso fosse stato catturato dai partigiani. <Lo si deve accoppare subito, in malo modo, senza processo, senza teatralità, senza frasi storiche> fu la proposta di Luigi Longo che aggiunse: <E’ da tempo che il popolo italiano ha pronunciato la sentenza, non si tratta che di eseguirla>. Gli altri membri del comando furono tutti concordi”.



vi lascio qui la citazione completa:

Citazione:
Ma veniamo ai drammatici giorni dell’aprile 1945 (25-30) che hanno caratterizzato la fine della guerra di librazione combattuta per liberare l’Italia dalla tirannide nazifascista. Sul Web (www.resistenze.org. I siti Internet citati sono reperibili per via telematica) si legge: “Alle ore 20,30 del 27 al Comando generale del CVL (Corpo Volontari della Libertà, ndr) perviene dalla 52a Brigata Garibaldi (Luigi Clerici) il messaggio: <Mussolini, Pavolini, Bombacci sono stati arrestati. Seguiranno altre notizie>. Queste arrivano due ore dopo con i nominativi dei catturati. Sono noti i particolari dell’arresto di Mussolini e della sua banda. Un distaccamento di garibaldini in missione per andare a cercare qualche pacco di sigari trova invece... Mussolini. Le vie del tabacco, come quelle del Signore, sono veramente infinite. Altrettanto noti sono i particolari della fucilazione del Duce e della Petacci in località Giulino di Mezzegra (Como) su ordine del CLNAI (Comitato Nazionale per la Liberazione dell’Alta Italia, ndr). La decisione era già stata presa dal Comando generale del CVL in uno scambio di opinioni avvenuto all’inizio dell’insurrezione, sulla sorte da riservare a Mussolini nel caso fosse stato catturato dai partigiani. <Lo si deve accoppare subito, in malo modo, senza processo, senza teatralità, senza frasi storiche> fu la proposta di Luigi Longo che aggiunse: <E’ da tempo che il popolo italiano ha pronunciato la sentenza, non si tratta che di eseguirla>. Gli altri membri del comando furono tutti concordi”.

“Tuttavia l’esecuzione della sentenza non fu facile perché ci fu chi cercò di mettere il proverbiale bastone tra le ruote. Appena giunta al comando del CVL la notizia della cattura di Mussolini vengono immediatamente inviati il colonnello Valerio (Walter Audisio) e Aldo Lampredi (Guido) con un plotone di garibaldini dell’Oltrepò pavese appena giunti a Milano; il plotone ha l’ordine di fare giustizia. All’indomani mattina racconta Luigi Longo, <mentre mi trovavo al comando fui chiamato al telefono da Como. Era Valerio che voleva informarmi della situazione. Un vociare, un intrecciarsi di strida, risuonavano nella stanza da cui Valerio telefonava. Ad un tratto sento Valerio gridare come un ossesso: <Fuori di qui altrimenti vi faccio fuori io>. La situazione era questa: quelli del CLN (Comitato di Liberazione Nazionale, ndr) di Como erano più terrorizzati che onorati della cattura di Mussolini. Sollevavano ogni possibile eccezione per non guidare Lampredi e Valerio dove si trovava Mussolini. Si capiva che era giunto qualche agente americano per fare valere particolari diritti sulla persona di Mussolini. Valerio chiedeva istruzioni. La risposta che diedi fu semplice: <O fate fuori lui o sarete fatti fuori voi>. Non ci fu, conclude Longo, bisogno di altro. <Sentii sbattere il ricevitore sull’apparecchio telefonico e mi immaginai il colonnello Valerio filare dritto, dritto, senza più esitazione alcuna per la missione cui era stato comandato>”.



“Il quartier generale alleato immediatamente informato della cattura di Mussolini, al mattino del 28 fa pervenire al CLNAI due pressanti messaggi; il primo dice: <Per CLNAI stop Comando alleato desidera immediatamente informazioni su presunta locazione Mussolini dico Mussolini stop Se est stato catturato si ordina egli venga trattenuto per immediata consegna at comando alleato stop Si richiede che voi portiate queste informazioni subito et notifichiate formazioni partigiane che avrebbero effettuato cattura del suddetto ordine che riceve assoluta precedenza>. Due ore dopo arriva il secondo messaggio: <Per CLNAI dico CLNAI stop XV gruppo d’armate desidera portare Mussolini et Graziani dico Mussolini et Graziani at sede comando alleato stop Se voi siete disposti a rilasciarli est possibile inviare quadrimotore per prelievo>. Gli alleati non avevano mai avuto così grande fretta nelle loro operazioni, ma gli italiani avevano più fretta di loro. Nel momento in cui incalzano con i loro messaggi, giustizia è già stata fatta. Ed è importante sia stata fatta dagli italiani in nome del popolo italiano” (a quei due radiomessaggi, provenienti dal comando interalleato di Siena, il CVL rispose che Mussolini era già stato fucilato a Milano nello stesso luogo dov’erano stati massacrati, l’anno prima, quindici patrioti antifascisti, ndr).


c'è poi la versione del partigiano bill

Citazione:
La lettura delle righe soprascritte ci permettono di affermare che Luigi Longo, la mattina del 28 aprile del 1945, era a Milano nella sede del comando del CVL. Molti Autori, invece, dicono che quella telefonata è stata una bufala inventata da Longo per mascherare una ben altra verità. Per loro Longo sarebbe partito di volata dopo l’Audisio e si sarebbe recato a Bonzanigo dove avrebbe fucilato di persona sia il Duce che Claretta Petacci (F. Bandini. Vita e morte segreta di Mussolini. Mondadori, 1978; U. Lazzaro. Dongo. Mezzo secolo di Vergogne. Mondadori, 1997; L. Garibaldi. La pista inglese. Ares, 2002; P. Tompkins. Dalle carte segrete del Duce. Il Saggiatore, 2004; G. Pisanò. Gli ultimi cinque secondi di Mussolini. Il Saggiatore, 2004; P. Maccarini. Claretta e Ben. La fine. Edizioni Guardamagna, 2005). Riportiamo, ad esempio, la seguente notizia telematica (it.altermedia.info): “E’ morto ieri sera, nell’ospedale di Vercelli dove era da qualche giorno ricoverato, Urbano Lazzaro (Bill), il partigiano della 52° Brigata Garibaldi che il 28 aprile 1945, a Dongo, arrestò Benito Mussolini. Il Duce, indossato un cappotto tedesco, si era nascosto su un camion della colonna e stava tentando l’espatrio in Svizzera (affermazione ormai seza significato perché provatamente non vera, ndr). Il Lazzaro scrisse anche un libro su Mussolini, a quattro mani con Pier Bellini delle Stelle (Pedro, ndr), comandante della brigata garibaldina in cui militava. Nel saggio sosteneva che a fucilare Mussolini non sarebbe stato il colonnello Valerio, bensì Luigi Longo, smentendo così una fotografia pubblicata sul Corriere della sera dell’epoca che avrebbe immortalato Longo, in quelle stesse ore, durante un comizio a Milano”. Urbano Lazzaro non ha mai deflettuto. Anche nel 2004 ha confermato in Televisione che ad uccidere il Duce è stato Luigi Longo (M. L., Forenza, P. Tompkins. Mussolini: L’ultima verità. RAI TRE, 30 Agosto, 2004. Idem. Il carteggio Churchill-Mussolini: L’ultima verità. RAI TRE, 7 Settebre, 2004).


mussolini se non fosse stato ucciso si sarebbe salvato come il boia graziani
Inviato il: 13/11/2013 17:01
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Re: La verità e le versioni ufficiali nella storia italiana
#146
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quando poi la guerra finisce, quelli che prima erano nemici, diverranno preziosi strumenti nelle mani degli USA per stabilire un NUOVO ORDINE in Sicilia.
Banditi e neofascisti saranno gli strumenti operativi, mentre il Movimento Separatista Siciliano e la mafia costituiranno la rete di potere per respingere il pericolo comunista e la minaccia dei braccianti al latifondo, per realizzare in Sicilia una zona franca per tutti i traffici più nefandi.
e la strage di braccianti a Portella sarà il test generale di questa alleanza "nera".
Inviato il: 13/11/2013 15:18
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Re: La verità e le versioni ufficiali nella storia italiana
#145
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Il ruolo di Junio Valerio Borghese e dei suoi fascisti della X MAS nella strage di Portella:

L'ombra neo fascista su Portella della Ginestra

PALERMO – La strage di Portella della Ginestra non fu solo un affare di mafia, di fronde anti-comuniste e lobby terriere che contrastavano le lotte contadine, a muovere la mano del bandito Salvatore Giuliano, ritenuto l'autore dell'eccidio, furono anche reduci fascisti, in particolare i militanti della Decima Mas del principe Junio Valerio Borghese, spalleggiati da servizi neo-nazisti in un estremo tentativo di riaffermare il blocco "nero". A delineare il nuovo scenario, in cui sarebbe maturata quella che viene definita la prima strage di Stato, sono alcuni documenti inediti che escono fuori dagli archivi Usa di College Park, nel Maryland, e raccolti dallo storico Giuseppe Casarrubea che da anni si batte per la ricerca della verità sulla strage del Primo maggio del 1947, protagonista in passato di alcune querelle storiche sulla vicenda.
Casarrubea è venuto in possesso di questi documenti lo scorso gennaio e li consegnerà alla Procura di Palermo, dove nel dicembre del 2004 ha già depositato un memoriale chiedendo la riapertura delle indagini. «Queste carte – sostiene lo storico – ci consegnano uno scenario nuovo e convincente. Gli archivi Usa confermano il coinvolgimento dei fascisti che fu denunciato, senza che nessuno però ne desse troppa importanza, dalla famiglia mafiosa di Monreale al processo di Viterbo». Tra il marzo e il maggio del 1945, il Servizio informazioni militari (Sim) e il controspionaggio angloamericano scoprono una pericolosa rete di «commandos» di Salò che, fin dall'estate del 1944, opera tra Napoli, Reggio Calabria e la provincia di Palermo. E in Sicilia, a ricevere armi, denaro e addestramento alla guerriglia, secondo i documenti inediti fu la banda di Salvatore Giuliano che agiva a Montelepre.
Le indagini partono per caso. Alla fine di febbraio del 1945 una pattuglia americana cattura sull'Appennino pistoiese due militi degli NP (Nuotatori-Paracadutisti) della Decima Mas di Junio Valerio Borghese: Pasquale Sidari e Giovanni Tarroni. I due confessano di aver trascorso vari mesi nell'Italia liberata per organizzare l'eversione armata del fascismo della RSI nelle regioni meridionali. Fanno nomi e cognomi, che permettono agli Alleati di identificare nel giro di poche settimane una complessa rete di spionaggio e di sabotaggio nazifascista. Sono decine gli arresti a Napoli e provincia. Qui operano Gino Locatelli e Bartolo Gallitto (Decima Mas) ed i fascisti del principe calabrese Pignatelli. Ma ben presto le indagini si estendono a Calabria e Sicilia. A Partinico, in provincia di Palermo, dal luglio 1944 è attiva la «filiale» siciliana di Borghese, composta da tre militi della Decima Mas al comando di Dante Magistrelli.
Oltre ad addestrare e ad equipaggiare la banda di Giuliano, Magistrelli si reca regolarmente a Napoli e a Roma per ricevere ordini e denaro dai neofascisti romani, a loro volta in contatto con i servizi segreti nazifascisti a Verona e a Milano. In un rapporto del '45 del maggiore dei carabinieri Camillo Pecorella si legge che «Dante Magistrelli ha ricevuto istruzioni per una missione da svolgere nell'Italia liberata ed è da considerare un agente sabotatore al servizio del nemico. Non vi è il minimo dubbio che il soggetto appartiene ad una organizzazione di spionaggio e sabotaggio e che è stato reclutato tra i militi della Decima Flottiglia Mas. In Sicilia, la banda Giuliano costituisce un fattore di grave disturbo dell'ordine pubblico, nell'interesse dei servizi segreti nazifascisti».
«Ho deciso di rivelare solo ora la scoperta – afferma Casarrubea – perchè siamo alla vigilia del 58° anniversario della strage di Portella della Ginestra. Le decine di nuove carte dei servizi segreti statunitensi, provenienti in gran parte dagli scaffali desecretati dell'Office of Strategic Services, hanno un eccezionale valore storico: ci permettono, ad esempio, di retrodatare all'estate del 1944 i criminali contatti terroristici tra Salvatore Giuliano, i suoi emissari e la Decima Mas di Borghese, con importanti implicazioni storico-politiche che esporrò ampiamente in un nuovo libro».

(La Sicilia, 29 aprile 2005)
Inviato il: 13/11/2013 15:14
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Re: La verità e le versioni ufficiali nella storia italiana
#144
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che poi continuarono, il primo del dopoguerra fu questo:

Centro Siciliano di Documentazione "Giuseppe Impastato" - Onlus

La strage di Portella della Ginestra

Nel pianoro a metà strada tra i comuni di Piana degli Albanesi, San Giuseppe Jato e San Cipirello, in provincia di Palermo, la festa del primo maggio 1947, a cui partecipavano migliaia di persone, fu interrotta da una sparatoria che, secondo le fonti ufficiali, causò 11 morti e 27 feriti. Successivamente, per le ferite riportate, ci furono altri morti e il numero dei feriti varia da 33 a 65.
I contadini dei paesi vicini erano soliti radunarsi a Portella della Ginestra per la festa del lavoro già ai tempi dei Fasci siciliani, per iniziativa del medico e dirigente contadino Nicola Barbato, che era solito parlare alla folla da un podio naturale che fu in seguito denominato "sasso di Barbato". La tradizione venne interrotta durante il fascismo e ripresa dopo la caduta della dittatura. Nel 1947 non si festeggiava solo il primo maggio ma pure la vittoria dei partiti di sinistra raccolti nel Blocco del popolo nelle prime elezioni regionali svoltesi il 20 aprile. Sull'onda della mobilitazione contadina che si era andata sviluppando in quegli anni le sinistre avevano ottenuto un successo significativo, ribaltando il risultato delle elezioni per l'Assemblea costituente. La Democrazia cristiana era scesa dal 33,62% al 20,52%, mentre le sinistre avevano avuto il 29,13% (alle elezioni precedenti il Psi aveva avuto il 12,25% e il Pci il 7,91%).
La campagna elettorale era stata abbastanza animata, non erano mancate le minacce e la violenza mafiosa aveva continuato a mietere vittime. Il 1947 era cominciato con l'assassinio del dirigente comunista e del movimento contadino Accursio Miraglia (4 gennaio) e il 17 gennaio era stato ucciso il militante comunista Pietro Macchiarella; lo stesso giorno i mafiosi avevano sparato all'interno del Cantiere navale di Palermo. Alla fine di un comizio il capomafia di Piana Salvatore Celeste aveva gridato: "Voi mi conoscete! Chi voterà per il Blocco del popolo non avrà né padre né madre" e la stessa mattina del primo maggio a San Giuseppe Jato la moglie di un "qualunquista truffatore" - come si legge in un servizio del quotidiano "La Voce della Sicilia" - aveva avvertito le donne che si recavano a Portella: "Stamattina vi finirà male" e a Piana un mafioso non aveva esitato a minacciare i manifestanti: "Ah sì, festeggiate il 1° maggio, ma vedrete stasera che festa!" (in Santino 1997, p. 150). Eppure nessuno si aspettava che si arrivasse a sparare sulla folla inerme, ormai lontana la memoria dei Fasci siciliani e dei massacri successivi.


Prima i mafiosi e i partiti conservatori poi solo i banditi

La matrice della strage appare subito chiara: la voce popolare parla dei proprietari terrieri, dei mafiosi e degli esponenti dei partiti conservatori e i nomi sono sulla bocca di tutti: i Terrana, gli Zito, i Brusca, i Romano, i Troia, i Riolo-Matranga, i Celeste, l'avvocato Bellavista che durante la campagna elettorale aveva tuonato contro le forze di sinistra e a difesa degli agrari. I carabinieri telegrafano: "Vuolsi trattarsi organizzazione mandanti più centri appoggiati maffia at sfondo politico con assoldamento fuori legge"; "Azione terroristica devesi attribuire elementi reazionari in combutta con mafia" (ivi, p. 153). Vengono fermate 74 persone tra cui figurano mafiosi notori. All'Assemblea costituente il giorno dopo la strage Girolamo Li Causi, segretario regionale comunista, lancia la sua accusa: dopo il 20 aprile c'è stata una campagna di provocazioni politiche e di intimidazioni, durante la strage il maresciallo dei carabinieri si intratteneva con i mafiosi e tra gli sparatori c'erano monarchici e qualunquisti. Viene interrotto da esponenti dei qualunquisti e della destra e il ministro degli interni Mario Scelba dichiara che non c'è un "movente politico", si tratta solo di un "fatto di delinquenza" (ivi, p. 155). Scelba ritorna sull'argomento in un'intervista del 9 maggio: "Trattasi di un episodio fortunatamente circoscritto, maturato in una zona fortunatamente ristretta le cui condizioni sono assolutamente singolari" (ivi, p. 159). Nel frattempo i fermati vengono rilasciati e si afferma la pista che porta alla banda Giuliano, il cui nome viene fatto dall'Ispettore di Pubblica Sicurezza Ettore Messana, lo stesso che l'8 ottobre 1919 aveva ordinato il massacro di Riesi (15 morti e 50 feriti) e che ora Li Causi addita come colui che dirige il "banditismo politico". La banda Giuliano sarà pure indicata come responsabile degli attentati del 22 giugno in vari centri della Sicilia occidentale, con morti e feriti.
L'inchiesta giudiziaria si concentra sui banditi e procede con indagini frettolose e superficiali: non si fanno le autopsie sui corpi delle vittime e le perizie balistiche per accertare il tipo di armi usate per sparare sulla folla. Il 17 ottobre 1948 la sezione istruttoria della Corte d'appello di Palermo rinvia a giudizio Salvatore Giuliano e gli altri componenti della banda. La Corte di Cassazione, per legittima suspicione, decide la competenza della Corte d'assise di Viterbo, dove il dibattimento avrà inizio il 12 giugno 1950 e si concluderà il 3 maggio 1952, con la condanna all'ergastolo di 12 imputati (Giuliano era stato assassinato il 5 luglio del 1950).
Nella sentenza, a proposito della ricerca della causale, si sostiene che Giuliano compiendo la strage e gli attentati successivi ha voluto combattere i comunisti e si richiama la tesi degli avvocati difensori secondo cui la banda Giuliano aveva operato come "un plotone di polizia", supplendo in tal modo alla "carenza dello Stato che in quel momento si notò in Sicilia" (ivi, pp. 191 s). Cioè: la violenza banditesca era stata impiegata come risorsa di una strategia politica volta a colpire le forze che si battevano contro un determinato sistema di potere. Restava tra le righe che le "carenze dello Stato" erano da attribuire all'azione della coalizione antifascista allora al governo del Paese. La sentenza di Viterbo non toccava il problema dei mandanti della strage e dell'offensiva contro il movimento contadino e le forze di sinistra, affermando esplicitamente che la causa doveva essere ricercata altrove.
Contro la sentenza fu proposto appello e il processo di secondo grado si svolse presso la Corte d'assise d'appello di Roma (nel frattempo molti degli imputati, tra cui Gaspare Pisciotta, erano morti). La sentenza del 10 agosto 1956 confermava alcune condanne, riducendo la pena, e assolveva altri imputati per insufficienza di prove. Con sentenza del 14 maggio 1960 la Corte di Cassazione dichiarava inammissibile il ricorso del pubblico ministero e così la sentenza d'appello diventava definitiva.


Una strage per il centrismo

Nella storia d'Italia il 1947 è un anno di svolta e la strage di Portella ha avuto un ruolo nello stimolare e accelerare questa svolta, intrecciandosi con dinamiche che maturano a livello locale, nazionale e internazionale. Il 13 maggio si apre la crisi politica con le dimissioni del governo di coalizione antifascista presieduto da De Gasperi. Il 30 maggio a Roma e a Palermo si formano i nuovi governi: De Gasperi presiede un governo centrista con esclusione delle sinistre e alla Regione siciliana il democristiano Giuseppe Alessi presiede un governo minoritario appoggiato dai partiti conservatori, senza la partecipazione del Blocco del popolo, nonostante la vittoria alle elezioni del 20 aprile. Si apre così una nuova fase della storia d'Italia, in cui le forze di sinistra saranno all'opposizione. La svolta si inserisce nella prospettiva aperta dagli accordi di Yalta che hanno codificato la divisione del pianeta in due grandi aree di influenza, con l'Italia dentro lo schieramento atlantico egemonizzato dagli Stati Uniti e la guerra fredda come strategia di contrasto e di contenimento del potere sovietico.
Nel gennaio del '47 De Gasperi era andato negli Stati Uniti ma è frutto di una visione semplificatrice pensare che abbia ricevuto l'ordine di sbaraccare le sinistre dal governo. In realtà la svolta del '47 è figlia di un matrimonio consensuale in cui interessi locali, nazionali e internazionali coincidono perfettamente. Il messaggio contenuto nella strage è stato pienamente recepito e da ora in poi a governare, accanto alla Democrazia cristiana che nelle elezioni del 18 aprile 1948 si afferma come partito di maggioranza relativa, dopo una campagna elettorale volta a esorcizzare il "pericolo rosso", saranno i partiti conservatori vanamente indicati come mandanti del massacro. In questo quadro la Chiesa cattolica ha un ruolo di primo piano. Il cardinale Ernesto Ruffini, a proposito della strage di Portella e degli attentati del 22 giugno, scrive che era "inevitabile la resistenza e la ribellione di fronte alle prepotenze, alle calunnie, ai sistemi sleali e alle teorie antiitaliane e anticristiane dei comunisti" (in Santino 2000, p. 180), plaude all'estromissione delle sinistre dal governo, ma la sua proposta di mettere i comunisti fuori legge, rivolta a De Gasperi e a Scelba, rimarrà inascoltata. I dirigenti democristiani sanno perfettamente che sarebbe la guerra civile.


Alla ricerca dei mandanti

La verità giudiziaria sulla strage si è limitata agli esecutori individuati nei banditi della banda Giuliano. Nell'ottobre del 1951 Giuseppe Montalbano, ex sottosegretario, deputato regionale e dirigente comunista, presentava al Procuratore generale di Palermo una denuncia contro i monarchici Gianfranco Alliata, Tommaso Leone Marchesano e Giacomo Cusumano Geloso come mandanti della strage e contro l'ispettore Messana come correo. Il Procuratore e la sezione istruttoria del Tribunale di Palermo decidevano l'archiviazione. Successivamente i nomi dei mandanti circoleranno solo sulla stampa e nelle audizioni della Commissione parlamentare antimafia che comincia i suoi lavori nel 1963. Nel novembre del 1969 il figlio dell'appena defunto deputato Antonio Ramirez si presenta nello studio di Giuseppe Montalbano per recapitargli una lettera riservata del padre, datata 9 dicembre 1951. Nella lettera si dice che l'esponente monarchico Leone Marchesano aveva dato mandato a Giuliano di sparare a Portella, ma solo a scopo intimidatorio, che erano costantemente in contratto con Giuliano i monarchici Alliata e Cusumano Geloso, che quanto aveva detto, nel corso degli interrogatori, il bandito Pisciotta su di loro e su Bernardo Mattarella era vero, che Giuliano aveva avuto l'assicurazione che sarebbe stato amnistiato (in Santino 1997, p. 207).
Montalbano presenta il documento alla Commissione antimafia nel marzo del 1970, la Commissione raccoglierà altre testimonianze e nel febbraio del 1972 approverà all'unanimità una relazione sui rapporti tra mafia e banditismo, accompagnata da 25 allegati, ma verranno secretati parecchi documenti raccolti durante il suo lavoro. La relazione a proposito della strage scriveva: "Le ragioni per le quali Giuliano ordinò la strage di Portella della Ginestra rimarranno a lungo, forse per sempre, avvolte nel mistero. Attribuire la responsabilità diretta o morale a questo o a quel partito, a questa o quella personalità politica non è assolutamente possibile allo stato degli atti e dopo un'indagine lunga e approfondita come quella condotta dalla Commissione. Le personalità monarchiche e democristiane chiamate in causa direttamente dai banditi risultano estranee ai fatti". Il relatore, il senatore Marzio Bernardinetti, addebitava i risultati deludenti alla mancata o scarsa collaborazione delle autorità: "Il lavoro, cui il comitato di indagine sui rapporti fra mafia e banditismo si è sobbarcato in così difficili condizioni, avrebbe approdato a ben altri risultati di certezza e di giudizio se tutte le autorità, che assolsero allora a quelli che ritennero essere i propri compiti, avessero fornito documentate informazioni e giustificazioni del proprio comportamento nonché un responsabile contributo all'approfondimento delle cause che resero così lungo e travagliato il fenomeno del banditismo" (in Testo integrale…1973).
Nel 1977, in pieno clima di "compromesso storico" tra Partito comunista e Democrazia cristiana, ben poco propizio alla ricerca della verità, il Centro siciliano di documentazione comincia la sua attività con un convegno nazionale dal titolo "Portella della Ginestra: una strage per il centrismo" in cui si ricostruisce il quadro in cui è maturata la strage, considerata non come il prodotto di un disorientamento e di un vuoto politico (come sosteneva anche la storiografia di sinistra: Francesco Renda considerava l'uso della violenza come "repugnante delinquenza comune" e un "errore grossolano" che avrebbe portato all'isolamento dei proprietari terrieri: Renda 1976, p. 23) ma come "un atto di lucida, e ragionata, violenza volto a condizionare il quadro politico, regionale e nazionale" purtroppo coronato da successo (Centro siciliano di documentazione 1977; Santino 1997, pp. 8, 60).
Successivamente ci sono state varie pubblicazioni, più meno documentate, sulla strage e sulla banda Giuliano (Galluzzo 1985, Magrì 1987, Barrese - D'Agostino 1997, Renda 2002) e l'interpretazione della strage di Portella come "strage di Stato" ha segnato buona parte dei lavori del convegno che si è svolto nel maggio del 1997, nel cinquantesimo anniversario (Manali, a cura di, 1999; Santino ivi). Il convegno si concluse con la richiesta della desecratazione della documentazione raccolta dalla Commissione antimafia, pubblicata negli anni successivi in vari volumi (Commissione antimafia 1998-99). Nel frattempo la costituzione dell'Associazione "Non solo Portella", ad opera di familiari delle vittime, e l'attività di ricerca del suo presidente, lo storico Giuseppe Casarrubea, figlio di una delle vittime dell'attentato di Partinico del 22 giugno, hanno portato a significativi risultati (Casarrubea 1997, 1998, 2001). Anche sulla base di perizie effettuate sui corpi di alcuni superstiti si è documentato che tra le armi utilizzate c'erano bombe-petardo di produzione americana; da testimonianze risulta che tra gli esecutori c'erano mafiosi e le ricerche sui materiali dell'archivio dell'Oss (Office of Strategic Services) e del Sis (Servizio Informazioni e Sicurezza) del ministero dell'Interno hanno prodotto ulteriore documentazione sul ruolo degli Stati Uniti (già documentato precedentemente: sugli incontri del bandito Giuliano con l'agente americano Michael Stern: Sansone - Ingrascì 1950, pp.143-150; sulla politica estera degli Stati Uniti, ricostruita attraverso documenti d'archivio: Faenza - Fini 1976) e rivelato i rapporti tra banditismo e formazioni neofasciste (Vasile 2004, 2005).
Ricostruzioni recenti (La Bella - Mecarolo 2003) hanno contribuito ad arricchire il quadro della documentazione sul contesto, sono stati pubblicati significativi documenti degli archivi italiani e americani sui primi anni della Repubblica (Tranfaglia 2004) e un film (Segreti di Stato del regista Paolo Benvenuti, accompagnato da un volume: Baroni-Benvenuti 2003) ha riproposto il tema delle complicità chiamando in causa vari soggetti, dai dirigenti della Democrazia cristiana alla X MAS di Junio Valerio Borghese, ai servizi segreti americani, al Vaticano, in un "gioco delle carte" non sempre convincente.
Sulla base di nuove acquisizioni documentali nel dicembre 2004 i familiari delle vittime hanno chiesto la riapertura dell'inchiesta. Per Portella, come del resto per le altre stragi che hanno insanguinato l'Italia, la verità è ancora lontana.


Riferimenti bibliografici

Baroni Paola - Benvenuti Paolo, Segreti di Stato. Dai documenti al film, Fandango, Roma 2003.
Barrese Orazio - D'Agostino Giacinta, La guerra dei sette anni. Dossier sul bandito Giuliano, Rubbettino, Soveria Mannelli 1997.
Casarrubea Giuseppe, Portella della Ginestra. Microstoria di una strage di Stato, F. Angeli, Milano 1997; Fra' Diavolo e il Governo nero. "Doppio Stato" e stragi nella Sicilia del dopoguerra, F. Angeli, Milano 1998; Salvatore Giuliano. Morte di un capobanda e dei suoi luogotenenti, F. Angeli, Milano 2001.
Centro siciliano di documentazione, 1947-1977. Portella della Ginestra: una strage per il centrismo, Cooperativa editoriale Cento fiori, Palermo 1977. Una parte degli Atti del convegno fu pubblicata nel fascicolo Ricomposizione del blocco dominante, lotte contadine e politica delle sinistre in Sicilia (1943-1947), Cento fiori, Palermo 1977.
Commissione parlamentare d'inchiesta sul fenomeno della mafia, Pubblicazione degli atti riferibili alla strage di Portella della Ginestra, Roma 1998-99, Doc. XXIII, nn. 6, 22, 24.
Faenza Roberto - Fini Marco, Gli americani in Italia, Feltrinelli, Milano 1976.
Galluzzo Lucio, Meglio morto. Storia di Salvatore Giuliano, Flaccovio, Palermo 1985
La Bella Angelo - Mecarolo Rosa, Portella della Ginestra. La strage che ha insanguinato la storia d'Italia, Teti Editore, Milano 2003.
Magrì Enzo, Salvatore Giuliano, Mondadori, Milano 1987.
Manali Pietro (a cura di), Portella della Ginestra 50 anni dopo (1947-1997), S. Sciascia editore, Caltanissetta-Roma 1999, con 2 volumi di Documenti, a cura di G. Casarrubea.
Renda Francesco, Il movimento contadino in Sicilia e la fine del blocco agrario nel Mezzogiorno, De Donato, Bari 1976; Salvatore Giuliano. Una biografia storica, Sellerio, Palermo 2002.
Sansone Vincenzo - Ingrascì Giuseppe, 6 anni di banditismo in Sicilia, Le edizioni sociali, Milano 1950.
Santino Umberto, La democrazia bloccata. La strage di Portella della Ginestra e l'emarginazione delle sinistre, Rubbettino, Soveria Mannelli 1997; La strage di Portella, la democrazia bloccata e il doppio Stato, in P. Manali (a cura di), op. cit., pp. 347-375; Storia del movimento antimafia. Dalla lotta di classe all'impegno civile, Editori Riuniti, Roma 2000.
Testo integrale della relazione della Commissione parlamentare d'inchiesta sul fenomeno della mafia, vol. II, Cooperativa Scrittori, Roma 1973, Relazione sui rapporti tra mafia e banditismo in Sicilia, pp. 983-1031.
Tranfaglia Nicola, Come nasce la Repubblica. La mafia, il Vaticano e il neofascismo nei documenti americani e italiani. 1943-1947, Bompiani, Milano 2004.
Vasile Vincenzo, Salvatore Giuliano, bandito a stelle e a strisce, Baldini Castoldi Delai, Milano 2004; Turiddu Giuliano, il bandito che sapeva troppo, con un saggio di Aldo Giannuli, l'Unità, Roma 2005.

Pubblicato su "Narcomafie", n. 6, giugno 2005
Inviato il: 13/11/2013 15:02
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  •  toussaint
      toussaint
Re: La verità e le versioni ufficiali nella storia italiana
#143
Sono certo di non sapere
Iscritto il: 23/3/2012
Da
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sinceramente, della fuga di Mussolini in Paraguay non avevo mai sentito parlare.
invece si è parlato moltissimo dell'esecuzione di Mussolini da parte di falsi partigiani in realtà al soldo dei servizi inglesi, per via di un carteggio tra Mussolini e Churchill che doveva restare segreto e che gli esecutori di Mussoli ovviamente trafugarono dalle carte che aveva con sè.
la cosa strana è che il CLN aveva stabilito che Mussolini dovesse essere processato, così che il processo divenisse un atto d'accusa contro il fascismo in sè e dunque chi sparò contravvenne palesemente a quell'ordine.
la scusa ufficiale è che i partigiani sul posto temessero che Mussolini potesse essere graziato o consegnato agli alleati.
uno dei tanti misteri italiani...
Inviato il: 13/11/2013 15:00
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  •  ivan
      ivan
Re: La verità e le versioni ufficiali nella storia italiana
#142
Sono certo di non sapere
Iscritto il: 22/7/2004
Da Bronx
Messaggi: 11520
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Inviato il: 12/11/2013 22:00
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