Re: LIMMAGINE MEDIATICA DELLA DONNA

Inviato da  Ingmar il 24/11/2013 17:00:47
Ovviamente si combattono le implicazioni di un qualcosa, ognuno di noi immagina una "china", nota fallacia logica (seppur non in senso assoluto) quindi ognuno tira da una parte o dall'altra generalmente parlando.
Bisogna quindi evitare che nel nome di combattere la propaganda si desideri limitare la libertà invece di combattere la mentalità, ci possono essere delle eccezioni a ciò ma bisogna dosarle bene, perchè imporre le proprie convinzioni è molto oneroso dal punto di vista del progetto, in quanto rompe un armonia, quindi deve essere una extrema ratio.
Questo dovrebbe scongiurare parzialmente la china proibizionista, cioè arrivare ad impedire, nella fattispecie, per legge, alle donne di disporre del proprio corpo.
La china liberista, invece (non libertaria o liberale) se portata all'estremo, può negare che la mercificazione del corpo sia un risultato del contesto sociale che, anche non negando questa libertà possa essere soggetta a critiche, perchè, per dire la prostituzione è davvero sacrilega a mio parere nel togliere reciprocità a quello che dovrebbe essere lo scambio reciproco per eccellenza, in questo caso solo uno dei due ha piacere, per quanto un piacere destituito di ogni profondità.
E' vero libere scelte diventano non del tutto libere in quanto figlie di imperativi morali e spesso di propaganda, però attenzione all'idea che siccome "non c'è nessuna cosa come l'assenza assoluta di influenza" si debba negare l'autonomia di ogni scelta. Il femminismo è stato sacrosanto nell'affermare l'autonomia della donna e il suo affrancamento dall'essere principalmente l'oggetto di qualcosa o qualcuno, l'essere un ruolo prima che una persona baste ricordare lo stupro come reato contro l'onore.
Oggi però ci sono molti femminismi diversi, forse è per questo che si potrebbe chiamare solo antisessismo, visto il contesto storico, e il suddetto rischio di dividere e parcellizzare le lotte sociali è certamente un rischio, soprattutto nel separarle pretestuosamente dal quadro più ampio in cui sono inserite, come le discriminazioni di classe, dei più svantaggiati. Il "capitalismo" ha certamente mangiato a quattro ganasce sulla liberazione della donna, propagandando i suddetti imperativi morali, per avere più forza lavoro.
La colpa non è però dell'autodeterminazione femminile, tengo a precisarlo.
Oggi si potrebbe lavorare tutti molto di meno, dedicandosi, tra le altre cose anche molto più alla famiglia, se si riuscisse a rompere la catena di asservimento al lavoro, che fisiologicamente ne limita l'accesso e crea ampie sacche di disoccupazione e concentrazione di orari di lavoro.

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