Re: Atlantide.

Inviato da  Mrexani il 14/9/2014 12:54:29
Citazione:
Sarebbe bello leggere pure Sergio Frau.

Se una civiltà atlantidea è esistita, deve aver aver lasciato tracce del suo passaggio...


Bhé se Atlantide fosse la Sardegna, come prospettato dal lavoro di Frau e citato da Pyter, le traccie non mancherebbero di sicuro; in Sardegna in ogni ''metro quadrato'', vi è almeno una costruzione pre-storica (nuraghi,tombe dei giganti, pozzi sacri, case delle fate, dolmen, menhir, ecc).

Ma...non è detto che una civiltà di quel tipo debba per forza di cose lasciare traccie del suo passaggio. A tal proposito ho appena iniziato a leggere ''l'Ardore'' di Calasso, dedicato al racconto della civiltà Vedica, anch'essa assimilabile per molti aspetti a quella Atlantidea se non altro per il mistero che la avvolge. Ecco, della civiltà Vedica Calasso, nelle prime pagine, scrive:


[Non lasciarono oggetti né immagini. Lasciarono soltanto parole. Versi e formule che scandivano rituali. Meticolose trattazioni che descrivevano e spiegavano quegli stessi rituali. ………L'India vedica non ebbe una Semiramide né una Nefertiti. E neppure un Hammurabi o un Ramses II. Nessun De Mille è riuscito a metterla in scena. Fu la civiltà dove l'invisibile prevaleva sul visibile. Come poche altre, fu esposta a essere incompresa. Per capirla, è inutile ricorrere agli eventi, che non hanno lasciato tracce. Rimangono solo testi: il Veda, il Sapere. Composto di inni, invocazioni, scongiuri, in versi. Di formule e prescrizioni rituali, in prosa. I versi sono incastonati in momenti delle complicatissime azioni rituali……Gli Àrya (« i nobili », così gli uomini vedici chiamavano se stessi) ignorarono la storia con una insolenza che non ha uguali nelle vicende di altre grandi civiltà. Dei loro re conosciamo i nomi soltanto attraverso accenni nel Rgveda e aneddoti narrati nei Brahmana e nelle Upanisad. Non si preoccuparono di lasciare memoria delle loro conquiste. E anche negli episodi di cui è giunta notizia non si tratta tanto di imprese - belliche o amministrative -, ma di conoscenza. Se parlavano di « atti », pensavano soprattutto ad atti rituali. Non meraviglia che non abbiano fondato - né abbiano mai tentato di fondare — un impero……Non c'erano templi, né santuari, né mura. C'erano re, ma senza regni dai confini tracciati e sicuri. Si muovevano periodicamente su carri con ruote provviste di raggi. Quelle ruote furono la grande novità che apportarono: prima di loro, nei regni di Harappa e Mohenjodaro si conoscevano solo le ruote compatte, solide, lente. Appena si fermavano, si curavano soprattutto di installare fuochi e accenderli…. Sapevano cuocere i mattoni, ma li usavano soltanto per costruire l'altare che stava al centro di un loro rito….La loro mente pullulava di immagini. Forse anche per questo non si curarono di intagliare o scolpire figure degli dèi. Come se, essendone già attorniati, non sentissero il bisogno di aggiungerne altre……Ben poco di tangibile rimane dell'epoca vedica. Non sussistono edifìci, né monconi di edifici, né simulacri. Al più, qualche frusto reperto nelle teche di alcuni musei. Edificarono un Partenone di parole: la lingua sanscrita, poiché samskrta significa « perfetto ». Così disse Daumal. Qual era il motivo profondo per cui non vollero lasciare tracce? Il solito supponente evemerismo occidentale subito si appellerebbe alla deperibilità dei materiali in clima tropicale. Ma la ragione era un'altra - e i ritualisti vi accennarono. Se l'unico evento imprescindibile è il sacrificio, che fare di Agni, dell'altare del fuoco, una volta concluso il sacrificio? Risposero: « Dopo il completamento del sacrificio, esso ascende ed entra in quello splendente [sole]. Perciò non ci si deve preoccupare se Agni viene distrutto, perché allora egli è in quel disco laggiù». Ogni costruzione è provvisoria, incluso l'altare del fuoco. Non è qualcosa di ferino, ma un veicolo. Una volta compiuto il viaggio, il veicolo può anche essere fatto a pezzi…..Enorme è il divario fra la rudimentale civiltà materiale vedica e la complessità, difficoltà e audacia dei testi. …..Per l'India vedica, la storia non era cosa di cui prendere nota. Il genere storiografico vi fa la sua apparizione ben più tardi, non soltanto molti secoli dopo Erodoto e Tucidide, ma quando in Occidente si scrivevano le cronache medioevali…..Ma, quanto più scarsi sono i riferimenti alla pura, dissolvente successione dei tempi, tanto più sconvolgente il loro effetto. E tanto più vano apparirà ogni tentativo di stabilire un rapporto immediato, semplice e univoco fra i testi dei ritualisti vedici e una qualsiasi realtà fattuale. A differenza degli Egizi, dei Sumeri, dei Cinesi della dinastia Zhou, evitarono di appendere agli anni ciò che accadeva. Verum ipsum factum non valeva per loro. Perché l'unico factum collegato a un verum era l'azione liturgica. Tutto ciò che si svolgeva prima e al di fuori del rito apparteneva al vasto regno sfrangiato della non-verità…mancando persino l'invenzione della « città», nagara, termine che è quasi assente dai testi più antichi - e comunque non corrisponde ad alcun dato documentabile: non esiste traccia di alcuna città vedica…..Perché gli uomini vedici erano così ossessionati dal rituale? Perché tutti i loro testi, direttamente o indirettamente, parlano di liturgia? Volevano pensare, volevano vivere soltanto in certi stati della coscienza. Scartato ogni altro, questo rimane l'unico motivo plausibile. Volevano pensare - e soprattutto: volevano essere coscienti di pensare. Questo avviene esemplarmente nel compiere un gesto. C'è il gesto - e c'è l'attenzione che si concentra sul gesto. L'attenzione trasmette al gesto il suo significato.(L’ardore,Calasso)]

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