Re: Darwin e l'evoluzionismo. Il dibattito è ancora aperto.

Inviato da  Santaruina il 28/6/2006 1:25:43

- intermezzo -

da Dimenticare Darwin

In Dimenticare Darwin, infatti, da uomo di scienza quale è, Sermonti dimostra alla luce delle più recenti ricerche l’inconsistenza scientifica delle basi e delle conclusioni delle teorie evoluzioniste...
Abbiamo detto “teorie evoluzioniste”, al plurale, perché il neodarwinismo fondato sulla moderna biologia molecolare ha poco in comune con l’originale teoria darwinista. E già questo è un fatto sospetto.
Il concetto di mutazione, ad esempio, è assolutamente sconosciuto a Darwin, mentre acquista centralità per i neodarwinisti molecolari, che lo ricollegano al loro Dogma Centrale, il quale assegna al DNA il governo assoluto della vita.
In altre parole: esiste un’unica Teoria dell’Evoluzione, ma, storicamente, diverse spiegazioni della stessa.
Commenta Sermonti: «Succede, a volte, nella scienza, che, per spiegare un fenomeno, vengano esplorati processi e costruiti modelli che lo risolvono, anche al di là del richiesto. Ma alla fine si scopre che quel fenomeno per cui abbiamo così tante spiegazioni, quel fenomeno non c’è».

Ciò che accomuna gli evoluzionisti del Novecento a Darwin è l’idea della Selezione Naturale come origine della specie. La variabilità (dovuta secondo i neodarwinisti a casuali “errori di stampa” del DNA) porta all’evoluzione solo grazie alla Selezione Naturale.
Questa, secondo i teorici del caso e dell’adattamento, cambierebbe le forme e le specie. Sermonti, e con lui i “dissidenti” dell’evoluzionismo, non negano affatto il concetto di Selezione Naturale (non lo faceva neppure il vescovo Wilberforce, l’avversario di Darwin).

Ma la Selezione che opera in natura ha in realtà una funzione opposta a quella attribuitale dagli evoluzionisti vecchi e nuovi: è riequilibratrice, stabilizzante, conservatrice.
Elimina le anomalie, dà stabilità alla specie.
Le “furbizie dell’adattamento” sono, per l’appunto, furbizie, destinate a far ritornare gli esseri viventi nel solco del loro destino.
«La natura vivente non è un gioco in borsa né tanto meno una partita alla roulette. Che il caso vi abbia la sua parte non si può negare, ma che esso vi faccia da padrone, insieme all’opportunismo locale, è una pretesa senza fondamento. Essa servirebbe a spiegare l’irresolutezza delle specie, il loro inquieto vagare, il loro graduale convertirsi l’una nell’altra. Ma nessuna di queste cose esiste nel repertorio della natura».

L’evoluzionismo, inoltre, si nutre di un pensiero molto pratico (economico), che ci viene propinato anche in tutti i documentari televisivi: ogni parte di un animale o di una pianta sarebbe fatta per uno scopo preciso.
Non si è però in grado di spiegare come una rondine abbia potuto dotarsi di ali: «è difficile immaginare come se la sia cavata una rondine a metà strada, e perché mai avrebbe insistito tanto su una pista senza traguardo, non potendo certo sapere di essere una rondine predestinata e senza aver mai visto l’obiettivo del suo penoso percorso.
E poi, qualcuno ha visto la quasi-rondine o qualche paleontologo ce ne ha offerto il fossile?».

I parametri dell’adattamento e dell’utilità, poi, non spiegano le enormi differenze fra le specie.
E non può farlo neppure la biologia molecolare perché «le grandi differenze non sono nei geni». Mentre la differenza tra piante analoghe con fiori di colore diverso è inscritta chiaramente nel DNA, ci sono forme viventi diversissime portatrici di uno stesso DNA (il bruco e la farfalla, per esempio).

Le mutazioni genetiche, dunque, non distinguono le specie, non disegnano la meraviglia delle forme.
Le quali, in verità, interessano poco ai neodarwinisti molecolari, ai teorici della vita assoluta e manipolabile, che non conoscono i nomi delle piante e degli animali, e pretendono di ridurre «l’intelligenza della Natura» alle loro «astuzie da laboratorio».


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