senza riflessi

Inviato da  Calvero il 20/2/2012 14:21:35
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Mi trovavo a Venezia per un velocissimo andata e ritorno. Toccata e fuga quindi, senza sapere quanto il termine "fuga", dopo, avrebbe significato ben altro.

Una bellissima giornata ma fredda. Appena si affrontano le scale che portano fuori dalla Stazione ferroviaria, appare Venezia e il suo particolare traffico. Appaiano anche gli eterni cantieri italioti in corso, lì, dove ogni spazio in lavorazione viene subito assorbito e trasformato dall'ennesima pubblicità. Così tra i canali più famosi del mondo puoi divertirti in una miscellanea voluttà di "pacchi" e addominali sportivi, labbra di donne in pose di barbarelliana memoria come a dire "voglio il tuo uccello" e sguardi femminili luccicanti che fanno pendant con gli occhi reali di ragazze riflessi nelle vetrine.

Una commistione strana di velocità tra i passanti tutti. Una media di passeggio ben lungi da altre attrattive turistiche del Bel Paese. Alti e bassi fuori sincrono, la coppietta sbaciucchiante al rallenty che pare sfidare a duello in "Bullet Time" la corsa impazzita di un fornitore carico di bibite che litiga insieme al suo carrello con i sali e scendi scomodissimi dei ponti e tra la gente che, a guardar le nuvole, comprende di doversi spostare solo quando i loro piedi sono pestati da qualcosa - Cristo! .. e già .. scappa a tutti un Cristo, si sa, fanno male le pestate di piedi; ma dopo c'è il "sorriso paziente mode_on" automatico, quello che io chiamo "turistico" poiché si comprende che mentre qualcuno si diverte, qualcun'altro magari sta lavorando e bestemmia in silenzio.

Passeggiavo tra la gente e vicino l'ingresso di un negozio era un mendicante. La sua età l'ho ipotizzata forse sopra i trenta. Rannicchiato abbracciandosi le ginocchia con un braccio soltanto, e l'altro con un cappellino a chiedere aiuto. A voler mettere i nostri soldi al suo interno, si sarebbe dovuti essere dei formidabili cecchini, visto che solo fermandogli il braccio con prepotenza si sarebbe potuto centrare il bersaglio. Tremava di sussulti continui quelli che partono dalla schiena per capirsi. I suoi occhi erano vispi e dolci e il suo sguardo incurante. Credo anche vi fosse un bel ragazzo lì sotto se fosse stato portato alle condizioni dignitose che dovremmo tutti meritare.

Ho rallentato ai limiti dello stupore più eclatante, poiché non mi passava per la testa di fare la carità in quanto la prima priorità istintiva sarebbe stata quella di portarlo al caldo e non quella di dargli delle monete. Tremava come chi ha la febbre, quei brividi che tutti credo abbiano conosciuto prima o poi. L'aria era fredda e la giornata, ventosa. Io sono un tipo caloroso ed è rarissimo incontrarmi con maglie che sfiorano soltanto il collo o con camicie abbottonate, ma la maggior parte della gente era ben chiusa nei suoi giubbotti.

Ero sospettoso che stesse "recitando" la scena amplificandola oltremodo per impietosire i passanti e mentre continuavo la mia corsa con l'amico vicino, le sue parole e le mie erano sempre più un'eco senza senso. Alle spalle, quel ragazzo continuava la sua tragedia. I colori, le curiosità, le attenzioni si sospendevano in qualche modo, ma non chiedetemi come. Quell'oretta di bel tempo a Venezia, quella passeggiata, mi portava nostalgie, bei ricordi e anche la gioia di apprezzare la Vita nelle famosissime piccole cose. Insieme a tutto ciò sapevo che il percorso di ritorno sarebbe stato il medesimo dell'andata ...

.. e insieme a questa certezza vi era il riflesso, il nodo, che comunque non si era sganciato da me, tuttora non lo è; insieme a ciò, inevitabile un parametro che aveva le note di quel ragazzo che tremava e che si metteva a metro con l'azzurro del cielo di Venezia e degli uomini tra gli uomini.

Lui lì, uguale a prima, tremante e angosciante, riportava il nostro mondo dietro i vetri di una finestra invisibile; di un appartamento; di un condominio umano affaccendato in cose sì sfuggevoli. Il sentimento agghiacciante non era solo di una tragedia ma quello che mi appartiene, quello della sconfitta.

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