Re: La morte

Inviato da  _gaia_ il 3/8/2006 18:51:56
Un tema coraggioso davvero.

Un mito africano con molti elementi comuni a miti di ogni tempo e luogo:

MITO ILA (Zambia)
Una donna, che viveva felice fra i suoi parenti, un giorno perse il padre, poi, poco dopo, la madre. Non era passato un mese che le morì il marito e poi, uno dopo l’altro, tutti i figli. Si ritrovò sola, prostrata dal dolore davanti a quelle tombe chiuse e mute.
Allora, al limite della sopportazione, partì alla ricerca di Leza per chiedergliene conto.
Attraversando una fitta foresta ebbe un’idea: “Costruirò una torre così alta da permettermi di salire fino a Leza!”.
Cominciò ad abbattere alberi e costruire una torre enorme. Ci volle molto tempo: le stagioni passavano e i tronchi posti in basso imputridivano, e il tutto crollò proprio nel momento in cui stava raggiungendo il cielo.
Allora riprese il viaggio e andò verso l’orizzonte, alla ricerca del punto in cui la terra finisce. Incontrò molti villaggi e sentì sempre la stessa domanda: “Donna, dove vai, e perché?”
“Vado a cercare Dio, per chiedergli conto di tutte le mie sventure: ho avuto un padre, ed è morto; ho avuto una madre ed è morta; ho avuto un marito ed è morto; ho avuto dei figli e sono morti!”.
Ogni volta la gente scuoteva la testa: “E cosa c’è di straordinario in tutto questo? Tutti noi soffriamo degli stessi mali”.
La donna infine comprese che ciò che considerava una cattiveria di Dio a suo riguardo, altro non era che la sorte di tutta l’umanità. Così si rassegnò a seguire la sorte normale senza rivoltarsi.



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Credo che la morte sia un argomento che al contempo attrae e respinge.
I vecchi che al bar leggono la pagina dei morti del quotidiano locale e le nonnine che disquisiscono di tutte le malattie capitate ai concittadini... e insieme il muto stupore, pieno di timore, che un po' tutti abbiamo di fronte alla morte.

Quello che mi spaventa prima di tutto non è la morte in sè, cioè l'assenza di vita (se siamo d'accordo sulle definizioni, perché -miodio- ci sarebbe da aprire un topic a parte!), ma il dolore collegato ad essa, soprattutto il dolore dei miei cari di fronte a cui mi sento impotente. Una delle sensazioni più strazianti che si possano provare.

Poi c'è qualcos'altro che mi fa temere la morte, ma è qualcosa di sfuggente, che non ho ancora compreso.
Forse è il pensiero di cosa ci sia dopo.
O forse più semplicemente è il pensiero che -nonostante lo schifo di mondo in cui vivo- non me ne voglio andare.
Troppe cose da imparare, troppe Persone ancora da conoscere... Come faccio ad andarmene?!
Nonostante tutto, questo è mondo meraviglioso.

Sarà che la mia fase adolescienziale non ne vuol sapere di finire...


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La scorsa estate sono caduta in montagna.
Ho fatto un volo di non so quanti metri, svariate decine comunque, rotolando giù per un pendio erboso cosparso di sassi.
Sono rimasta lucida per tutto il tempo. Ma non potevo fermarmi a piacimento.
Odio non avere il controllo di quello che mi accade, ed ero particolarmente scocciata del fatto che mi rendessi conto della cosa, e che ad ogni modo -mentre contavo i sassi e i licheni- continuavo inesorabilmente a rotolare giù.
Potevo spezzarmi l'osso del collo.
Nessuno, vedendomi cadere a quel modo, si sarebbe stupito se fosse successo.
Ma forse qualcuno ha buttato un occhio benevolo su questa poveretta che ha ancora così tanto da imparare, e me la sono cavata di gran lusso.

Quando penso che potevano essere i miei ultimi istanti su questa terra, beh non so, davvero, non so cosa pensare.

La cosa più assurda è che anche mentre rotolavo ero "serena", in un certo senso ero sicura che non mi sarebbe accaduto nulla di grave.
Era una sensazione stranissima che mi veniva da un punto imprecisato, "dentro".
Se ci penso mi vengono i brividi.
E mentre rotolavo ho avuto il buontempo -santiddio!- di fare dell'umorismo nero...

Quell'evento è tuttora oggetto di molte mie perplessità.

Ma forse, chi lo sa, non era il mio momento.
......dovevo ancora conoscere voialtri... come potevo andarmene?

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