Re: Anarchia

Inviato da  florizel il 7/3/2008 16:21:02
Prealbe carissimo, il tuo sforzo nel dare del potere un’immagine quanto più coerente possibile con le tue tesi è davvero apprezzabile. Consentimi, tuttavia, di porgerti alcune osservazioni.

In primo luogo, è strumentale estrapolare alcuni episodi da un loro contesto storico. Quelle che definisci “situazioni” in cui dimostri che il Potere (e stiamo parlando dell’organizzazione gerarchica della società) produce anche del “buono”, sono appunto accadimenti che non possono essere decontestualizzati ed isolati da una gestione sociale che li comprende, e che li determina parallelamente ad altri.
In secondo luogo, finchè a riportare le descrizioni di personaggi e dinastie come quelli da te elencati sono i testi storiografici “ufficiali”, e finche esse sono incentrate sulle loro “gesta”, mi sembra quanto meno logico dedurre che sorvolino, come anche attualmente accade attraverso l’informazione di regime, sugli effetti dettagliati che hanno avuto su quei popoli.

Anche attualmente il “sistema” di dominio produce cose non necessariamente spregevoli, ma questo va ascritto all’interno di una attività più totale; nè costituisce un fine, ma semmai un mezzo atto a creare la necessaria “adesione”, o identificazione, da parte dei “governati” con la struttura statuale. Il discorso si fa lungo ed articolato, ma, in sintesi, un regime che si imponesse solo attraverso lo strumento repressivo e in cui la distinzione in classi sociali fosse smaccata e palpabile, monarchi e feudatari da una parte e poveri cristi dall’altra, aristocratici con le pance piene da una parte e morti di fame dall’altra, un regime simile si taglierebbe le gambe in partenza, per la semplice ragione che riproporrebbe un modelli sociali già rifiutati.

Non che nell’epoca contemporanea sia molto diverso (o non rischi di diventarlo), ma una serie di “evoluzioni” da parte del Potere, in fatto di strategie di contenimento del conflitto sociale, ha fatto si che le società civili si identificassero con esso attraverso l’inganno della “democrazia” .(Ovviamente, anche in questo caso sono riduttiva, ma c’è troppa carne sul fuoco, i vari dettagli possono essere ampliati successivamente).

Ma tento di affrontare i vari punti, uno per uno.

Nel caso della dinastia Gupta, si tratta di una delle tante che, susseguendosi, hanno dominato in India, e che per affermarsi, come le altre che l’hanno preceduta e seguita, si presuppone non abbia indetto referendum o chiesto “toc toc, permesso, si può subentrare?”. La sua collocazione corretta, pertanto, è da inserire in un più ampio contesto in cui il “beneficio” risulta solo un aspetto.

Opportunistico, se consideriamo che i fasti descritti abbiano avuto la funzione di aggiungere prestigio alla “casta” dominante, la sola che potesse usufruirne, appunto, e non alle popolazioni su cui essa regnava.
Tra l’altro, leggiamo qui che "Sotto il suo dominio le tribù che al tempo popolavano la regione vennero unite in una coesa entità politica e religiosa.".

Come si perseguì quella unificazione? E dal momento che sappiamo, poiché storicamente oggettivo, che un IMPERO tende ad inglobare sotto la sua dipendenza economica, politica e culturale intere popolazioni, non è forse l’unificazione stessa espressione di un preciso progetto di dominio?

Messasi in luce anche fuori dell'originario Magadha con Candragupta I, la dinastia Gupta estese e consolidò i propri domini con guerre di conquista e alleanze matrimoniali, fino a includere tutto l'ovest, il nord, l'est e parte del sud dell'India.

Con guerre di conquista. Non con feste e balletti.

Aggiungo che, in contrapposizione con l’ormai decaduta dinastia Maurya, la dinastia Gupta reinstaura il bramanesimo, che colloca al centro delle sue attività l’organizzazione castale . Il che, converrai, è un considerevole passo indietro in termini di “repressione”, se consideriamo che il Buddismo, ricercando la salvezza nella necessità dell’azione individuale, ribaltava le fondamenta stesse di un impero retto soprattutto sul credo religioso.

In riferimento a Rinaldo d’Este, Luigi Sanseverino, Ruggero il Normanno, Odoacre, Maria Luigia, ottomani e Gaio Giulio Cesare Ottaviano Augusto, stupisce la necessità di dover esporre esplicitamente i contesti storici, e le relative contraddizioni in termini di “effetti totali” sui popoli e sui territori, in cui si collocano i suddetti personaggi.

Detto questo, prealbe:

Un impero è un’organizzazione statale che inevitabilmente ripete sempre gli stessi errori proprio a causa della natura stessa della sua struttura imperiale. Il suo fallimento è inevitabile a causa di: eccessiva grandezza, complessità, estensione territoriale, stratificazione, eterogeneità, dominazione, gerarchia e ineguaglianze.

PS: Lone, avrai di che sollazzarti, perchè intuisco che il seguito sarà logorroicamente lungo.

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