Re: Erasmo da Rotterdam: Elogio della Follia

Inviato da  orkid il 13/7/2006 18:38:38
Cap. 32

Mi pare di sentire protestare i filosofi: l'infelicità, dicono, è proprio qui, nell'essere prigionieri della Follia, sbagliare, vivere nell'inganno, nell'ignoranza. Ma essere uomo è appunto questo. Né riesco a capire perché parlino d'infelicità: così siete nati, educati, formati: questa è la sorte comune a tutti. Nessuno è infelice quand'è in armonia con la propria natura, a meno di compiangere l'uomo perché non può volare con gli uccelli, né camminare a quattro zampe con gli altri mammiferi, o perché, a differenza dei tori, non è armato di corna. Da tal punto di vista chiameremo infelice anche un bellissimo cavallo perché non sa di grammatica e non mangia dolciumi, infelice il toro in quanto negato agli esercizi della palestra. In realtà, come non è infelice il cavallo che ignora la grammatica, così non è infelice l'uomo per la sua follia, che è conforme alla sua natura.
Ma ecco che quegli esperti del ragionamento tortuoso tornano alla carica. E' dono peculiare dell'uomo, dicono, la conoscenza scientifica, di cui si serve per compensare con l'ingegno ciò che la natura gli ha negato. Come se fosse verosimile che la natura, così sollecita nei confronti delle zanzare e perfino delle erbette e dei fiorellini, avesse tirato via solo nella creazione dell'uomo, rendendogli necessarie quelle scienze che Theuth, col suo genio ostile al genere umano, inventò per nostra somma iattura: tanto inadatte a renderci felici che anzi contrastano col loro presunto fine, come con eleganza sostiene in Platone un re molto saggio a proposito dell'invenzione dell'alfabeto. Le scienze dunque sono penetrate fra gli uomini, insieme alle altre calamità della vita mortale, per opera di coloro da cui partono tutti i malanni, i demoni che ne hanno anche derivato il nome, in greco DAEMONES, ossia "coloro che sanno". La gente semplice dell'età dell'oro, del tutto priva di dottrina, viveva sotto l'unica guida della natura e dell'istinto. Che bisogno c'era della grammatica, quando tutti parlavano la stessa lingua e niente altro si chiedeva se non di capirsi l'un l'altro? A che la dialettica, se non c'era contrasto di opposte posizioni? A che la retorica, se nessuno intentava cause al prossimo? E che bisogno c'era della giurisprudenza, se non c'erano quei cattivi costumi che, senza dubbio, hanno fatto nascere le buone leggi? Erano troppo religiosi per scrutare con empia curiosità i misteri della natura, la grandezza, i moti, gl'influssi delle stelle, le cause riposte delle cose, giudicando vietato ai mortali il tentativo di conoscere più di quanto era loro concesso. Lo stolto desiderio di andare a cercare cosa ci fosse di là dal cielo non passava neppure per la mente. Col graduale esaurirsi dell'età dell'oro, dapprima, come ho detto, dai demoni del male furono inventate le scienze, ma poche, e limitate a pochi. Poi, i Caldei con la loro superstizione, e quei perdigiorno dei Greci coi loro interessi svagati, moltiplicarono a dismisura queste autentiche torture della mente. Con la sola grammatica ce ne sarebbe già di troppo per il tormento di una vita intera.

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