Re: Il 16 ottobre parte l’iter legislativo per una legge contro il negazionismo

Inviato da  Ribelle il 23/10/2012 13:42:30
L’affaire Richard Millet
di Alain de Benoist - 12/10/2012

Richard Millet è da molto tempo riconosciuto come uno dei migliori scrittori francesi viventi. Nato nel 1953, ha passato una parte della sua infanzia in Libano, dove è poi ritornato in occasione della guerra civile degli anni 1975-1976, combattendo a fianco dei cristiani. Da quel momento in poi, si consacra interamente alla scrittura. Ha scritto più di 40 libri, un gran numero dei quali riferito dedicato alla letteratura, tra cui Le sentiment de la langue (Il sentimento della lingua), in 3 volumi, per il quale nel 1994 viene premiato dall’ Académie francese. Questo importantissimo riconoscimento gli ha permesso di entrare a far parte del consiglio di redazione delle Edizioni Gallimard, la più prestigiosa della case editrici francesi, e di giocare un ruolo decisivo nella pubblicazione dei due Premi Goncourt, Die Wohlgesinnten di Jonathan Littel (2006) e Die französische Kunst des Krieges di Alexis Jenni (2011).

Ma c’è anche una particolarità: egli non ama affatto la società “multiculturale”. Anzi l’ama sempre di meno. Non la sopporta più, non vi si riconosce più. Nell’immigrazione di massa che colpisce oggi i paesi europei egli intravede una catastrofe che lo trasforma in “esiliato all’interno”. E non esita a dirlo. Lo ha fatto lo sorso anno in un libretto intitolato La fatigue du sens (La fatica del senso). L’ha fatto quest’anno, in due altri saggi, Langue fantôme (Lingua fantasma) e De l’antiracisme comme terreur littéraire (L’antirazzismo come terrore letterario), entrambi pubblicati a fine Agosto presso le Edizioni Pierre-Guillaume.

Queste pubblicazioni, che hanno prodotto l’effetto di una cannonata, gli hanno procurato immediatamente una valanga di critiche da parte dei sostenitori del “politicamente corretto”. Esse si sono concentrate sul libretto Langue fantôme, di fatto su una parte di appena 20 pagine intitolata “Elogio letterario di Anders Breivik”. Un titolo che avrebbe voluto essere più ironico che provocatore, ma che ha scatenato uno scandalo.

Nell’arco di alcune settimane, una folla intera ha lanciato l’appello al linciaggio mediatico. Bernard-Henri Lévy, Jean-Marie Le Clézio, Laure Adler et Tahar Ben Jelloun sono stati tra i primi a far sentire la voce. Nel quotidiano Le Monde dell’11 Settembre Annie Ernaux ha pubblicato un articolo, al quale si sono associati pochi autori conosciuti e un buon centinaio di quasi sconosciuti, chiamando a raccolta per boicottare questo libro “abietto”, “immondo”, “vergognoso”, “che trasuda il disprezzo per l’umanità e fa l’apologia della violenza” (sic). Il Primo Ministro francese, Jean-Marc Ayrault, si è dichiarato “molto turbato”. In Belgio, il proprietario della più importante libreria francofona di Bruxelles, Filigranes, ha rispedito all’editore tutti i libri di Millet che aveva ricevuto.

Contemporaneamente sono state fatte delle pressioni sulle edizioni Gallimard, con l’intento di ottenere l’espulsione di Millet dal “posto strategico “ che occupava. Antoine Gallimard, presidente e direttore generale delle edizioni che recano il suo nome, ha tenuto duro per un po’. Poi ha finito per cedere. Il 13 Settembre Richard Millet ha annunciato le sue dimissioni dal consiglio di redazione, pur rimanendo nella Casa Editrice con mansioni subalterne. L’obiettivo della cabala era stato raggiunto.

Per conseguirlo, sono stati usati tutti i mezzi. Nell’“Elogio letterario di Anders Breivik”, la parola chiave “letterario” è stata volutamente omessa. In Germania Jürg Altwegg ha così parlato di una “lode a Breivik da parte di Richard Millet “, mentre il Tages Anzeiger intitolava: “Millet loda Breivik e difende le sue azioni”. Si tratta evidentemente di una abominevole menzogna. Nel suo testo, in realtà, Richard Millet condanna fermamente e a più riprese la strage perpetrata nell’isola di Utoya.

Sono state sparate le più grottesche accuse: “razzismo”, “fascismo”, etc. Evidentemente gli autori di esse non hanno mai letto nessuno dei libri di Richard Millet. Si sarebbero resi conto che l’autore vi afferma senza ambiguità “io non riconosco nessuna superiorità di una razza sull’altra”, e scrive: “ Le musulmane coperte con il velo mi sembrano più decenti di alcune ragazze europee che mi passano davanti, volgari nei loro abiti, nel loro linguaggio e nei loro modi di fare”. Un giornalista di Nouvel Observateur è perfino arrivato a vedere nei poemi dell’Edda (le leggende medievali degli eroi germanici) la fonte delle stragi commesse da parte di Breivik!

Allora, a quale scopo questo “elogio letterario”? Per sottolineare una situazione. Richard Millet, che vede in Breivik “uno scrittore per difetto”, stabilisce un legame diretto tra l’immigrazione di massa e il crollo della cultura, che ha provocato un declino totale della letteratura. Il suo amore per la lingua francese, il suo terrore di vederla sfigurata, è all’origine della sua reazione. È ciò che spiga il titolo del suo libro: L’antiracisme comme terreur litteraire. Agli occhi di Millet, Breivik rappresenta il sintomo di un’Europa che ha perduto la sua cultura e la sua identità, un “prodotto esemplare di questa decadenza occidentale che ha assunto l’aspetto del piccolo borghese americanizzato”, un “figlio del fallimento della famiglia così come della frattura ideologico–razziale che l’immigrazione extraeuropea ha introdotto in Europa da una ventina d’anni.

Millet non è un ideologo, ma uno scrittore e reagisce come tale. Langue fantôme è d’altronde anzitutto una straordinaria meditazione sull’impoverimento della lingua. Ora, secondo Millet, esiste un legame tra “agonia programmata della cultura europea”, la disintegrazione della lingua e la “sconfitta della letteratura”. La destrutturazione della lingua - aggiunge - ha subìto un’accelerazione attraverso l’immigrazione di massa, facendo della Francia, per quanto riguarda la letteratura, “ un repubblica delle banane”. La morte della letteratura deriva dal fatto che la nostra civiltà si è sbarazzata della sua memoria.

“L’antirazzismo” ha da molto tempo cessato di lottare contro il razzismo per divenire un semplice strumento di potere, o perlomeno un mezzo per far carriera. Esso rappresenta – dice Millet - “il ramo terroristico del nichilismo odierno”: “l’accusa di razzismo è oggi il colpo alla nuca per coloro che si preoccupano della verità”. L’antirazzismo ha preso il posto “ del morbo nazista e della nevrosi comunista” e cerca di far posto ad un nuovo apartheid, di cui il “Politicamente corretto” è la legge. Oggi è considerato “razzista” chi “rifiuta di ammettere che l’individuo mondializzato, incolto, debole, instupidito dalla sottocultura americana, il consumismo, la chiacchiera, il soliloquio infinito del narcisismo piccolo borghese assunto a modello sociale e ontologico universale, sia ancora un uomo nel senso in cui la tradizione europea ci ha insegnato ad essere”. “Il processo, dice ancora Millet, rimane lo stesso dopo Goebbels e Beria: decontestualizzare, amalgamare, estrapolare, intimidire, insultare, mentire, eliminare per creare una versione ingannevole della realtà”.

Sul settimanale francese Valeurs actuelles, Millet ha dichiarato: “Non avrei mai pensato di ritrovarmi un giorno in minoranza nel mio paese, al punto da far la figura dello storico sconfitto, costretto a rinunciare alla mia cultura per meglio accogliere quella degli altri”. In un intervista con l’Express egli constata: “ L’odio di cui sono oggetto è diventato una caccia all’uomo, tutto l’opposto della riflessione che speravo di provocare”.

Richard Millet è stato difeso dai pochi spiriti liberi rimasti nella Repubblica francese. Il filosofo Alain Finkielkraut, che vede nell’antirazzismo il “comunismo de XXI secolo”, si è “dissociato da coloro che vogliono la sua pelle”. Elisabeth Lévy, direttrice del giornale Causer, lo scrittore Renaud Camus e il vecchio presidente dei Reporters senza frontiere, Robert Menard, che hanno dovuto anche subire gli strali dei “nuovi inquisitori”, hanno denunciato con forza un “giudizio di condanna a Saint-Germain-des-Prés”. Pierre Assouline se l’è presa con la “macchina per emarginare”, messa in strada dagli epuratori che trattano come un delinquente uno scrittore. Denis Tillinac ha denunciato una “caccia all’uomo”.

Il settimanale Valeurs actuelles ha pubblicato il 6 settembre un dossier intitolato i “lyncheurs”. Elisabeth Lévy scrive: “Quando tutti quelli che dichiarano di voler difendere la libertà divengono ausiliari della censura, si ha voglia di vomitare”. “ Strano come le brave coscienze di sinistra, ha aggiunto Pierre Jourde, amino da un po’ di tempo la censura, l’espulsione, il licenziamento e l’interdizione”.

Dopo parecchi altri (il caso Zemmour, il caso Renaud Camus, il caso Robert Ménard, il caso Peter Handke, il caso Régis Debray), il caso Millet non è che l’ultimo in ordine di tempo da parte delle imprese dirette dalla “ polizia del pensiero”. Siamo ritornati all’epoca in cui Gustave Flaubert ( Madame Bovary) e Charles Baudelaire (Les fleurs du mal) erano portati davanti al giudice per “immoralità”. Sotto il Terzo Reich si bruciavano i “cattivi libri”. La situazione non è cambiata molto.

Messaggio orinale: https://old.luogocomune.net/site/newbb/viewtopic.php?forum=45&topic_id=7169&post_id=223378