RESTIAMO UMANI

Inviato da  florizel il 18/4/2011 15:50:26
Sono soprattutto due le parole che in questi tristissimi giorni corrono sulle bocche e sulle tastiere di chi sta piangendo la perdita di un fratello e di un compagno, di cui (e con cui) ha condiviso l’impegno e apprezzato la grande carica umana, e l’indipendenza MORALE: restiamo umani.

Sono le parole con cui Vittorio ha siglato ogni suo articolo messo in rete dal suo blog, e dalla sua pagina FB, che invito a seguire ancora.

E con le quali ha spesso “chiuso” video ed interviste.

Due parole che risuonano “bizzarre”, o fuori luogo, o che “stonano” in questa realtà popolata da mostri, in cui le scelleratezze di un sistema di potere spesso si riproducono “dal basso” in una spirale di violenza che lo alimenta e lo identifica come intrinseco alla specie umana.
O come suo elemento predominante, fatalmente predominante.

Genera ancor più stupore, e perplessità, ripeterle ora che la sua perdita, il suo assassinio (come gli assassinii di Rachel Corrie e di Tom Hurndall e di molti altri, comprese le vittime palestinesi), ci dice quanto più forte possa stringere la morsa del potere sulla resistenza umana, sull’affermazione della sua DIGNITA’; di quanto l’annientamento delle positive spinte propulsive e costruttive della specie umana sia un obiettivo del sistema di dominio, e quante volte esse siano ad un passo dal cedere alla brutalità di quella patologia che è il “potere”, sotto qualunque forma e con qualunque bandiera esso si esprima.

Eppure, Vittorio (come chiunque continui saldamente a lottare per i principi di libertà ed autodeterminazione dei popoli e degli individui) non è tanto ingenuo da aver buttato lì queste due parole come un semplice slogan, o per mera semplificazione.
La sua è stata e RIMANE una sfida, quotidianamente lanciata.

Per la loro capacità di lasciare che chiunque le interpreti segua un suo personale percorso interiore che ne sveli il significato, Vittorio ha affermato e confermato il rispetto dovuto ad ogni singola persona ed al suo incedere personale; come il rispetto dovuto alla scelta del percorso che l’intero popolo Palestinese compie ogni giorno, sotto l’attacco militare sistematico e devastante dello stato sionista.

Dove maggiore è la repressione, più forte è il rischio di “farsi simili” a chi la impone, pur di sopravviverle, sottomettendosi ed adeguandosi. Conformandosi all’idea che l’umanità sia questa.

Eppure quel popolo resta in piedi. Smembrato, decimato, torturato, imprigionato, predato della memoria di sé e della sua cultura come della sua terra, messo alle strette tra l’obbligo a cedere definitivamente e volontariamente o a perire sotto i colpi di cannoni e pioggia di fosforo bianco. Sta in piedi, tenacemente.
Servendosi umanamente per difendersi, a tutt’oggi, delle sue pietre, quelle delle case tirate giù dai bulldozer dell’esercito sionista. Lo farebbe, e lo fatto, anche senza i razzi di Hamas, che piuttosto (e purtroppo) scatenano reazioni impari da parte dello stato sionista.

In questa epoca assurda, non ci troviamo di fronte a dinamiche localistiche o circoscritte all’interno dei singoli stati, ma di fronte ad una politica globale della coercizione e della prevaricazione, e ad una logica di guerra e devastazione, delle coscienze ancor prima che dei territori.

Sotto la pressione dell’elaborazione e dell’applicazione su scala mondiale della strategia del terrore, diventa molto più facile mettere gli individui gli uni contro gli altri, generare un clima di schizofrenica diffidenza, separare, frammentare, slegare, mistificare, indurre all’estraneità fra esseri umani, all’indifferenza per le sorti di chi soffre a tutela della difesa del proprio orticello, trasformandoli nella fotocopia del “potere” e quindi identificandoli con esso.

La Palestina, ed il martirio di quel popolo, condensa in sé l’esempio lampante di cosa siano il dominio, la mistificazione della “democrazia” applicata al potere statuale, l’ipocrisia, la trappola dell’uso degli stessi strumenti imposti dal potere: come ad esempio la trappola del dualismo speculare tra “controparti”, che impedisce e reprime la scelta di percorsi rivoluzionari e di riscatto umano che SUPERINO parametri limitati al linguaggio della politica, che traccino nuovi percorsi di solidarietà tra persone comuni richiamando al FATTORE UMANO e all’UNITA’ piuttosto che a fantomatiche “necessità storiche” o contingenze “diplomatiche”.

Dev’esserci un confine tra ciò che è bene e ciò che è male per questa tormentata umanità.
Esso deve trovarsi tra ciò che produce e rispetta la Vita e ciò che la annienta o la svilisce.
La solidarietà e l’impegno la promuovono ogni volta che impediamo alle nostre coscienze di piegarsi alla logica del potere degli uomini sugli uomini, ogni volta che ANCHE PER UN SOLO INDIVIDUO maltrattato riusciamo ad indignarci; viene promossa la vita sulla distruzione, in barba al progetto di separazione tra esseri umani, ogni volta che rispondiamo sentendoci parte dello stesso fiume, piuttosto che singola pozza d’acqua destinata ad asciugare.

E’ il popolo Palestinese che deve aver insegnato a Vittorio quelle due parole: restare umani.

Durante le letture dei suoi articoli, o delle sue mail (troppo poco diffusi i primi e troppo poche scambiate con lui le seconde, perché potessero rendere anche me migliore, ahimè…), sempre ho avuto l’impressione che quelle due parole contenessero un monito per chiunque.

Oggi è tempo di interrogarsi profondamente sul significato che esprimono, perché con lui non sia stato assassinata anche la lotta, qualunque lotta, piccola o grande che sia, individuale o collettiva, dell’Umanità contro la barbarie.

Per l’eredità che Vittorio ha lasciato a tutti, questo è il minimo che, nella mia limitatezza, ho "sentito" di rendergli per il privilegio di averlo potuto contattare. E non sarà MAI abbastanza per ripagarlo.

Non gli dico “ciao Vik”, perché so per certo che DI CERTO resterà nel cuore di moltissimi, e nelle nostre lotte.

Fiorella Sarti.


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